Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-01-2011) 24-02-2011, n. 7196

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 19.9.2006, la Corte di Cassazione, sezione quinta penale, annullava la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che, in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo, aveva assolto I.V. dal reato di partecipazione all’associazione a delinquere armata, di stampo mafioso, denominata Cosa Nostra, in epoca risalente fino al febbraio 1995. In ipotesi d’accusa, I. avrebbe fornito un rilevante contributo alla compagine criminosa mafiosa, dapprima come consigliere comunale presso il comune di Palermo e poi dal 1992, come senatore della Repubblica;

detta ipotesi era stata costruita sulla base delle indicazioni di collaboranti, facenti parte dell’associazione mafiosa, quali C.T., Ca.An., D.G. e S. V., che rappresentarono quanto a loro conoscenza sui rapporti intessuti dall’ I. con soggetti notoriamente mafiosi e sul coinvolgimento del medesimo in un progetto politico che aveva in mente di creare in quegli anni B.L., denominato Sicilia libera.

I giudici di legittimità censuravano il metodo di apprezzamento della prova seguito dalla corte territoriale e richiamavano le linee guida elaborate in materia di valutazione della chiamata in correità e in materia di riscontro: veniva ricordato che la chiamata in correità è idonea a costituire oggettivo sostegno del libero convincimento, se suffragata da altri elementi probatori, che in via generale possono essere di qualsiasi tipo e natura; che i riscontri non sono prove distinte di colpevolezza, ma elementi fattuali e logici che ne dimostrino la veridicità; che ha valore di riscontro anche l’ulteriore chiamata in correità, purchè ciascuna delle chiamate sia dotata di propria efficacia probatoria e capacità sinergica nell’incrocio con le altre; che anche la dichiarazione de relato ha valore di riscontro, ancorchè necessiti di più rigorosa valutazione; che l’affermazione di colpevolezza può essere fondata sulla valutazione unitaria di pluralità di chiamate convergenti, dove la convergenza non va intesa come sovrapposizione, bensì come concordanza sul nucleo essenziale, delle stesse in relazione al thema probandum; che la parcellizzazione degli elementi del compendio di prova ne vulnera la valenza e lo spessore. Ciò posto, veniva censurata la sottovalutazione delle frequentazioni intrattenute dall’imputato con personaggi mafiosi, la sottovalutazione delle trattative per la costituzione di un nuovo partito politico, denominato "Sicilia libera", per riscattare le famiglie dalla sudditanza dai partiti politici, la sottovalutazione dell’ incontro registrato presso il villaggio (OMISSIS) tra il senatore I. e il gotha della mafia palermitana nel 1993, in cui questi avrebbe invitato a desistere da un’azione di contrapposizione violenta verso lo stato, la sottovalutazione dell’episodio di minaccia verso il presidente della corte d’appello di Palermo, dr. Sc., episodio inizialmente riportato anche all’ I. (da cui però venne assolto), ma di cui rispose il notaio F., a cui l’ I. era legato e con cui ebbe ad intessere rapporti di amichevole frequentazione. Veniva quindi sottolineata la necessità di una considerazione unitaria degli indizi, non atomistica, ma in modo da colmare le lacune che ogni fatto porta con sè, lacune che rappresentano, sul piano deduttivo, il limite della capacità del singolo fatto noto di dimostrare l’ignoto.

2. La Corte d’appello di Palermo procedeva ad un nuovo giudizio, all’esito del quale emetteva sentenza di condanna dell’ I. per il reato di partecipazione esterna in associazione mafiosa armata, alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione; in sede di giudizio di rinvio venivano acquisite numerose nuove prove, con il che il processo si concludeva solo il giorno 11 gennaio 2010.

In applicazione dei principi di diritto dispensati dai giudici di legittimità, la Corte territoriale fondava la dichiarazione di colpevolezza alla luce delle indicazioni d’accusa provenienti dalle due fonti dirette, – in quanto soggetti intranei al sodalizio -, C.T. (soggetto collaboratore dal B. in qualità di esperto di politica) e Ca.An., (autista di B.L. e suo uomo di fiducia), già ritenuti attendibili in numerose sentenze irrevocabili, già indicati affidabili dalla stessa sentenza di appello che pure ebbe ad assolvere l’ I., che hanno rappresentato, il primo, il sostegno elettorale offerto dai fratelli G. all’ I. ed il coinvolgimento di questi nell’iniziativa di Sicilia libera, il secondo un incontro presso l’ufficio del C. tra quest’ultimo, I. e P. G., in vista di un inserimento dell’imputato nella nuova iniziativa politica, incontro a cui egli Ca. fu mandato dal B. per averne poi da lui il resoconto.

Venivano poi valorizzate, in chiave di riscontro, le indicazioni de relato di c.f., che assumeva di aver appreso che l’ I. era stato appoggiato da Cosa Nostra nella sua scalata al Senato e quelle di S.V., che aveva partecipato ad un summit di mafiosi presso il villaggio turistico Euromare nell’autunno 1993 e che in quella circostanza l’ I. si era presentato per appartarsi a parlare con B.L., M.D.M. e G.G., secondo quanto gli aveva raccontato M.D.M., soggetti all’epoca, tutti latitanti. Venivano poi favorevolmente valutate le indicazioni di Fe.Gi., sull’effettivo svolgimento del summit, ancorchè il medesimo non abbia potuto confermare la presenza dell’imputato, di cui non ebbe contezza (circostanza ampiamente giustificabile, secondo la Corte, poichè la presenza del politico venne partecipata solo al S., intimo di M.D.A.), nonchè quelle di D.G. che parlò dell’ I. amministratore comunale di Palermo alla fine degli anni ottanta, che aveva riscosso tangenti per centinaia di milioni per aver agevolato due costruttori, quali f.G. e Ie.Gi., – aggiungendo di aver saputo in carcere che i G. erano stati contenti del successo dell’ I. ottenuto alle elezioni del Senato nel 1992 – e di Ie.Gi. che ammise di aver pagato l’ I., a comprova di un patto corruttivo lontano nel tempo.

