Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-01-2011) 24-02-2011, n. 7170

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per Cassazione I.C. contro l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Catania ha respinto il suo ricorso avverso l’ordinanza del Giudice per le Indagini preliminari del locale Tribunale, in data 31 maggio 2010, che aveva disposto nei suoi riguardi la misura cautelare degli arresti domiciliari per il delitto di cui all’art. 110 c.p., e art. 614 c.p., u.c., commesso il (OMISSIS).

L’ I. era stato arrestato assieme ad altra persona ( R. G., figlio di C.M.) e poi posto agli arresti domiciliari, in un primo momento con l’accusa di tentato omicidio, concretizzatosi nell’aggressione portata a certo A.P., che si trovava nell’abitazione della C., in passato legata al prevenuto da relazione sentimentale, ormai terminata.

Rimesso in libertà dal Tribunale del riesame, l’ I. era stato poi raggiunto da ordinanza applicativa della misura cautelare in relazione al delitto di violazione di domicilio aggravata che sarebbe stato commesso nell’occasione.

Il Tribunale del riesame, su nuovo ricorso del prevenuto, ha ritenuto che la gravità indiziaria in relazione a quel reato risiedesse nelle dichiarazioni della C., confermate da quelle dell’ A., secondo cui il pervenuto era entrato con violenza in casa della donna assieme al R. e poi quest’ultimo, alla reazione dell’ A., l’aveva aggredito con un coltello ferendolo, tanto da renderne necessario il ricovero in Ospedale.

Sostiene il Tribunale distrettuale che il compendio indiziario rendeva inattendibili le prospettazioni difensive, secondo cui l’ I. era giunto sul luogo con ritardo rispetto al R. e si era limitato ad entrare in casa della C. perchè aveva trovato la porta già aperta.

Sulle esigenze cautelari il Tribunale del riesame aveva ritenuto che l’esistenza di precedenti, anche per reati commessi con l’uso della forza, delineasse un quadro di persona disponibile alla violazione della norma penale e non troppo condizionata dalle ripetute disavventure giudiziarie. Il ricorso del prevenuto si articola su due motivi.

Con il primo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in merito alla ritenuta gravità indiziaria, per il peso attribuito alle dichiarazioni della parte offesa, che invece avrebbero trovato validi elementi in contrario nelle dichiarazioni del prevenuto, confermate dal R., figlio della donna.

Il ricorso esamina i diversi contributi testimoniali dei vari soggetti e ne ricava un giudizio di maggiore attendibilità per le affermazioni difensive del prevenuto, mentre l’ordinanza impugnata sarebbe fondata su dichiarazioni non adeguatamente controllate e riscontrate.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta esistenza del pericolo di reiterazione criminosa.

Abnorme sarebbe la motivazione del Tribunale, che, per ritenere sussistente il pericolo di reiterazione dell’azione, si era riferito ai precedenti penali del prevenuto, riguardanti episodi che non avevano certo nulla in comune con una situazione del tipo di quella per cui è processo. Il ricorso è inammissibile, in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale indiziario rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito.

Nel caso, il Tribunale del riesame ha ineccepibilmente osservato che la gravità degli indizi circa la partecipazione del ricorrente all’invasione del domicilio della C. riposa nelle dichiarazioni della persona offesa, che aveva ricostruito i fatti, attribuendo il violento ingresso nella sua abitazione ad entrambe le persone, ivi poi trovate ed arrestate, I. e R., dichiarazioni della C. la cui credibilità è adeguatamente argomentata, e nel sostegno a questa che poteva trarsi da quelle dell’ A..

Ed altrettanto compiutamente e logicamente ha ritenuto meno attendibili le contrarie dichiarazioni dell’imputato, secondo cui egli si era trattenuto in attesa nei pressi del cancello del palazzo ed era poi entrato nell’abitazione della donna solo quando aveva sentito le urla, che si pretende siano confermate dal coimputato R. (ma dal ricorso appare che questi aveva dichiarato che il ricorrente era intervenuto subito dopo l’aggressione all’ A., e non con il notevole stacco temporale che il ricorrente vuole accreditare).

Peraltro la tesi sostenuta dal ricorrente è una questione in fatto, che non può essere presa in considerazione, a fronte della motivazione adeguata, conforme a regole della logica e priva di vizi giuridici, resa dal giudice di merito.

L’ordinanza impugnata non è quindi sindacabile in questa sede perchè non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione del compendio indiziario, sulla base delle prospettazioni del ricorrente, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una "rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, Misiano;

Sez.Un. n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, Clarke, rv. 203428).

Anche quanto al pericolo di reiterazione del reato il provvedimento evidenzia, in modo corretto e logicamente non censurabile, sia la non occasionalità delle condotte aggressive del prevenuto, sia i precedenti penali del medesimo, per furto, ma anche per rapina, quali elementi che ne connoterebbero negativamente la personalità, come soggetto non nuovo ad azioni violente, non adeguatamente ammonito dalle precedenti vicende.

E sul punto il ricorso non supera il livello della genericità, proponendo in questa sede questioni di merito sull’idoneità di misure alternative a garantire le esigenze di cautela, e censurando in modo generico una motivazione che, come visto, non si può ritenere affetta dalla manifesta illogicità denunciata dal ricorrente.

All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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