Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-04-2011, n. 8460 Trasferimento di azienda

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.N. convenne in giudizio avanti al Tribunale di Lucca l’Aeroporto Lucca Tassignano srl e premesso che:

– aveva lavorato, in qualità di funzionario di scalo, inquadrata nel livello 2 del CCNL del trasporto aereo, presso il Consorzio Provinciale Aeroporto Lucca Tassignano fino alla data del 31.12.1998 e, dal 10 gennaio 1999, alle dipendenze della Società convenuta, subentrata nella gestione dello scalo, prima affidata per concessione governativa al suddetto Consorzio Provinciale;

– era stata inquadrata dalla società subentrata al 4 livello del CCNL di categoria, con privazione dell’indennità di cassa e del premio di produzione fino ad allora percepiti;

– doveva trovare applicazione la norma di cui all’art. 2112 c.c., con conseguente continuità giuridica del rapporto;

chiese quindi la condanna della Società convenuta al pagamento delle differenze retributive maturate, nonchè al pagamento dell’indennità di cassa, del premio di produzione e dell’intera retribuzione globale di fatto relativa al mese di gennaio 1999. Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della Società datrice di lavoro, il Giudice adito respinse le domande.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 26.10 – 11.12.2007, accogliendo per quanto di ragione l’impugnazione proposta dall’ A., condannò la parte datoriale ad inquadrare l’appellante nel 2 livello del CCNL del settore aeroportuale e al pagamento delle differenze retributive, comprensive degli scatti di anzianità maturati presso il Consorzio Provinciale Aeroporto Lucca Tassignano e con esclusione della indennità di cassa e del premio di produzione, nonchè della retribuzione relativa al mese di gennaio 1999; il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze al saldo. A fondamento del decisum, la Corte territoriale ritenne che:

– la fattispecie, alla luce della disposizione di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 19 applicabile ratione temporis, e, comunque, tenuto conto del contenuto della istanza di "subentro" a suo tempo presentata dalla Società, ricadeva nell’ambito della norma imperativa dell’art. 2112 c.c.;

– l’attività amministrativa dell’ A. era proseguita per tutto il mese di gennaio 1999;

– sussisteva quindi il diritto della lavoratrice a mantenere l’inquadramento previamente acquisito, con l’anzianità maturata nel periodo lavorato alle dipendenze del Consorzio Provinciale, e a percepire il trattamento economico corrispondente al pregresso inquadramento ed agli scatti di anzianità maturati (con esclusione, tuttavia dell’indennità di cassa, non essendo stato provato che la lavoratrice fosse stata ritenuta responsabile in caso di ammanchi, e del premio di produzione, trattandosi di un emolumento aleatorio e legato all’andamento economico – finanziario dell’attività gestionale nell’anno di riferimento), nonchè la retribuzione relativa al mese di gennaio 1999.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’Aeroporto Lucca Tassignano spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi. L’intimata A.N. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. assumendo che la Corte territoriale, benchè la domanda fosse stata limitata al riconoscimento dei diritti derivanti dall’art. 2112 c.c. sul presupposto che vi fosse stato un trasferimento di azienda, secondo lo schema classico dell’atto negoziale, aveva deciso la controversia ritenendo avvenuto un semplice passaggio di personale (cosiddetto trasferimento atecnico) e seguendo un ragionamento in diritto estraneo al gravame proposto.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto ( D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 19, art. 2112 c.c., Direttiva CEE n. 77/187) e vizio di motivazione, assumendo che la Corte territoriale aveva trascurato di considerare che l’art. 2112 c.c., nel testo vigente all’epoca dei fatti, conteneva espressioni indicanti una regolamentazione del fenomeno senz’altro riferibile soltanto al trasferimento negoziale di azienda e non a quello di trasferimento di attività o di passaggio di personale indipendentemente dalla natura del titolo.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto ( D.L. n. 251 del 1995, art. 1 quinquies convenuto in L. n. 351 del 1995, D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 19 art. 2112 c.c., Direttiva CEE n. 77/187) e vizio di motivazione, assumendo che, stante la salvezza delle disposizioni speciali e delle norme di settore sancita dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 19 (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31), la fattispecie risultava regolata, per il principio di specialità, dal D.L. n. 251 del 1995, art. 1 quinquies convertito in L. n. 351 del 1995, con esclusione, quindi, dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c. e, in particolare, in difetto di espressa previsione in tal senso, dell’assunzione da parte del nuovo concessionario dell’onere costituito dai diritti di miglior favore acquisiti dal personale nel precedente rapporto rispetto a quella previste dal CCNL di categoria in relazione alle mansioni effettivamente attribuite e svolte. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 116 c.p.c. assumendo che, sulla base delle risultanze documentali e testimoniali acquisite, la Corte territoriale avrebbe dovuto escludere che l’ A. avesse svolto attività lavorativa nel mese di gennaio 1999. 2. Il primo motivo di ricorso, prima ancora che infondato – posto che i fatti presi in considerazione dalla sentenza impugnata sono quelli (sostanzialmente pacifici, salva la questione, irrilevante però ai fini della censura all’esame, della prestazione di attività lavorativa nel mese di gennaio 1999) dedotti dalla lavoratrice, cosicchè la Corte territoriale, del tutto legittimamente, ha inquadrato la fattispecie nei parametri legali ritenuti applicabili – è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis nel presente giudizio.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, il principio di diritto che, ai sensi di tale disposizione, la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, deve consistere in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame, con la conseguenza che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione;

ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007).

Nel caso di specie il quesito posto a conclusione del motivo all’esame ("Dica l’Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione se costituisca vizio di ultrapetizione e di violazione dell’art. 112 c.p.c. della sentenza di appello riformare la pronuncia di primo grado, accogliendo la domanda, sulla scorta di presupposti di fatto e di norme, assenti nella motivazione della sentenza appellata, che non sono stati rispettivamente dedotti ed evocati dall’appellante nel gravame e su cui pertanto non si è aperto il contraddittorio, sostituendosi così il Giudice di appello alla parte appellante nella ricostruzione del fatto e nella individuazione delle ragioni di diritto poste a sostegno della impugnazione e quindi fondando la decisione su fatti costitutivi diversi da quelli dedotti?") è appunto del tutto generico, non contenendo alcun riferimento alla concreta fattispecie di causa, e, come tale, non discendendo, dalla risposta che al medesimo venga data, l’accoglimento o il rigetto del gravame, non soddisfa ai requisiti richiesti dal ridetto art. 366 bis c.p.c..

3. Il secondo e il terzo motivo di ricorso vanno trattati congiuntamente, siccome fra loro connessi.

3.1 Il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 31 nel testo come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 19 vigente all’epoca dei fatti per cui è causa, sotto la rubrica "Passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività", prevedeva che "Fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l’art. 2112 c.c. e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, commi da 1 a 4". Il D.L. n. 251 del 1995, art. 1 quinquies convertito con modificazioni in L. n. 351 del 1995, prevede che "L’affidamento in concessione della gestione alle società di cui alla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 10, comma 13, è subordinato alla verifica da parte del Ministro dei trasporti e della navigazione del rispetto, per il periodo di tre anni successivi all’affidamento in concessione della gestione, delle seguenti condizioni: a) assunzione da parte della concessionaria del personale già dipendente dal precedente gestore; b) applicazione da parte della concessionaria stessa del contratto collettivo nazionale di lavoro aeroportuale ovvero, qualora ne ricorrano i presupposti, del contratto collettivo per i servizi accessori, anche sulla base delle disposizioni di cui alla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 10, comma 12.