La Corte riteneva che la partecipazione dell’ I. alla menzionata riunione mafiosa profila un vero e proprio contributo causale fornito al sodalizio mafioso, non potendosi dubitare che egli non conoscesse lo status di latitanti dei soggetti con cui si incontrava ed a cui consentì di dialogare con un senatore della Repubblica. Egli accettò l’appoggio elettorale di G. G., capo mafia nel quartiere Brancaccio, partecipò all’iniziativa politica di B.L., con il che si doveva inferire una sua partecipazione esterna al sodalizio, valorizzando quanto riferito dai collaboratori di giustizia sul fatto che il menzionato ebbe ad offrire consigli sulla strategia da seguire nel particolare e delicato momento storico immediatamente successivo alle stragi di mafia che colpirono Fa. e Bo., onde consentire all’associazione di conservarsi e riprendere l’attività criminale. Non veniva ritenuto meritevole – per l’alto incarico istituzionale ricoperto – delle circostanze attenuanti generiche e veniva condannato alla pena suindicata, con ulteriore condanna alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.

3. Avverso la sentenza, ha interposto ricorso per Cassazione l’imputato, pel tramite dell’avv.to I.F. che, con atto depositato il 24.5.2010, deduceva con un unico motivo, violazione di legge ed in particolare degli artt. 110 e 416 bis c.p., artt. 125, 192, 546 e 627 c.p.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma, lett. b), c) ed e).

Si duole la difesa che la Corte di merito non si sia uniformata, in sede di rinvio, ai principi di diritto rassegnati con la sentenza 19.9.2006, scambiando spesso per principi le affermazioni fattuali che hanno intercalato i passaggi motivazionali della sentenza e che non possono avere alcuna ricaduta in sede di giudizio. Sarebbe stato mal recepito il principio secondo cui anche i riscontri esterni alla chiamata in correità possono essere di qualsivoglia natura, ancorchè tra essi si debba stabilire un collegamento, principio liberamente interpretato con l’acritica ricezione degli sconfinamenti delle singole dichiarazioni. Sarebbe stato valorizzato in chiave accusatoria l’intervento intimidatorio verso il dr. Sc. (che all’epoca presiedeva il processo in assise d’appello contro gli autori dell’omicidio del capitano Ba.), accusa da cui l’imputato era stato assolto, adottando un criterio di valutazione dei fatti contra reum. Sarebbero stati sottovalutati i contributi informativi offerti dai numerosi testimoni o coimputati escussi; di alcuni non venne neppure dato conto in sentenza e si tratta delle indicazioni di I.C., G.G., Z. S. e b.m., mentre delle indicazioni di c.f. e Pe.Gi., vi è traccia, ma sulle indicazioni de relato del primo non sarebbe stata offerta quella motivazione rafforzata che deve giustificare la preferenza accordata a dichiarazioni de relato, mentre sul Pe. – che ebbe a rivedere le precedenti dichiarazioni-, è stato detto che avendo ripreso l’attività politica, si doveva comprendere il cambiamento di versione, spiegazione che secondo la difesa, suona del tutto conflittuale con la logica. Illogica ancora sarebbe la giustificazione data sull’attendibilità del C., che per quanto abbia offerto indicazioni generiche, sarebbe sempre stato apprezzato per la pluralità dei contributi offerti. Sarebbe poi illogico l’aver riconosciuto credibile S., quanto all’incontro intervenuto presso il villaggio Euromare, laddove la presenza dell’ I. fu appresa dal propalatore ad opera di un terzo ( M.D.M.), ma venne data per buona, solo in ragione della caratura delinquenziale del D.. Illogica sarebbe ancora la conclusione a cui è addivenuta la corte territoriale nell’inferire dalla presenza dell’imputato in quel contesto, l’apporto rilevante al mantenimento ed al rafforzamento del sodalizio "Cosa nostra", poichè la deduzione presuppone che sia certo l’episodio narrato, cosa che non è, ragion per cui non è ammesso parlare di causalità dell’apporto. Ancora, sarebbe incongruente la valutazione operata sul contributo informativo offerto dal D., sul passato di amministratore locale dell’ I., contributo carente di elementi individualizzanti, esaurendosi in notizie apprese dalle voci correnti, visto che tutti erano in grado di conoscere l’excursus dell’ I.. Ingiustificata poi sarebbe la sottovalutazione del dato favorevole al ricorrente, quanto alla mancanza di indicazioni significative provenienti dal controllo dei tabulati telefonici, dato che è stato liquidato con la considerazione che il senatore aveva ben altri mezzi con cui contattare gli associati.

