Cons. Stato Sez. VI, Sent., 23-02-2011, n. 1116 Carriera inquadramento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) – Con l’appellata sentenza, n. 1839 del 21 luglio 2005, resa sul ricorso n. 6/1997, il TAR del Veneto ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti per l’accertamento del diritto a percepire gli interessi legali e la rivalutazione monetaria maturati sul trattamento economico migliorativo ad essi già corrisposto in conseguenza dell’inquadramento economico disposto in loro favore ai sensi dell’art. 1 della legge 21 febbraio 1989, n. 63.

In punto di fatto hanno ricordato i primi giudici che i ricorrenti, tutti dipendenti di ruolo dell’Università degli Studi di Padova, inquadrati nelle qualifiche del personale tecnicoamministrativo in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge 11 luglio 1980, n. 312, ma successiva alla data dell’1 luglio 1979, erano stati esclusi dai benefici di inquadramento contemplati dalla medesima legge n. 312 del 1980 (cc.dd. "settantanovisti"); sennonché, a seguito dell’entrata in vigore della legge 21 febbraio 1989, n. 63, recante "disposizioni per alcune categorie di personale tecnico ed amministrativo delle università", tutti i ricorrenti hanno presentato apposita istanza per conseguire l’inquadramento previsto in coerenza con le mansioni da essi svolte, secondo quanto disposto dall’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 della legge stessa.

Conseguentemente, l’Università di Padova ha provveduto a nominare più commissioni, articolate per ciascuna delle diverse aree funzionali del personale, le quali hanno sottoposto nel corso del 1980 tutti gli aventi titolo al nuovo inquadramento ad una prova di idoneità, finalizzata all’accertamento della formazione e della specifica esperienza lavorativa acquisita nella struttura presso la quale gli stessi interessati avevano prestato servizio; e, tra di essi, gli originari ricorrenti hanno sostenuto la prova e hanno, pertanto, conseguito l’inquadramento nella qualifica e nel profilo professionale spettante.

Tuttavia, ricorda, ancora, il TAR, l’inquadramento stesso è stato disposto soltanto nei primi mesi del 1992, previa adozione di apposita deliberazione del Consiglio di Amministrazione dell’Università e conseguente emanazione di un decreto rettorale indicante – tra l’altro – per ciascuno degli interessati la decorrenza del nuovo inquadramento e l’ammontare del maturato economico da corrispondere a titolo di arretrato con decorrenza 15 marzo 1989 per il personale in servizio al momento dell’entrata in vigore della legge n. 63 del 1989 e dalla data di immissione in ruolo per il personale assunto successivamente; ai medesimi ricorrenti non sono state, peraltro, corrisposte le spettanze stipendiali arretrate riguardanti il lasso di tempo intercorso tra la predetta data del 15 marzo 1989, ovvero dalla propria assunzione in ruolo se successiva, e la data corrispondente al mese successivo alla comunicazione degli esiti favorevoli delle prove di idoneità.

A tale proposito, i ricorrenti hanno rivolto all’Università numerose richieste scritte, rimaste senza esito sino a quando la medesima Amministrazione, nel maggio 1993, ha comunicato loro che il pagamento di quanto richiesto era stato momentaneamente sospeso, stante la necessità di attendere il visto e la registrazione della Corte dei Conti su ciascuno dei decreti rettorali di nuovo inquadramento e che, comunque, il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica era in attesa di ricevere un parere del Consiglio di Stato in ordine alla decorrenza delle spettanze arretrate conseguenti all’applicazione della legge n. 63 del 1989.

Tuttavia, per effetto dell’art. 4, comma 2, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 -medio tempore entrato in vigore – l’apposizione del visto della Corte dei Conti sui provvedimenti di inquadramento del personale statale era stato eliminato; e, anche a seguito di talune pronunce giurisdizionali che avevano accertato il diritto dei dipendenti a percepire le spettanze stipendiali derivanti da provvedimenti di reinquadramento unitamente agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data di inquadramento del personale medesimo, l’Università ha corrisposto agli interessati, nel novembre del 1994, quanto ad essi spettante a titolo di arretrato, senza peraltro corrispondere su tali somme gli interessi legali e la rivalutazione del credito.

