Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-01-2011) 24-02-2011, n. 7164 pena Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

a concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
Svolgimento del processo

La Corte di assise di appello di Bari, in veste di GE, con il provvedimento di cui in epigrafe, decidendo su rinvio della prima sezione della Corte di Cassazione, riconosciuto il vincolo della continuazione tra i fatti di cui alle sentenze della Corte assise appello Bari 1.4.2005 e del 17.12.2007, ha aumentato la pena inflitta a D.F.G. con la seconda sentenza nella misura di anni 5 di reclusione, rideterminando la pena complessivamente da infliggere in anni 25 di reclusione.

Ricorre per Cassazione il difensore e deduce violazione dell’art. 671 c.p.p. e artt. 81 e 133 c.p., nonchè difetto di motivazione, sostenendo che erroneamente il GE ha assunto come pena base quella per il delitto di omicidio aggravato (anni 19 di reclusione), atteso che pena base avrebbe dovuto essere quella dell’omicidio senza la considerazione dell’incremento di pena dovuto alla applicazione della L. n. 203 del 1991, art. 7.

Inoltre il giudice di rinvio ha acriticamente confermato la pena indicata nella sentenza di primo grado.

Si è poi verificato vizio di ultrapetizione in quanto, alla pena di anni 19 di reclusione, il GE ha applicato l’aumento (mesi 6 per ciascuno dei reati di detenzione e porto di arma comune da sparo), ma in realtà, per tali reati, la Corte di assise di appello (e anche la Corte di assise) non avevano applicato pena, nè alcun potere "correttivo" competeva al GE. Con riferimento poi alla "pena patteggiata in appello" applicata con la seconda sentenza, il GE non ha considerato che, in sede di patteggiamento, venne esclusa l’aggravante ex art. 7 legge predetta e vennero riconosciute le attenuanti generiche prevalenti.

Conseguentemente, le attenuanti avrebbero dovuto essere applicate in misura prevalente sulla determinazione della pena in continuazione.

Manca poi qualsiasi motivazione sui criteri adottati per gli aumenti di pena, alla stregua dell’art. 133 c.p..

Il D.F., da tempo collaboratore di giustizia, è stato condannato per i reati da lui stesso riferiti dagli atti è inoltre emersa la sua posizione marginale e il fatto che egli commise l’omicidio quando era giovanissimo.
Motivi della decisione

La prima censura è infondata.

Ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., ai fini della applicazione in executivis della disciplina del concorso formale o del reato continuato, si considera "violazione più grave" quella per la quale è stata inflitta la pena più grave.

E’ chiaro pertanto che il legislatore ha inteso fare riferimento alla pena inflitta in concreto (ASN 200606362-RV 233442) e dunque alla pena per il reato ritenuto più grave, nella sua manifestazione effettiva e specifica, nella sua "dimensione" storica e fenomenica concreta, vale a dire con le circostanze che eventualmente lo accompagnano.

Nel caso in esame, per altro, trattasi anche di circostanza ad effetto speciale ( L. n. 203 del 1991, art. 7) ed è il reato di omicidio di "natura "mafiosa" che è stato – correttamente – individuato come reato più grave.

Conseguentemente, la relativa pena (dell’omicidio come sopra aggravato) è stata individuata come pena base, sulla quale operare gli aumenti per continuazione.

La seconda censura è inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto la pena per i reati in tema di armi risulta "conglobata" in quella concordata in sede di appello nella sentenza 1.4.2005.

La terza censura è manifestamente infondata. Invero, una volta individuato il reato più grave, gli altri reati (anche se attribuiti al condannato con sentenza diversa da quella cui è relativo il predetto reato più grave), vengono considerati solo ai fini dell’aumento per continuazione. Ne consegue che le circostanze agli stessi relative non estendono il loro effetto agli altri e diversi reati (ASN 199701663-RV 207692).

La quarta censura è infondata, atteso che l’aumento per continuazione operato sul reato più grave (e quindi sulla pena base) può anche essere determinato in maniera cumulativa, vale a dire, senza la necessità di indicare il quantum di pena per ciascun reato satellite (ASN 19870873-RV 176330).

Ne consegue che un obbligo di motivazione "reato per reato" non esiste (non è previsto dalla vigente normativa e si ricava, per altro, anche da SU, sent. n. 25956 del 2009, ric. Vitale, Rv 243589).

La giurisprudenza sul punto è costante, con l’unica eccezione (ASN 199202501-RV 189295), relativa al caso in cui l’aumento per continuazione sia di notevole entità.

Ma l’ipotesi, nel caso in scrutinio, ad evidenza, non ricorre.

Conclusivamente il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del grado.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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