4. E’ stato depositato un secondo atto di ricorso, sempre a firma dell’avv. I.F., molto più corposo, con cui sono state ridedotte violazione ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), in relazione agli artt. 125, 192, 194, 195, 210, 526, 546 e 627 c.p.p., nonchè violazione ex art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione agli artt. 110 e 416 bis c.p..

La difesa ripropone l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni di Ca.An., richiamando gli stessi ed identici argomenti posti a base dell’atto di appello: si sostiene che i giudici del rinvio non avrebbero potuto fare rimando agli argomenti della sentenza del 3.12.2004 che è stata annullata e che quindi non sarebbe stata data risposta alle deduzioni difensive.

Viene ripresentata la questione relativa all’attendibilità dei pentiti escussi ed in particolare di C.T. e C. A.: vengono riportati pari-pari stralci dell’atto di appello con cui si sarebbe messo in crisi il giudizio di affidabilità sulle fonti espresso dai giudici di merito, fonti da ritenere – secondo la difesa – come indirette e dunque necessitanti di riscontro privilegiato che non fu raccolto, su cui si sarebbe registrato il vuoto di motivazione. Viene ribadito che in sede di giudizio di rinvio, la Corte d’appello avrebbe dovuto uniformarsi al solo principio di diritto sulla valutazione unitaria e complessiva delle risultanze processuali, senza esasperare alcune considerazioni operate dalla Cassazione che non costituiscono dictum.

Viene ribadito che non sarebbe conforme a verità il racconto del C., secondo cui l’ I. venne appoggiato a livello di competizione elettorale comunale da Gr.Gi., laddove questi, un anno prima del 1985, venne ucciso; non sarebbe rispondente al vero che I. abbia favorito i costruttori f.

g. e fe.do., laddove dalla corruzione dell’imputato ad opera degli imprenditori Ie. e f., lo stesso andò assolto con la formula perchè il fatto non sussiste e per quanto riguarda i rapporti con il fe. la difesa avrebbe dimostrato documentalmente l’insussistenza degli assunti del C., senza che i giudici di merito ne abbiano tratto le debite conseguenze. Non sarebbero state considerate le emergenze favorevoli, quali il dato che f.G. disse di non conoscere I., le dichiarazioni di Sp.Ga. (la cui audizione fu richiesta dal PG) che rappresentò come i G. diedero ordine di sostenere nella campagna elettorale il socialista Af. e quindi di incendiare l’auto di Ci.Gi. e C.M. (fatto provato) che si prodigavano per la campagna elettorale dell’ I.. Non solo, ma in sede di esame di L.B. V., che fu l’organizzatore del movimento Sicilia libera, emerse che l’ I. non era compreso tra i politici che furono contattati per essere coinvolti nel progetto.

Quanto al rappresentato sostegno che i fratelli G. avrebbero offerto all’imputato, così come sulla presenza dell’ I. al summit nel villaggio Euromare, la difesa fa rilevare che il C. offrì quattro versioni diverse. Quanto al sostegno all’iniziativa Sicilia libera, viene obiettato che unica fonte è ancora il solo C., atteso che il Ca. alla fine dovette ammettere di non essere certo che all’imputato sia stato proposto di candidarsi per Sicilia libera. L’aver valorizzato le dichiarazioni di Ca. a sostegno di quelle del C. costituirebbe un grave errore, in quanto lo stesso Ca. sull’incontro intervenuto presso l’ufficio del C., a cui sarebbe stato presente, precisò che l’ I. prese tempo, assumendo di dover valutare una proposta che gli era giunta da altro partito: tale riserva fu interpretata dalla Corte territoriale in perfetta sintonia con il racconto del C., che parlò dell’intenzione dell’ I. di presentare una lista autonoma in occasione delle elezioni politiche del 1994, ma il procedimento inferenziale nel caso di specie sarebbe in contrasto con le più elementari massime di esperienza, visto che la presentazione di una lista "fai da te" è l’antitesi della proposta formulata da altro partito, laddove la prospettazione della candidatura in altro partito, andava letta come il solo modo per sottrarsi ad un’imbarazzante proposta.

Sarebbe stato erroneamente attribuito valore alle dichiarazioni rese da c.f., soggetto sentito in sede di rinnovazione del dibattimento in appello, che ha rappresentato circostanze apprese de relato, su cui la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare il criterio di più rigorosa valutazione imposto dalla corte di Cassazione in sede di annullamento, ricercando le fonti di conoscenza del c., che all’epoca dei fatti era ventenne e non era affiliato ad alcuna famiglia mafiosa e soprattutto valutando il carattere assolutamente affabulatorio delle sue dichiarazioni. Le dichiarazioni dello Sp. sul fatto che i G. appoggiarono l’ A. e non l’ I., sono state sottovalutate. Sarebbe poi del tutto illogica la valutazione data al fatto che l’ I. rifiutò di candidarsi in Sicilia libera, sposando la tesi offerta del C., secondo cui sarebbe stato il B. a non averlo voluto in lista, poichè l’ I. in quel periodo era coinvolto in vicende giudiziarie. Anche la sottovalutazione delle indicazioni rese da Pe.Gi. ed Av.Fi. è stata criticata dalla difesa.