Tale pagamento è, altresì, avvenuto previa sottoscrizione, da parte degli interessati, di una dichiarazione con la quale essi accettavano le somme di cui trattasi a titolo di mera "provvisionale" e con temporanea rinuncia alla pretesa sugli interessi legali e sulla rivalutazione monetaria.

Secondo la difesa dei ricorrenti in primo grado (e odierni appellanti), peraltro, l’art. 11 del D.L. 21 aprile 1995, n. 120, convertito in legge 21 giugno 1995, n. 236, avrebbe definitivamente rimosso ogni dubbio sulla vicenda, disponendo esso nel senso che gli inquadramenti adottati "ai sensi dell’articolo 1 della legge 21 febbraio 1989, n. 63, possono avere decorrenza giuridica ed economica dalla data di entrata in vigore della legge medesima ovvero dalla data del superamento del periodo di prova per il personale assunto anche successivamente alla predetta data purché sulle carriere previste dall’ordinamento precedente alla legge 11 luglio 1980, n. 312, ed entro il 31 agosto 1992": e, nondimeno, la stessa Università non aveva dato riscontro alle ulteriori richieste che i medesimi avevano – da ultimo – rivolto nel 1996 al fine di ottenere quanto ad essi spettante a titolo di interessi e di rivalutazione del credito; donde la richiesta, avanzata in primo grado, della declaratoria dell’accertamento del proprio diritto alla corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria maturati sul trattamento economico migliorativo già ad esso corrisposto ai sensi dell’art. 1 della legge n. 63 del 1989, con conseguente condanna dell’Università degli Studi di Padova al pagamento delle relative spettanze.

2) – Il TAR ha respinto il ricorso, rilevando che i primi provvedimenti di inquadramento degli interessati erano stati fatti oggetto di rilievo, in sede di controllo, da parte della Corte dei Conti e non erano stati ammessi al visto e alla conseguente registrazione, sicché l’Amministrazione ne aveva disposto il ritiro (essendo, così, essi rimasti inefficaci); mentre soltanto con la deliberazione del consiglio di amministrazione dell’8 novembre 1994 era stato disposto di procedere agli inquadramenti in questione, sia pure perdurando le perplessità da parte della Procura Regionale della Corte dei Conti, venute poi meno per effetto dell’interpretazione autentica disposta dall’art. 11 del d.l. n. 120 del 1995, convertito in legge n. 236 del 1995.

Ebbene, ha ritenuto il TAR, in ordine allo specifico problema della determinazione del dies a quo per il computo degli interessi e della rivalutazione del credito in dipendenza degli inquadramenti disposti in esecuzione della legge 63 del 1989, che la giurisprudenza appariva, ormai, attestata su posizioni ben differenti rispetto a quelle esposte dalla difesa dei medesimi ricorrenti, essa essendo nel senso che l’inquadramento previsto dalla citata disposizione ha carattere costitutivo, essendo frutto di valutazioni discrezionali; con la conseguenza che, trovando il diritto medesimo fonte direttamente nel provvedimento amministrativo e non nella legge, la data di sua maturazione era quella dello stesso provvedimento e soltanto da tale data potevano essere pretesi interessi e rivalutazione, connessi alla nuova posizione lavorativa, ancorché avente efficacia retroattiva; orientamento, questo, coerente con il principio di ordine generale che fa coincidere la maturazione del credito con la data del provvedimento costitutivo dello status dal quale nasce il diritto alla nuova posizione retributiva (anche se con efficacia retroattiva), neppure inciso dalla disposizione contenuta nell’art. 11, comma 1, D.L. 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 21 giugno 1995, n. 236.

Quanto all’argomento secondo cui la norma legislativa avrebbe considerato l’inquadramento sulla base delle mansioni un diritto del dipendente, nascente dalla legge e soggiacente, però, alla condizione risolutiva dell’esito della prova idoneativa, la tesi era smentita, ad avviso dei primi giudici, dalla ratio e dalla lettera delle disposizioni contenute nei commi dal 2 al 5 del citato art. 1, i quali configurano l’attività posta in essere dall’Amministrazione, per accertare "sia la formazione, sia la specifica esperienza lavorativa acquisita nella struttura presso cui gli stessi prestano servizio" come una tipica attività tecnicodiscrezionale.