Tale ultima norma prevede quindi espressamente, quale condizione per l’affidamento in concessione della gestione, "assunzione da parte della concessionaria del personale già dipendente dal precedente gestore" (con applicazione della corrispondente contrattazione collettiva nazionale) e, come tale, contempla inequivocamente un’ipotesi di passaggio di dipendenti da un soggetto giuridico ad un altro per effetto di trasferimento di attività; pertanto tale disposizione non si pone come alternativa (e prevalente, in forza del principio di specialità) rispetto a quella di cui al ridetto D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 34 (quale sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 19), ma, al contrario, delinea un situazione giuridica pienamente ricompresa nell’ambito previsionale di quest’ultima e, quindi, assoggettata alla disciplina ivi prevista.

3.2 Secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, in ossequio al principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa, poichè detta Corte ha ritenuto (con le sentenze 19 maggio 1992, resa in causa C – 29/91, 14 settembre 2000, resa in causa C – 343/98 e 25 gennaio 2001, resa in causa C – 172/99) che il trasferimento di impresa, ancorchè risulti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni, rientra nel campo di applicazione della direttiva CEE del Consiglio n. 77/187 del 14 febbraio 1977 sin dal suo testo originario, allorquando i lavoratori interessati al tempo del trasferimento siano soggetti ad uno statuto di diritto del lavoro, deve ritenersi che l’art. 2112 c.c., in tema di trasferimento di impresa, sia applicabile anche al trasferimento di impresa che sia disposto con atto unilaterale della pubblica amministrazione, limitatamente all’ipotesi in cui i lavoratori interessati siano soggetti all’atto del trasferimento allo statuto di diritto comune del lavoro e non ad uno statuto di diritto pubblico (cfr, Cass., nn. 21248/2004;

21023/2007; 5708/2009; 21278/2010). E’ stato infatti osservato che il trasferimento di impresa, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, rientra nel campo d’applicazione della suddetta direttiva (sin dal suo testo originario) – ancorchè il trasferimento "risulti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà", cosicchè deve essere disapplicata dal giudice nazionale qualsiasi disposizione del proprio ordinamento interno, che – sia pure all’esito di una interpretazione corretta – risulti in contrasto o, comunque, incompatibile, con la prospettata interpretazione della Corte di giustizia (cfr, Cass., nn. 13949/2003;

7449/2002) e, per ulteriore conseguenza, che deve essere disattesa la giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 672/99;

9764/2000; 5934/2004) che nega la configurabilità del trasferimento d’impresa, ai fini dell’applicazione di disposizioni dell’ordinamento interno quali l’art. 2112 c.c., al trasferimento che sia disposto con atto unilaterale della pubblica amministrazione.

Ne discende, pertanto, l’irrilevanza, ai fini del decidere, della dedotta riferibilità della norma interna ( l’art. 2112 c.c., nel testo vigente all’epoca dei fatti, anteriore cioè al suo adeguamento alla normativa comunitaria) alle (sole) ipotesi di trasferimento negoziale di azienda.

3.3 I motivi all’esame vanno dunque disattesi.

4. In ordine al quarto motivo deve rilevarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie. Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002).

Al contempo va considerato che, affinchè la motivazione adottata da giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice, individuando le fonti del proprio convincimento e scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12121/2004).

Nel caso all’esame la sentenza impugnata ha esaminato tutte le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite (deposizioni di alcuni testi sull’attività, di natura amministrativa, svolta dall’ A. nel mese di gennaio 1999;

fogli presenza relativi a tali mesi; rilievo, in termini logico presuntivi, che, in attesa della ripresa delle attività di volo, l’aeroporto non poteva non continuare a fornire servizi indispensabili quali quello meteo e amministrativi) e immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch’esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio.

In definitiva, quindi, le doglianze dei ricorrenti – anche a prescindere dalle pur sussistenti violazioni del principio di autosufficienza del ricorso, attesa l’omessa trascrizione del contenuto dei documenti che si assumono essere stati non adeguatamente apprezzati – si sostanziano nella esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in questa sede di legittimità. 5. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 27,00, oltre ad Euro 4.000,00 (quattromila/00) per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge.

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