Sulla intervenuta riunione al villaggio Euromare, la difesa sostiene che la sentenza sia priva di motivazione, essendo stato eluso il vero aspetto problematico, che non è quello se detta riunione abbia avuto luogo, bensì quello se I. vi abbia partecipato; la corte ha ritenuto di decretare la presenza dell’imputato sulla base delle indicazioni del S., senza farsi condizionare dalle critiche che erano state elevate nei motivi di appello, è che sono state riportate nell’atto di ricorso e che facevano leva sull’inesatta indicazione del percorso che venne seguito per raggiungere il villaggio, ma soprattutto sul fatto che il menzionato aveva attribuito all’ I. l’iniziativa dell’idea di fondare il movimento Sicilia libera, laddove il C. l’attribuì a se stesso, con i finanziamenti del B..

Sarebbero state del tutto illegittimamente sottovalutate le dichiarazioni rese da Fe.Gi. al pm di Firenze e dal C. al procuratore antimafia, il 18.9.1997 ed al pm di Palermo il 28.5.1997. Non potrebbero fungere da riscontro le dichiarazioni di D.G., in primis perchè il D. parlò di rapporti difficili tra l’ I. ed i G. e poi perchè il dato riportato, secondo cui il progetto dei G. di avvicinare il senatore I. era andato a buon fine, fu una deduzione del D., a seguito di quanto gli aveva detto il fratello e non già una notizia appresa di prima mano.

Sarebbero poi state indebitamente pretermesse le indicazioni del testimone, ispettore c., in relazione al fatto che dal controllo dei tabulati telefonici condotto su un arco di ben quattro anni, non emerse mai un contatto che potesse mettere in relazione l’imputato con i mafiosi menzionati.

Infine, la sentenza della corte d’Appello di Palermo avrebbe disatteso i principi guida offerti dalla Cassazione, allorquando venne asserito che I. accettò nel 1992, il sostegno elettorale di G.G., che partecipò nel 1993 ad alcune riunioni organizzate dal C. e che fu presente all’incontro presso il villaggio Euromare, poichè così opinando ha fondato la sua decisione su presupposti storicamente errati. Su questa base è stato concluso per un concorso esterno nell’associazione mafiosa, disattendendo i parametri offerti dai giudici di legittimità in recenti pronunce, che hanno sottolineato come per ravvisare questa fattispecie sia necessario che il politico, non solo assuma seri e concreti impegni con l’associazione, ma che gli impegni assunti abbiano ad incidere effettivamente e significativamente sulla conservazione e sul rafforzamento delle capacità operative dell’organizzazione. Pertanto, laddove al contrario, risulti indimostrata l’efficienza causale dell’impegno e della promessa d’aiuto del politico sul piano oggettivo del potenziamento della struttura dell’ente criminale, non è consentito convertire surrettiziamente la fattispecie di concorso materiale oggetto dell’imputazione in una sorta di apodittico ed empiricamente inafferrabile contributo al rafforzamento dell’associazione mafiosa in chiave psicologica, nel senso che in virtù del sostegno del politico, l’associazione risulterebbe accreditata nel contesto ambientale di riferimento.

In ultimo, viene contestata la motivazione apparente sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, che non ha tenuto in conto il corretto comportamento processuale, la marginalità del ruolo a lui attribuito, con il che è stata inflitta pena assolutamente sperequata e incongrua; viene anche censurata la mancata motivazione sulla intervenuta applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, che presuppone una valutazione concreta sulla pericolosità del soggetto.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, in quanto sorretto da motivi o non proponibili in questa sede processuale, ovvero non adesivi ai principi di diritto stabiliti dal giudice di legittimità in sede di annullamento della prima sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Palermo.

Si impongono alcune premesse:

a) La doglianza sulla intervenuta utilizzabilità delle dichiarazioni del collaboratore Ca.An. integra un motivo assolutamente inammissibile, considerato che l’art. 627 c.p.p., comma 4 statuisce espressamente che non possono essere proposte nel giudizio di rinvio, nullità anche assolute o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi, o nel corso delle indagini preliminari, laddove la giurisprudenza di questa Corte ha incluso, con lettura assolutamente condivisibile, nella nozione di nullità anche il vizio di inutilizzabilità, in considerazione del fatto che la sentenza della corte di cassazione da cui origina il giudizio stesso determina una preclusione, con riguardo a tutte le questioni non attinte dalla decisione di annullamento (il dedotto ed il deducibile, secondo la tradizionale formula giurisprudenziale) nel contesto del fenomeno della formazione del giudicato progressivo (cfr. Cass. Sez. quinta 10.3.2009, n. 10624). b) Va ricordato che è principio pacifico che il giudice del rinvio sia investito di pieni poteri di cognizione e possa rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed ampia autonomia, a condizione però che il proprio convincimento sia motivato sulla base di argomentazioni diverse da quelle ritenute illogiche in sede di legittimità e, sebbene non siano vincolanti per i giudici del rinvio, eventuali valutazioni sulla attitudine dimostrativa di certi fatti, contenute nella sentenza di annullamento, tuttavia l’omessa valorizzazione di questi fatti può rilevare come indicativa di vizi del percorso inferenziale, posto che queste indicazioni – ancorchè in fatto e per questo non integranti il dictum – non possono nemmeno essere sovvertite come propone la difesa, ma vanno riprese nell’ambito del rinnovato percorso argomentativo sollecitato attraverso il giudizio di rinvio. c) Ai principi che debbono guidare l’interprete nella valutazione delle chiamate in correità, è bene aggiungere per migliore chiarezza e per meglio valutare la correttezza del peso attribuito a ciascun contributo dichiarativo, – singolarmente valutato prima di farlo interagire con la pluralità delle emergenze raccolte, giustapponendo gli indizi tra loro come è stato detto nel giudizio rescindente – quello secondo cui l’intraneo ad un sodalizio criminoso che riferisca notizie assunte nell’ambito associativo non può essere ritenuto fonte de relato, essendo latore di notizie acquisite nell’ambito associativo, quindi notizie oggetto di patrimonio comune, quanto ad associati e ad attività proprie della cosca, cosicchè alla fonte va riconosciuta la natura diretta e non già de relato (cfr. ex pluribus Cass. Sez. 1^ 6.5.2010).