In definitiva – hanno ritenuto i primi giudici – il provvedimento di inquadramento, conseguente al superamento delle prove, ha natura costitutiva della nuova posizione giuridicoeconomica, quale che ne sia poi l’efficacia, senza che dalla retroattività possa anche farsi dipendere la decorrenza della maturazione del credito.

3) – Per gli appellanti la sentenza sarebbe da riformare in quanto basata su presupposti giuridicofattuali erronei, dal momento che l’unico inquadramento operato dall’Università sarebbe stato quello del 1992 e i relativi provvedimenti sarebbero divenuti immediatamente esecutivi ai sensi della legge 9 maggio 1989, n. 168 (che, per le Università, ai sensi dell’art. 7, decimo comma, aveva escluso la necessità del controllo preventivo); provvedimenti che, se pure avviati alla registrazione presso la corte dei Conti, sarebbero stati restituiti, almeno, taluni di essi, debitamente registrati, mentre altri sarebbero stati semplicemente restituiti in quanto, nelle more, la legge n. 29 del 1993 aveva fatto venire meno la necessità anche del controllo esterno successivo, essendosi trattato di atti relativi a rapporti di lavoro di personale appartenente ad una pubblica amministrazione; con la conseguenza che interessi e rivalutazione monetaria si sarebbero dovuti computare quanto meno a far tempo dall’adozione dei provvedimenti di inquadramento disposti nel 1992 a seguito del superamento degli esami idoneativi.

L’Amministrazione appellata si è costituita, resistendo, solo nel secondo degli appelli in esame (n. 4373/2006).

4) – Gli appelli – che vengono riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza – sono infondati.

Costituisce principio consolidato, invero (cfr., tra le altre, Sez. VI, 17 dicembre 2003, n.8242; 2 agosto2006, n. 4729; 6 marzo 2003, n. 1238; 23 novembre 2004, n. 7690), quello secondo cui i provvedimenti di inquadramento disposti in applicazione della legge n. 63 del 1989 hanno carattere costitutivo, con la conseguenza che gli effetti economici decorrono, salva espressa attribuzione di retroattività, dalla data di adozione del provvedimento di inquadramento e non dalla data di entrata in vigore della legge stessa; dal che deriva che, anche ove l’Amministrazione universitaria attribuisca agli inquadramenti decorrenza, agli effetti economici, dalla data di entrata in vigore della legge n. 63 del 1989, non è comunque ipotizzabile un colpevole ritardo dell’Amministrazione, sicché sugli emolumenti arretrati non sono dovuti interessi e rivalutazione fino alla data dei decreti di inquadramento (in tal senso, cfr. anche: Cons. St. VI, 1° marzo 2000, n. 1102; 17 marzo 2000, n. 1424, secondo cui l’inquadramento del pubblico dipendente in qualifica superiore disposto in applicazione della legge 21 febbraio 1989, n.63 "ha carattere costitutivo trovando il diritto fonte direttamente nel provvedimento amministrativo e non nella legge, la data della sua maturazione è quella dello stesso provvedimento e quindi gli interessi e la rivalutazione spettanti su emolumenti arretrati decorrono dalla data di adozione dell’atto attributivo della nuova posizione retributiva, ancorché avente efficacia retroattiva").

A fronte delle incertezze sorte in ordine alla decorrenza degli effetti dei decreti di inquadramento, tuttavia, il legislatore – come evidenziato nella citata decisione n. 8242 del 2003 – ha stabilito, con l’art. 11 del d.l. 21 aprile 1995, n.120, convertito nella legge 21 giugno 1995, n.236, che gli inquadramenti disposti ai sensi dell’articolo 1 della legge 21 febbraio 1989, n.63, "possono avere decorrenza giuridica ed economica dalla data di entrata in vigore della legge medesima ovvero dalla data del superamento del periodo di prova per il personale assunto anche successivamente alla predetta data purché sulle carriere previste dall’ordinamento precedente alla legge 11 luglio 1980, n. 312, ed entro il 31 agosto 1992"; sicché deve ritenersi che le Università siano state, in effetti, facoltizzate, ma non obbligate, a dare decorrenza economica retroattiva ai decreti di inquadramento. Circa la questione se tale norma sia da ritenersi innovativa o interpretativa, ritiene il collegio – come già statuito nella menzionata pronuncia del 2003 – che non vi sono elementi per attribuire ad essa carattere interpretativo, perché – in assenza di una autoqualificazione in tal senso – neppure vi è stata la riqualificazione normativa di un istituto preesistente.

