Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 02-02-2011) 24-02-2011, n. 7182 Impugnazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 1-4-2008 il GUP del Tribunale di Bergamo ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di B.A., G.T., Z.G. e V.U. in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti (rivelazione di segreti di ufficio, vari episodi di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio: artt. 326, 319 e 321 c.p.), perchè il fatto non sussiste.

Il Procuratore Generale della Repubblica di Brescia ha proposto appello (che è stato trasmesso per competenza dalla Corte di Appello di Brescia a questa Corte, previa riqualificazione come ricorso per Cassazione) avverso tale sentenza, sollevando in via preliminare questione di illegittimità costituzionale dell’art. 428 c.p.p., come modificato dalla L. n. 46 del 2006, art. 4, in relazione agli artt. 111, 3 e 97 Cost., nella parte in cui esclude l’appello del Pubblico Ministero avverso le sentenze di non luogo a procedere.

Nel merito, il ricorrente deduce l’infondatezza dell’eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche, essendo queste state disposte nell’ambito dello stesso procedimento a carico di R.G., che figurava imputato prima dello stralcio conseguente alla sua scelta di essere giudicato con rito abbreviato.

Rileva, inoltre, che lo stesso GUP ha dato atto, a pag. 14, 15 e 16, che il B. ha ricevuto del danaro, un telefono cellulare e il pagamento delle fatture riferite a tale scheda, e che il predetto imputato aveva avviato una vera e propria attività di consulenza e di intermediazione a favore di R.G., agevolandolo sensibilmente nella sua attività di raccolta e smaltimento rifiuti.

Evidenzia che, in tema di corruzione propria, non è necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri di ufficio allorchè il pubblico ufficiale, in cambio di danaro o altra utilità, asservisca la sua funzione agli interessi del privato.

Il P.G., pertanto, ha concluso chiedendo la pronuncia di decreto che dispone il giudizio davanti al Tribunale di Bergamo nei confronti dei quattro imputati, per rispondere dei reati loro rispettivamente ascritti.
Motivi della decisione

Secondo un principio affermato da questa Corte, in tema di impugnazioni, allorchè un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’art. 568 c.p.p., comma 5, a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonchè l’esistenza di una "voluntas impugnationis", consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente, al quale è riservato, in via esclusiva, il potere di valutare sia l’ammissibilità che la fondatezza dell’impugnazione (Cass. Sez. Un. 331-10-2001 n. 45371;

Sez. 3, 30-11-2007 n. 2469; Sez. 5, 28-4-2009 n. 21581). Il principio contenuto nell’art. 568 c.p.p., comma 5, secondo cui l’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione attribuitale dalla parte, per cui, ove sia stata proposta a giudice incompetente, lo stesso trasmette gli atti a quello competente- non consente, infatti, al giudice incompetente, investito del gravame erroneamente proposto, di emettere pronuncia dichiarativa della inammissibilità della impugnazione, non rientrando tale pronuncia nella sfera dei poteri attribuiti dalla menzionata norma alla cognizione di detto giudice, dovendosi il medesimo limitare a procedere alla esatta qualificazione del mezzo di impugnazione proposto ed alla conseguente trasmissione degli atti al giudice competente (Cass. Sez. 1, 10.1.1994 n. 3769; Sez. 3, 24.3.2009 n. 19980).

Nel caso di specie, pertanto, correttamente la Corte di Appello di Brescia, stante l’inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere impugnata dal Procuratore Generale, in ossequio alla regola innanzi enunciata ha trasmesso gli atti, per competenza, alla Corte di Cassazione.

Questa Corte, chiamata a valutare l’ammissibilità e la fondatezza dell’atto di impugnazione in esame, non può non rilevare che lo stesso non reca solo un errato nomen iurte, ma manifesta anche l’inequivoca volontà del Procuratore Generale di proporre appello.

Ciò è reso evidente non solo dalla questione di illegittimità costituzionale dedotta col primo motivo (che bene avrebbe potuto essere sollevata con l’unico mezzo consentito, e cioè il ricorso per Cassazione, ed è stata invece devoluta, secondo l’intenzione dell’impugnante, al giudice di merito), ma anche e soprattutto dal petitum contenuto nelle conclusioni, che non ha ad oggetto l’annullamento della sentenza impugnata (unico provvedimento consentito in sede di legittimità), bensì remissione di un provvedimento squisitamente di merito, quale il decreto che dispone il giudizio davanti al Tribunale di Bergamo.

Di conseguenza, essendosi in presenza di un atto di gravame denominato come appello e formulato con le richieste tipiche di tale mezzo di impugnazione, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Qualora, infatti, la parte impugnante abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di impugnazione non consentito dalla legge (come nel caso in esame, in cui l’intenzione indiscutibile del Procuratore Generale è stata quella di proporre appello e non ricorso per Cassazione, formulando richieste non consentite in sede di legittimità), il gravame deve essere sanzionato con l’inammissibilità (Cass. S.U. 26-11-1997/26-1-1998 n. 16; Sez 3, 21-5-2008 n. 23651; Sez. 5, 3.-7-2009 n. 35442).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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