Passando alla disamina dei singoli motivi esposti nel primo atto di ricorso, va detto che non è assolutamente ravvisabile la violazione dedotta quanto al fraintendimento dei principi devoluti in sede di legittimità, in tema di metodo di valutazione della prova, da parte della corte territoriale. La difesa indica quale esempio di sconfinamento, il fatto che siano stati elevati, a comprova di condotta mafiosa, i contatti avuti dall’ I. con il senatore Cerami, laddove mai venne accertato che quest’ultimo fosse organico a cosa Nostra: a pag. 29 e 30 della sentenza si legge che la morte del Cerami occorsa nel 1985, lo sottrasse alle indagini iniziate negli anni successivi, con il che non poteva definirsi soggetto mafioso, ragion per cui la conclusione è assolutamente in linea con quanto pretende la difesa. Stesso discorso vale per quanto riguarda la vicenda dell’intimidazione al presidente Scaduti, che la Corte di merito ha liquidato come indicativa di vicinanza tra l’ I. ed il notaio F.P., autore riconosciuto del grave ed inquietante episodio di intimidazione (v. pag. 44), senza ulteriori inferenze, il che dimostra la pretestuosità della doglianza e la sua manifesta infondatezza.

Non è ravvisabile alcun deficit motivazionale nel fatto che non sia stata offerta espressa motivazione sulla mancata valorizzazione degli ulteriori contributi dichiarativi raccolti nel giudizio di rinvio, atteso che la Corte, nel rappresentare il compendio probante delineatosi con i dati rappresentativi ritenuti talora sovrapponibili, talaltra complementari di C., Ca., S., Fe., c. e D., ha rinnovato il percorso logico deduttivo, senza venire assolutamente meno al suo dovere di esplicitazione dei singoli passaggi e di completezza di valutazione delle emergenze disponibili, avendo la motivata preferenza (in termini di portata probante) accordata a talune dichiarazioni, necessariamente attestato la soccombenza di altre. Del resto già a pag. 60 della sentenza di primo grado, era stato sottolineato come i testi di riferimento di cui era stata chiesta l’audizione erano per lo più soggetti gravemente pregiudicati per reati di mafia e che quindi era fin troppo ovvia la ragione per cui era stato ritenuto di dare maggior credito ai collaboranti, che non ai loro antagonisti, che hanno negato la veridicità di ogni circostanza di rilievo processuale, ragionamento questo del tutto in linea con i corretti canoni di valutazione.

Manifestamente infondate sono le deduzioni sulla immotivata attendibilità riconosciuta al dichiarante c.f. e sulla illogicità della motivazione sullo scarso credito riconosciuto a Pe.Gi. e ad Av.Fi.. Sul C. la Corte ha riconosciuto la portata de relato del suo narrato, valorizzandolo in chiave di riscontro – quanto all’intervenuto appoggio fornito all’imputato dall’associazione mafiosa alle elezioni politiche del 1992 -, esattamente nel solco tracciato dalla sentenza della corte di Cassazione. Per quanto non possa trovare applicazione in ipotesi di dichiarazione de relato dei collaboranti, la disciplina della testimonianza indiretta, è stata peraltro citata in giudizio la fonte di conoscenza menzionata dal C., che si è avvalsa della facoltà di non rispondere, con il che nessun addebito di forzatura può essere seriamente avanzato, atteso che il racconto del c. si inseriva nei binari tracciati da altri propalanti e quindi in assenza di elementi dimostrativi di condizionamenti (non essendo un buon motivo per dubitare di lui, il fatto che all’epoca dei fatti avesse solo venti anni), non vi era alcuna plausibile ragione per ritenerlo inaffidabile. Quanto alla valutazione del Pe., la Corte invero senza alcun salto logico, ha ripreso il giudizio di inaffidabilità, già espresso in modo molto compiuto e motivato, dal Tribunale di Palermo che lo aveva definito – dopo averne tratteggiato l’excursus avanti ai giudici – soggetto non disponibile all’accertamento della verità, in quanto non disposto a fornire dati indispensabili a consentire le debite verifiche, valutazione che si è rafforzata all’esito del suo comportamento in sede di giudizio di rinvio. E questo giustifica ampiamente la ragione per la quale la corte di merito non abbia dato credito al C., quanto al rappresentato appoggio che sarebbe stato offerto nel 1985 dal Gr. all’ I., non potendo valutare riscontro la dichiarazione del Pe., a causa proprio del suo bi frontismo, con ciò dimostrando piena aderenza al dettato dell’art. 192 c.p.p..

Infine, sull’ Av., la Corte territoriale ha fornito – contrariamente a quanto dedotto dalla difesa-plausibilissima giustificazione sulla difficoltà a credergli, in ragione del fatto che in quel particolare contesto in cui le elezioni del 1992 avvennero, il PSI (in cui militava il ministro Ma. che aveva eletto Fa.Gi. a suo primo collaboratore) non poteva più contare sul gradimento degli uomini di mafia, con il che doveva ritenersi non veritiero il suo assunto, teso a dimostrare che nessun appoggio fu offerto all’ I., essendo stato preferito il partito Socialista Italiano.