La norma, invero, si inserisce in un dibattito in corso e lo risolve pragmaticamente, facoltizzando le Università a far retroagire gli inquadramenti, con onere a carico delle medesime e non del bilancio statale; sicché la norma stessa non prende alcuna posizione in ordine al dibattito in corso, né a favore di una soluzione né di un’altra.

La soluzione corretta va dunque desunta dall’ordinamento vigente e quindi dalla interpretazione della giurisprudenza, secondo la quale, invero, gli inquadramenti di cui alla legge n. 63 del 1989 hanno carattere costitutivo e, dunque, gli effetti economici decorrono dalla data dell’inquadramento e non dalla data di entrata in vigore della medesima legge, con la conseguenza che solo dalla data di concreta adozione dei provvedimenti di inquadramento – nella specie, dal mese di novembre del 1994 – si sarebbe potuta porrre la tematica relativa all’erogazione di interessi e rivalutazione monetaria; ma, sul punto, non vi è questione, essendo state erogate fin da allora le somme relative al disposto reinquadramento.

Né può convenirsi con gli appellanti nel ritenere che, in effetti, i provvedimenti di inquadramento erano già stati assunti nel 1992, divenuti esecutivi in base alla disciplina normativa all’epoca vigente per le Università (controllo – solo successivo, ai sensi della legge n. 168 del 1989 – da parte della Corte dei Conti, soppresso dal decreto legislativo n. 29 del 1993 senza che mai la Corte stessa abbia restituito non registrato alcuno dei predetti provvedimenti del 1992) e mai rimossi dall’Ateneo.

Soltanto con il citato decreto legge del 1995 le Università, infatti, come sopra precisato, hanno potuto attribuire effetti retroattivi agli inquadramenti e, se così è, allora i decreti di inquadramento del 1992, laddove hanno conferito effetti economici retroattivi agli inquadramenti, non potevano ritenersi, all’epoca, produttivi di effetti vincolanti, tanto più sotto il profilo della capacità di far maturare interessi e rivalutazione monetaria; di fatto, invero, la stessa Università, attese le marcate incertezze circa la corretta interpretazione normativa, non ha dato mai concreta esecuzione al pagamento dei compensi arretrati se non a partire dall’adozione della delibera del consiglio di amministrazione del mese di novembre del 1994 che, a ben vedere, ha concluso il procedimento avviato nel 1990 per dare attuazione alla legge n. 63 del 1989.

Deve escludersi, quindi, che, per il periodo precedente alla delibera del mese dell’8 novembre del 1994 fosse ipotizzabile l’esistenza di un obbligo, per l’Ateneo, di attribuzione degli arretrati e a maggior ragione, quindi, di un obbligo di corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria sui relativi compensi (in astratta ipotesi, si potrebbe, piuttosto, dubitare della legittimità dell’attribuzione degli arretrati a far data dal mese di novembre 1994, in considerazione del fatto che è soltanto con la novella normativa, non interpretativa, del 1995 che deve ritenersi insorta la facoltà, per le Università, di corrispondere il trattamento differenziale per arretrati di cui si tratta).

4) – Per i motivi che precedono gli appelli in epigrafe sono infondati e vanno respinti.

Nulla per le spese del grado quanto all’appello n. 10448/2005, non essendosi costituita in quel giudizio l’Amministrazione appellata.

Quanto all’appello n. 4373/2006, per il criterio della soccombenza segue la condanna delle appellanti al pagamento delle spese del grado, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe, li riunisce e li respinge.

Nulla per le spese del grado quanto all’appello n. 10448/2005; quanto all’appello n. 4373/2006, condanna le appellanti al pagamento delle spese del grado nella misura complessiva di Euro 300,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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