Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-12-2010) 24-02-2011, n. 7143

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 3 giugno 2009 la Corte d’Appello di Cagliari, per quanto rileva in questa sede, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Cagliari del 15 luglio 2004 che aveva assolto S.A. per non avere commesso il fatto, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dello S. in ordine al reato di omicidio colposo ascrittogli, con la concessione delle attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, perchè estinto per prescrizione. Lo S. era stato tratto a giudizio imputato del delitto di cui all’art. 589 c.p., commi 1 e 2 per avere, per colpa, cagionato la morte di P.M. per asfissia da compressione toraco – addominale, colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e, in particolare, per non avere dato, nella sua qualità di direttore tecnico, disposizioni ai dipendenti in materia di procedure di sicurezza nel lavoro tali da evitare la possibilità che l’addetto allo scarico del materiale nella tramoggia potesse effettuare tali operazioni senza la certezza dell’assenza di persone al suo interno. In particolare il 4 luglio 2000, presso una cava dell’impresa Vacca s.p.a., P.M., addetto all’impianto di frantumazione del materiale inerte, morì all’interno della tramoggia di alimentazione del frantoio, schiacciato e soffocato dal materiale che era stato gettato poco prima nella stessa tramoggia dalla pala meccanica condotta da C.G.. La Corte territoriale ha motivato la propria decisione considerando che lo S. ricopriva, specificamente, oltre al ruolo di direttore tecnico, anche quello di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, come emerso dagli organigrammi dell’impresa Vacca, ed aveva quindi l’obbligo di dare specifiche disposizioni ed a organizzare il lavoro in modo tale che operazioni rischiose quale quella della pulizia della tramoggia, fossero eseguite senza esporre gli addetti ai lavori a pericoli di infortuni. La Corte d’Appello ha considerato la pericolosità della situazione, emersa dall’istruttoria, per cui il conducente della pala meccanica, in un’operazione caratterizzata dall’alternanza di momenti di stasi con momenti di riaccensione della macchina, non aveva modo di osservare dalla sua posizione, se all’interno della tramoggia vi fossero persone, nè la responsabilità può essere esclusa dalla condotta imprudente della vittima, in quanto la presenza di una terza persona sul posto di lavoro o il vincolo dei dipendenti a procedure rigorose di comunicazione e di verifica della possibilità di agire in sicurezza, avrebbero costituito misure idonee a scongiurare l’incidente, e solo una deliberata violazione delle prescrizioni avrebbe esentato l’imputato da responsabilità.

Lo S. ed il proprio difensore propongono distinti ma analoghi ricorsi avverso tale sentenza. Con il primo motivo si lamenta manifesta illogicità della motivazione per essere stato ritenuto da un lato imprevedibile l’evento realizzatosi, perchè determinato da una condotta imprudente da parte del lavoratore, e successivamente per avere valutato responsabile della morte dello stesso il ricorrente per l’omessa attivazione di procedure di controllo e di prevenzione. In particolare i ricorrenti considerano che, nell’assolvere il coimputato C. entrambi i giudici di merito hanno valutato l’imprevedibilità del comportamento della vittima che è ritornato nella tramoggia senza avvertire, ma la Corte d’Appello, con motivazione contraddittoria ed illogica, ha ritenuto prevedibile la possibilità di strascichi all’operazione di pulitura nel corso della quale è avvenuto l’incidente, ai fini della motivazione della responsabilità del ricorrente.

Con secondo motivo si lamenta difetto di motivazione in ordine alla mancata identificazione delle normative antinfortunistiche asseritamente violate a seguito della contestazione dell’aggravante specifica. In particolare si deduce che i tecnici della ASL intervenuti nell’immediatezza dei fatti hanno concluso che non vi furono infrazioni a norme in materia di igiene e sicurezza del lavoro, mentre la Corte territoriale, afferma la colpa dell’imputato sulla base di un asserito obbligo, non previsto da alcuna norma, di adibire un terzo lavoratore alle operazioni in questione. Tale argomentazione violerebbe il principio della passività delle violazioni da contestare con la conseguente inammissibile applicazione di un principio di responsabilità oggettiva.

Con terzo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale in merito all’accertamento della posizione di garanzia dell’imputato ritenuto responsabile della sicurezza senza che a suo carico fossero emersi i requisiti fondamentali per identificarne la qualifica di preposto. In particolare si deduce che nessuna delega formale per la sicurezza era stata data allo S., mentre il legale rappresentante dell’azienda V.B., presente sul posto di lavoro, sarebbe stato tenuto a garantire la sicurezza stessa in considerazione del suo ruolo di amministratore dell’azienda apicale nell’organigramma associativo.
Motivi della decisione

Va premesso che il ricorrente non ha rinunciato alla prescrizione per cui una sentenza di proscioglimento potrebbe essere giustificata solo ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen..

La Corte di Cassazione può certamente prosciogliere nel merito con l’annullamento della sentenza senza rinvio, qualora, ricorrendo una causa di estinzione del reato, dagli atti risulti evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, con la necessaria puntualizzazione – che è anch’essa costante nella giurisprudenza di questo supremo collegio – che gli atti, dai quali la Corte di Cassazione può e, se sussiste, deve desumere l’evidenza che "il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso", ecc., sono costituiti unicamente dalla sentenza impugnata. Questo principio, già affermato nell’ambito del codice abrogato, è, invero, da tenere fermo, a maggior ragione, nella interpretazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2, ove si consideri che l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), esige che i vizi di mancanza o di manifesta illogicità della motivazione, denunciabili con il ricorso per cassazione, debbono risultare dal testo del provvedimento impugnato, il che altro non vuoi dire se non che il controllo della corte di cassazione, per quanto riguarda l’accertamento di questi vizi, si risolve nel controllo di unico atto nel controllo della sentenza. Alla luce dei principi appena richiamati, deve riconoscersi che dalla sentenza non risulta affatto evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che non costituisce reato.

L’affermazione di responsabilità dello S. è comune alle due sentenze di merito e la sentenza attualmente impugnata espone con logica e completezza i profili di colpa dell’imputato sia con riferimento alla sua posizione di responsabilità in seno all’azienda, sia con riferimento alla dinamica dell’incidente sulla base delle risultanze istruttorie richiamate.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, quarta sezione penale, rigetto il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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