Sulla non decisività in chiave difensiva del dato emerso dalle dichiarazioni dell’ispettore c., le motivazioni che hanno offerto i giudici di merito si saldano tra loro e, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, offrono una giustificazione razionale e congrua della sottovalutazione del dato probante in chiave difensiva, atteso che oggetto dell’indagine furono solo l’utenza veicolare e quella mobile assegnata all’ I. dal comune di Palermo, utenze non riservate e quindi verosimilmente non usate per mantenere contatti imbarazzanti. Su detti punti i motivi suonano del tutto inammissibili, in quanto ripetitivi delle doglianze espresse nei gradi precedenti e sui quali non sono mancati adeguati argomenti a confutazione nella sentenze di merito.

Quanto al difetto di motivazione e al lamentato strappo rispetto ai principi dispensati dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento menzionata, in ordine al giudizio di affidabilità riservato ai chiamanti in correità CA. e C., S. e D., va detto che i motivi non sono fondati, anche perchè in buona parte trattasi di riproduzione delle doglianze espresse nei motivi di appello e riportati integralmente con il secondo atto di ricorso. E’ del resto inconfutabile che il compito del giudice di legittimità non è quello di avanzare diversa valutazione a quella compiuta dai giudice di merito, in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, quanto piuttosto quello di stabilire se sia stata fornita corretta interpretazione delle fonti stesse e sia stata applicata la regola imposta dalla logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno indotto a preferire talune conclusioni piuttosto che altre.

E allora, correttamente sotto il profilo giuridico, i due più contestati propalatori ( C. e Ca.) sono stati reputati al rango di fonte diretta "essendo espressione di un flusso circolare di informazioni dello stesso genere di quello che produce di regola in ogni organismo associativo, sui fatti di interesse comune" (v. sent. di annullamento pag. 6); avendo entrambi offerto contributi di conoscenza di prima mano, le loro dichiarazioni sono state reputate compenetrabili tra loro, nella piena consapevolezza che convergenza non significa sovrapposizione e che eventuali smagliature non pregiudicano la valenza probatoria sull’ossatura dei fatti che riguardano l’incolpato. Erra quindi la difesa ad insistere nel riproporre una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli contributi, laddove l’essenza del principio di diritto espresso con la sentenza di annullamento in oggetto è proprio quello di assicurare una valutazione unitaria delle emergenze disponibili, in un orizzonte ampio per apprezzarne non necessariamente la sovrapposizione, ma l’incastro dei singoli elementi che non abbiano autonoma capacità dimostrativa. La rappresentazione del C. sulla attivazione da parte di cosa Nostra ed in particolare da parte dei fratelli G. di Brancaccio, sul fronte della campagna elettorale pro I. nel 1992, non poteva non essere reputata indicazione di peso dai giudici di merito, sul presupposto che il C. rappresentava l’esperto politico del gruppo (avendo militato fin da giovanissimo come dirigente della DC nel movimento giovanile del quartiere di Brancaccio ed avendo rivestito il ruolo di componente del consiglio del quartiere comprendente Brancaccio – Ciaculli), così come l’ulteriore indicazione dell’essere stato nel 1993, egli C. il motore del movimento Sicilia Libera che il B. aveva ritenuto di costituire, in opposizione ai partiti politici manifestatisi inaffidabili. Parimenti dicasi di quanto offerto in termini di conoscenza dei fatti dal Ca., (uomo vicinissimo al B., ancorchè non occupato sul fronte politico) sul coinvolgimento dell’ I., politico indicato come fedele dei G., nella iniziativa di Sicilia libera e dichiaratosi presente ad una delle riunioni nell’ufficio del C. con l’ I., riunione a cui egli Ca. partecipò su delega del B.. La convergenza del molteplice sul punto è stata quindi correttamente ritenuta integrata, in ossequio ai principi delineati nella sentenza di annullamento, con il che il dato sull’intervenuto appoggio elettorale di cosa nostra all’imputato nel 1992 e sul successivo coinvolgimento del medesimo nel movimento Sicilia libera, non poteva non essere ritenuto certo.

Non è rivelatore di ragionamento errato il fatto che l’ I. si sia sfilato dal progetto Sicilia libera, avendo i giudici di merito ricollegato il mancato definitivo coinvolgimento dell’ex senatore con il fatto che le sue fortune personali stavano per essere compromesse da incalzanti indagini giudiziarie sul medesimo (dato storico certo questo), il che rendeva non prudenziale in quel delicato momento storico il cooptarlo, ragion per cui non di rifiuto da parte dell’ I. si ha riguardo, quanto ad un ritiro della proposta, alla quale congruamente è stato attribuito ben altro significato nel panorama delle emergenze disponibili.

