Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-04-2011, n. 8462 Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.A. convenne in giudizio il Ministero degli Affari Esteri e premesso che:

– era dipendente del Ministero convenuto, originariamente assunto ai sensi della L. n. 401 del 1990, quale contrattista a tempo indeterminato, presso l’Istituto Italiano di cultura di (OMISSIS);

– aveva tempestivamente esercitato l’opzione prevista dal D.Lgs. n. 103 del 2000, art. 2, comma 5 che aveva dettato nuove norme per il personale assunto localmente dalle rappresentanze diplomatiche;

– in conseguenza della opzione esercitata il contratto successivamente stipulato con il Ministero avrebbe dovuto essere assoggettato alla legge italiana e, quindi, alla richiamata contrattazione collettiva di settore;

– il Ministero aveva invece preteso la stipula di un contratto nel quale era tra l’altro prevista una retribuzione di gran lunga inferiore a quella spettante in base alla legge italiana o, comunque, a quella riconosciuta al personale di pari inquadramento operante presso la sede diplomatica di (OMISSIS) e inferiore allo stesso trattamento da lei percepito in base al precedente contratto;

– anche le aggiunte di famiglia previste nel contratto individuale erano regolate come se il rapporto di lavoro fosse assoggettato alla legge locale anzichè a quella italiana;

tutto ciò premesso, chiese, per quanto ancora qui rileva, previa applicazione al rapporto lavorativo della legislazione italiana e della contrattazione collettiva di settore, il pagamento delle dovute differenze retributive.

Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza del Ministero convenuto, il Giudice adito accolse il ricorso solo per la parte di domanda relativa alle aggiunte di famiglia.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 1.12.2006 – 5.3.2007, accogliendo per quanto di ragione l’impugnazione proposta dal D., dichiarò che il contratto di lavoro inter partes era assoggettato alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 103 del 2000, art. 2, commi 2 e 3, e che il relativo trattamento economico era costituito da una retribuzione base annua pari ad Euro 58.897,00 e dalle aggiunte di famiglia di cui all’art. 7, comma 2, Accordo successivo 12.4.2001, determinate in Euro 8.834,52, condannando la parte datoriale pubblica al pagamento delle differenze retributive maturate a tali titoli, oltre agli interessi legali.

A sostegno del decisum la Corte territoriale, sempre per ciò che ancora qui specificamente rileva, ritenne quanto segue: – in conseguenza della opzione esercitata dal lavoratore, il rapporto di lavoro dedotto in giudizio era interamente assoggettato alla legge italiana e quindi regolato, in virtù del richiamo al comma 2 operato nel D.Lgs. n. 103 del 2000, art. 2, comma 5, "dalle norme contenute nell’Accordo successivo per il personale di cui all’art. 1, comma 4, terzo alinea, del C.C.N.L. comparto Ministeri del 22 ottobre 1997 e nella successiva contrattazione collettiva applicabile agli impiegati a contratto";

– sia l’Accordo successivo per il personale di cui all’art. 1, comma 4, terzo alinea, CCNL comparto Ministeri del 22 ottobre 1997, sia la successiva contrattazione collettiva, non contenevano però concreti elementi per la determinazione del trattamento retributivo per il personale di cui all’art. 1, comma 4, terzo alinea, CCNL comparto Ministeri del 22 ottobre 1997, ossia per il personale, fra cui era ricompresa l’appellante, di nazionalità italiana assunto con contratto a tempo indeterminato dal Ministero degli Affari Esteri nelle sedi diplomatiche e consolari e negli istituti italiani di cultura all’estero ai sensi del D.P.R. n. 18 del 1967 e della L. n. 401 del 1990, mancando, in particolare, una tabella delle retribuzioni a cui fare riferimento ai fini de quibus; del pari doveva osservarsi che, benchè nell’Accordo successivo del 31.1.2001 fosse prevista la composizione della struttura della retribuzione, per nessuno degli emolumenti ivi richiamati erano stati indicati i concreti importi o i criteri per venire alla effettiva quantificazione del trattamento retributivo; ciò appariva tuttavia spiegabile con la esigenza di necessaria differenziazione dei livelli retributivi in relazione al contesto locale ed al costo della vita nel paese straniero nel quale il dipendente cittadino italiano si fosse trovato a rendere la propria prestazione lavorativa;

– in questa prospettiva, il riferimento contenuto nel predetto Accordo successivo alla "retribuzione base prevista per ciascun ufficio estero in relazione a ciascuna posizione economica" assumeva valenza di espresso rinvio all’unico meccanismo di determinazione della retribuzione previsto nell’ordinamento per i dipendenti all’estero del Ministero degli Affari Esteri e, quindi, ai criteri stabiliti dal D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157, comma 1, come sostituito dal D.Lgs. n. 103 del 2000, art. 1 (che, all’art. 3, aveva abrogato il D.P.R. n. 18 del 1967 art. 162, il cui comma 3 era stato modificato dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 132), in base al quale era previsto che la retribuzione annua base fosse stabilita "tenendo conto delle condizioni del mercato locale, del costo della vita e, principalmente, dalle retribuzioni corrisposte nella stessa sede da rappresentanze diplomatiche uffici consolari, istituzioni culturali di altri Paesi, in primo luogo di quelli dell’Unione Europea, nonchè da organizzazioni internazionali, peraltro con una disciplina sostanzialmente analoga a quella fissata dal testo originario del ridetto D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157, secondo cui la retribuzione annua base era fissata "tenendo conto delle retribuzioni locali o delle retribuzioni corrisposte nella stessa sede da rappresentanze diplomatiche e uffici consolari di altri Paesi; – il Ministero appellato, pur avendo sostenuto che il trattamento attribuito al D. era stato determinato proprio in base ai criteri di cui al ridetto D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157, comma 1, non aveva offerto alcuna prova del proprio assunto, nè aveva documentato di avere svolto la necessaria attività ricognitiva al fine di verificare le condizioni del mercato locale, il costo della vita e, principalmente, le retribuzioni corrisposte nella stessa sede da rappresentanze diplomatiche, uffici consolari, istituzioni culturali di altri Paesi, in primo luogo di quelli dell’Unione Europea, e organizzazioni internazionali;