Quanto alla contestata affidabilità riconosciuta a S. V., gli argomenti difensivi non sono idonei a minare il corretto argomentare della sentenza gravata, che ha attribuito capacità dimostrativa all’assunto del S. (organico della famiglia di Mazara del Vallo e legato a filo doppio con M. D.M., rappresentante di cosa nostra nella provincia di Trapani) sul fatto di aver partecipato ad un summit presso il villaggio Euromare in epoca successiva all’estate 1993, di aver avuto contezza dell’incontro riservato tra i tre latitanti sopramenzionati ed una quarta persona, a cui tutti gli altri furono esclusi, fungendo il S. in questo segmento rappresentativo come fonte diretta, accreditata dal FE. che per quanto nulla abbia potuto dire sulla presenza dell’ I. al villaggio Euromare, fu invitato insieme al S. ed al ca. a farsi da parte, in concomitanza con la necessità di riservatezza che era sopravvenuta, dato rappresentativo questo che, con corretta procedura deduttiva – sollecitata del resto in sede di annullamento-, è stato ritenuto la prova delle particolari cautele adottate nell’occasione. Il dato non poteva esser messo in discussione, in ragione delle difficoltà a collocarlo nel tempo e della errata indicazione del percorso seguito per raggiungere il villaggio dai partecipanti, trattandosi di circostanze queste opportunamente considerate di dettaglio nella logica ricostruttiva, a fronte della inequivocità del villaggio indicato come quello di proprietà del C. e già sede di latitanza del B.. Nè è ravvisarle lo scostamento dai principi enucleati in sede di annullamento, nel passaggio motivazionale in cui il dato, per quanto appreso da terzi (l’essere stato l’ I. la persona sopraggiunta per l’incontro segreto), è stato comunque valorizzato, sia perchè venne indicata con plausibilità logica la fonte della notizia (che non poteva che essere soggetto collocato ai vertici) e sia perchè la rappresentazione riportava l’ I. nell’orbita dei più feroci capimafia latitanti, così come attestato da C. e Ca., in epoca di poco precedente il suo intervenuto arresto.

La dichiarazione del S. era stata del resto fortemente valorizzata dai giudici di primo grado, in ragione del fatto che il suo contributo informativo proveniva da soggetto avulso dal contesto geografico ed associativo in cui si muovevano i soggetti menzionati, privo di conoscenze anche generiche sull’imputato e del tutto disinteressato rispetto alla vicenda narrata, il che consentiva di mitigare la natura di fonte indiretta quanto all’ I.:

l’argomentazione non offre il destro ad alcuna accusa di caduta, avendosi riguardo ad un percorso logico lineare e non forzato.

Le doglianze sulla accertata non conformità al vero degli indicati rapporti tra I. e Gr.Pi. nel lontano passato e quelli riguardanti i rapporti con gli imprenditori F. e fe. non hanno alcuna ricaduta sulla coerenza del ragionamento probatorio, essendo dati che non fungono da base portante l’impalcato probatorio, con il che ogni discussione non può che essere sterile di conseguenze, ponendosi al di fuori del thema probandum, essendo stato valorizzato dalla corte (e non poteva non esserlo) a fini accusatori, solo il dato offerto dall’imprenditore IE.Gi. di aver versato a mani dell’ I. la somma di cento milioni di L., nella seconda metà degli anni 80, quando questi operava come assessore presso il comune di Palermo, dato che è stato ritenuto il solo ad attitudine dimostrativa del patto corruttivo risalente nel tempo.

Nè sono recepitali i motivi sulla mancata valutazione di argomenti offerti dalla difesa, quanto alla ritenuta inaffidabilità di Sp.Ga., posto che dal contributo che questi offrì, la Corte ha dovuto prescindere, perchè non significativo nè in senso accusatorio, nè in senso difensivo, con il che diventa superflua qualsivoglia dissertazione, anche ammesso e non concesso che Sp. abbia accreditato che i G. non fecero campagna elettorale per I.. Nè ancora colgono nel segno i motivi di impugnazione allorquando delineano la frustrazione del principio di diritto nell’avere i giudici del merito valorizzato le dichiarazioni del pluriomicida D.G., in chiave di riscontro del C.: conformemente a quanto statuito dalla sentenza di annullamento, – secondo cui anche la chiamata de relato può fungere da riscontro, ancorchè necessiti di rigorosa valutazione – i giudici di merito hanno recepito il dato offerto dal propalante di aver appreso dal fratello G., compare di anello di G. F., che I. aveva ricevuto un forte appoggio per la scalata al senato nel collegio Brancaccio-Giaculli, negli anni novanta e che negli anni precedenti aveva saputo di interventi del medesimo come assessore al comune di Palermo di aperto favore a personaggi in odore di mafia e comunque espressivi di un patto corruttivo che era stato conclamato dallo Ie.. Il limitato valore probante che è stato riconosciuto alle dichiarazioni del menzionato non segna alcuna frattura rispetto al principio di diritto dispensato.

Sulla qualificazione giuridica dei fatti, i motivi di ricorso sono parimenti infondati.

La corte di Cassazione sezione quinta, nell’annullare la prima sentenza della corte d’appello di Palermo, aveva invitato il giudice di merito a non sottrarsi all’interrogativo se nella specie si sia in presenza di condotta partecipativa, ovvero di concorso eventuale, ovvero ancora di mera contiguità, ed era stato sottolineato il principio, che oggi costituisce vero e proprio diritto vivente, secondo cui è organico all’associazione chi prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei suoi fini, mentre è concorrente esterno chi, non inserito stabilmente nella struttura fornisca un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo causalmente rilevante ai fini della conservazione e del rafforzamento delle capacità operative del sodalizio.

La corte territoriale non ha affatto disatteso i dieta sul punto, ben consapevole del precedente delle Sezioni Unite (12.7.2005, n. 33748), richiamato dalla difesa, e con operazione ineccepibile sotto il profilo logico, ha posto come base inferenziale per poi concludere in termini di concorso esterno, il fatto che l’imputato abbia accettato il sostegno elettorale per la candidatura al Senato nel 1992 del boss G., il fatto che nel 1993 abbia partecipato a più di una riunione organizzata dal C. quale delegato del B. per la formazione di un nuovo soggetto politico, oggetto di interesse da parte del B. stesso, il fatto che abbia partecipato all’incontro con i tre peggiori latitanti di mafia al villaggio Euromare, nell’autunno 1993. L’intervento dell’ I. a favore dell’associazione, in contropartita del sostegno ricevuto nelle elezioni del 1992 dai boss del quartiere Brancaccio ( quartiere ad elevatissima densità criminosa), è stato ritenuto, – sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità – materializzato nell’intervento del medesimo in un momento di particolare difficoltà per l’associazione (nell’ autunno 1993, dopo le stragi di mafia e quindi in concomitanza con la risposta repressiva dello stato), con l’incontro presso il villaggio Euromare:

con detto incontro è stato ritenuto che l’ I. non abbia voluto dare un appoggio generico alla consorteria, ma abbia reso una vera e propria consulenza sulle scelte che la compagine avrebbe dovuto apprestarsi a prendere nella prospettiva di un diverso tipo di lotta contro lo Stato e di una diversa strategia, indispensabile per la conservazione della compagine e per la prosecuzione dei lucrosi affari illeciti che la contraddistinguevano. Il fatto che ben tre latitanti abbiano accettato l’elevato rischio di radunarsi in un medesimo luogo, come aveva sottolineato il Tribunale, da il segno dell’importanza strategica riconducibile alla presenza dell’ I., che non può essere liquidata come occasione finalizzata solo ad aumentare il credito del sodalizio. Ed infatti non è un caso che il Tribunale abbia valorizzato un altro passaggio delle dichiarazioni del C., secondo cui l’ex senatore gli aveva manifestato il suo sfogo verso i G., ritenuti incapaci di comprendere che i tempi erano cambiati, nel senso che era diventato più difficile esaudire le loro richieste in quel particolare momento storico, successivo alle stragi, circostanza assolutamente compatibile con i descritti atteggiamenti di prepotenza che T.V. e P.G. avrebbero assunto verso l’allora senatore, in occasione degli incontri presso il C. stesso. Su detta base è assolutamente consentito, sotto il profilo logico, ricavare non solo il grado di compromissione dell’ I. nei confronti dei G., ma soprattutto l’ineluttabilità e l’effettività di un contributo di consulenza quanto alle strategie non solo di sopravvivenza, ma anche di rafforzamento del sodalizio (nel senso di ottenere vantaggi nello lotta allo Stato) in momenti di particolare difficoltà, quale appunto quello che caratterizzò l’autunno 1993. Consulenza che proprio per i caratteri della serietà e della concretezza rivestita, – indipendentemente dalle successive condotte esecutive dell’accordo criminoso -, ebbe una ricaduta sulla conservazione e sul rafforzamento delle capacità operative dell’organizzazione. Dunque nessuna forzatura è dato riscontrare, poichè corretta è stata l’applicazione dei principi del diritto vivente, compendiati nella sentenza di annullamento con rinvio, anche in punto qualificazione giuridica dei fatti.

Quanto infine, ai motivi relativi alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non si rileva alcun deficit motivazionale, come sostenuto dalla difesa, in quanto, sia i primi che i giudici di seconde cure, hanno ricondotto il giudizio negativo espresso sulla personalità dell’imputato, alla gravità della condotta accertata tenuta nel momento in cui rivestiva l’alta carica di senatore della repubblica ed alla pericolosità dei soggetti con cui l’imputato ebbe a collaborare, in un momento storico difficile per lo Stato che egli avrebbe dovuto fedelmente servire: in sede di legittimità è rimesso il controllo sull’esistenza e congruità della motivazione, non già sulla ritenuta prevalenza degli elementi deponenti in senso contrario alla concessione delle circostanze attenuanti, rispetto a quelli favorevoli indicati dalla difesa, operata in sede di merito. La valutazione nel suo complesso (sia in punto mancata concessione delle circostanze attenuanti, sia in punto quantificazione della pena) nel caso di specie non fu arbitraria, ma fu supportata da esplicitate ragioni su cui è inibito l’esame in questa sede.

Infine, quanto alla disposta misura di sicurezza nessun profilo di illegittimità è dato cogliere, atteso che l’applicazione consegue per dettato normativo ( art. 417 c.p.), alla condanna per delitto di cui agli art. 416 c.p. o art. 416 bis c.p.. E’ infatti stato affermato da questa Corte che nel caso di condanna per associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza non richiede l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, operando una presunzione semplice desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla connaturata persistenza nel tempo del vincolo malavitoso (cfr. Cass. Sez. 1^, 29.10.2007 n. 6847), non ritenuta superata dai giudici di merito, che hanno evidenziato come l’ I., seppure incensurato, è soggetto già sottoposto per quattro anni alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. L’imputato dovrà rifondere a favore della parte civile costituita le spese del presente giudizio, che vengono liquidate in Euro 5.000,00, oltre spese generali, Iva, Cpa come per legge.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione a favore della parte civile costituita delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000, 00, oltre spese generali, IVA, CPA come per legge.

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