– la tesi che le retribuzioni previste fossero quelle indicate dal Ministero nella risposta ad una richiesta effettuata dal D. era risultata smentita dalla circostanza che, in relazione ad altro contratto a tempo indeterminato, stipulato nel 1998 e, quindi, nella vigenza della contrattazione collettiva, per altra dipendente (tale Z.A.), svolgente presso l’Ambasciata di (OMISSIS), come il D., mansioni di concetto riconducibili in base al nuovo sistema classificatorio nella posizione B3, il trattamento retributivo base era fissato in USA 52.241,00, di molto superiore a quello attribuito all’appellante in base all’ultimo contratto; il contratto individuale della Z. aveva chiarito espressamente che la retribuzione annua base era fissata secondo i criteri ed i limiti stabiliti dal D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157, che, nella formulazione vigente all’epoca, antecedente alla novella di cui al D.Lgs. n. 103 del 2000, faceva anch’esso riferimento ad un parametro locale di determinazione dei livelli retributivi;

– in difetto di altri elementi in base ai quali determinare il trattamento retributivo con riferimento al parametro stabilito dal D.P.R. n. 18 del 1967 , art. 157, la retribuzione base corrisposta alla lavoratrice anzidetta poteva essere utilizzata per definire la retribuzione spettante al D., apparendo del tutto inverosimile che all’epoca della stipula del contratto del novembre 2001 il livello delle retribuzioni indicato dal Ministero come corrispondente al parametro legislativamente imposto dal ridetto art. 157, risultasse inferiore, oltre che a quello riconosciuto qualche anno prima ad altra dipendente ed espressamente calcolato sulla base del medesimo art. 157, persino a quello in precedenza attribuito all’appellante stesso sulla base di un contratto non assoggettato alla (più favorevole) legge italiana;

– la retribuzione spettante al D. doveva essere quindi determinata in Euro 58.897,00 annui e le aggiunte di famiglia (in relazione alle quali la statuizione di accoglimento resa in prime cure non era stata investita da appello incidentale) in Euro 8.834,52. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale il Ministero degli Affari Esteri ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.

L’intimato D.A. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, denunciando vizio di motivazione, il Ministero ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia omesso di considerare che dalla lettura del contratto stipulato con la dipendente Z.A. era possibile evincere che il primo contratto a termine era risalente al 1995, ossia ad un periodo in cui era ancora vigente il D.P.R. n. 18 del 1967, art. 162, dettante una più favorevole disciplina. Con il secondo motivo il Ministero ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 162 ribadendo l’illegittimità della determinazione della retribuzione con equiparazione a quella di altra dipendente assunta sotto la vigenza di precedente e più favorevole disciplina normativa.

2. Osserva preliminarmente la Corte che tutti e due i motivi di ricorso si fondano sulla inutilizzabilità, ai fini del decidere, del contratto concluso con un’altra dipendente e preso a riferimento dalla Corte territoriale, stante l’epoca della sua stipula. Ne consegue che la parte ricorrente, giusta la previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (come novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006), in base alla quale è richiesto che il ricorso per cassazione deve contenere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a suo fondamento, dopo avere indicato ove il suddetto contratto era stato prodotto nelle fasi di merito, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, a pena di improcedibilità, l’avrebbe dovuto produrre in questa sede di legittimità, non potendosi considerare sufficiente, a tale scopo, la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 28547/2008; 21747/2009). Il Ministero ricorrente non ha adempiuto a tale onere, incorrendo quindi nella ridetta sanzione di improcedibilità del ricorso, assorbente delle peraltro pur sussistenti ragioni di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (omessa riproduzione – salvo qualche frammentario riferimento – del contenuto dei contratto richiamato; omessa indicazione e, tanto meno, riproduzione, delle fonti probatorie dalle quali dovrebbe ricavarsi l’assunto secondo cui le retribuzioni di cui al contratto preso a parametro sarebbero state determinate sulla base del rispetto del limite minimo – "68% del controvalore in valuta locale dell’indennità di servizio all’estero che, nella stessa sede, percepisce l’impiegato di ruolo assegnato rispettivamente al posto di cancelliere, archivista, usciere" – stabilito dal D.P.R. n. 18 del 1967 art. 162 nel testo all’epoca vigente, e ciò pur a fronte dell’accertamento fattuale della Corte secondo cui la retribuzione era stata invece fissata secondo i criteri e i limiti di cui al D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157) e, quanto al primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per la mancata formulazione, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. di un momento di sintesi che circoscriva puntualmente i limiti dei dedotti vizi motivazionali (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007).

3. In definitiva il ricorso va dichiarato improcedibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in 20,00 Euro, oltre ad Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge.

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