T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 23-02-2011, n. 1690 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in fatto la società odierna ricorrente che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con riferimento ad un esposto inerente una presunta pratica commerciale scorretta verificatasi nel 2008, ha inviato una contestazione alla Azienda Autonoma delle T.D.A., la quale, in liquidazione del 2007, ha provveduto a trasmetterla, nel gennaio 2010, alla ricorrente, che vi ha dato riscontro fornendo le richieste informazioni.

Con nota del 22 febbraio 2010 l’Autorità ha avanzato nei confronti della ricorrente richiesta di integrazione documentale, senza previamente modificare la destinataria della originaria contestazione.

Successivamente alla trasmissione della copia della documentazione richiesta, e pur avendo la ricorrente rappresentato che il termine di conclusione del procedimento non potesse decorrere dalla contestazione notificata ad altra persona giuridica ed avendo chiesto l’audizione del proprio legale rappresentante, è stata adottata la gravata delibera, con la quale è stata ritenuta la scorrettezza, ai sensi degli artt. 20, 21 comma 1 lettera d), 22 commi 1, 2, e 4, lettere b) e c), del Codice del Consumo, della pratica commerciale consistente nella promozione di trattamenti termali, medici ed estetici senza alcuna precisazione in ordine alla inclusione o meno, nei prezzi indicati, dell’IVA, nonché nel rinvio presente sul sito dell’Azienda Autonoma al sito dedicato al centro estetico gestito dalla società E., vietandone l’ulteriore diffusione ed irrogando alla società ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 7.500.

Avverso tale determinazione ne denuncia parte ricorrente innanzitutto, la nullità, essendo stato il relativo procedimento asseritamente iniziato e promosso nei confronti della ricorrente in modo irritale, posto che la pratica commerciale censurata come scorretta è intervenuta nel 2008, mentre la contestazione è intervenuta nei confronti della ricorrente solo in data 22 febbraio 2010, oltre quindi il previsto termine perentorio di 90 giorni, in violazione dell’art. 14 della legge n. 287 del 1990 richiamata dalla legge n. 689 del 1981.

Inoltre, sarebbe stato assegnato alla ricorrente un termine per il deposito di memorie e documenti irritualmente decorrente dalla notifica della contestazione all’Azienda Autonoma T.D.A., in liquidazione del 2007, che è persona giuridica diversa dalla società ricorrente.

Sotto altro profilo, deduce parte ricorrente la nullità del gravato provvedimento in quanto adottato senza la previa audizione del proprio legale rappresentante, espressamente richiesta, in violazione dell’art. 14 della legge n. 287 del 1990 coordinata con la legge n. 689 del 1981.

Deduce, altresì, parte ricorrente l’erroneità dei presupposti su cui si fonda il gravato provvedimento, nonché l’illogicità delle relative valutazioni, avendo la Società T.D.A., con contratto del 6 agosto 2007, affidato alla Società l’E. S.r.l., dal 6 agosto 2007 al 6 agosto 2014, i locali per l’uso integrato di medicina estetica e di estetica, rappresentando come l’esposto si riferisca ad episodio verificatosi dopo la messa in liquidazione dell’Azienda e dopo il transito del relativo personale presso la Società l’E., che aveva già avuto in affidamento i locali.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni e successiva memoria, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.

Alla Pubblica Udienza del 12 dicembre 2011, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento – meglio indicato in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità) ha ritenuto la scorrettezza, ai sensi degli artt. 20, 21 comma 1 lettera d), 22 commi 1, 2, e 4, lettere b) e c), del Codice del Consumo, della pratica commerciale consistente nella promozione di trattamenti termali, medici ed estetici, offerti presso le T.D.A., tramite il sito www.termeacireale.com/principale.htm e tramite brochure pubblicitaria, senza alcuna precisazione in ordine alla inclusione o meno, nei prezzi indicati, dell’IVA, nonché nel rinvio presente sul sito delle Terme al diverso sito dedicato al centro estetico gestito da E., vietando l’ulteriore diffusione della pratica ed irrogando alla società ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 7.500, previa riduzione, in ragione delle perdite di bilancio realizzate, della sanzione inizialmente determinata in euro 15.000.

Con un primo ordine di censure parte ricorrente denuncia la nullità del provvedimento per improcedibilità del relativo procedimento, in quanto iniziato e promosso irritualmente nei confronti della società ricorrente.

In proposito rileva parte ricorrente, sotto un primo profilo, che mentre la pratica commerciale censurata come scorretta è intervenuta nel 2008, la contestazione è stata effettuata nei suoi confronti solo in data 22 febbraio 2010, oltre quindi il previsto termine perentorio di 90 giorni, in denunciata violazione dell’art. 14 della legge n. 287 del 1990 richiamata dalla legge n. 689 del 1981.

La censura non merita favorevole esame.

Va in via preliminare precisato – in disparte l’improprio ricorso alla categoria della nullità del provvedimento – che la disciplina normativa di riferimento, alla cui luce condurre il vaglio in ordine alle proposte questioni, va individuata in quella dettata dal D.Lgs. n. 206 del 2005 – recante il Codice del Consumo – e dal Regolamento sulle procedure istruttorie, adottato con delibera dell’Autorità del 15 novembre 2007 n. 17589, erroneo essendo il richiamo effettuato da parte ricorrente alla legge n. 214 del 1990 ed alla legge n. 689 del 1981, la cui applicabilità in materia trova il proprio limite nell’intervenuta compiuta normazione della stessa con disciplina specifica.

Ricondotta la fattispecie al quadro normativo di riferimento, va rilevato che l’art. 27, comma 3, del D.Lgs. n. 206 del 2005, dispone che l’Autorità comunica al professionista l’apertura dell’istruttoria, mentre l’art. 6 del Regolamento stabilisce che "Il responsabile dell’istruttoria, valutati gli elementi comunque in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza con la richiesta di intervento…, avvia l’istruttoria al fine di verificare l’esistenza di pratiche commerciali scorrette di cui al Codice del Consumo".

Nessun termine perentorio – né ordinatorio – per l’avvio dell’istruttoria è, quindi, previsto dalla normativa di settore, la quale dispone che tale avvio debba intervenire previo svolgimento di una attività valutativa volta a verificare la sussistenza delle condizioni per poter avviare il procedimento di accertamento di eventuali profili di scorrettezza di una pratica commerciale, non prevedendo per la fase che precede la comunicazione dell’avvio dell’istruttoria alcuna durata prestabilita, né sottoponendo il relativo svolgimento ad alcun termine acceleratorio.

Il che si presenta coerente con la considerazione che in materia di pratiche commerciali scorrette l’Autorità è chiamata, in ragione della struttura dell’illecito e diversamente da quanto accade nei procedimenti intesi a reprimere la pubblicità ingannevole e comparativa, al compimento di una – spesso – complessa attività istruttoria volta alla individuazione con precisione – salvi i casi di condotte "tipizzate" elencate agli artt. 23 e 26 del Codice del Consumo – delle azioni, omissioni o dichiarazioni ritenute scorrette, ingannevoli o aggressive, nonché, come nella fattispecie in esame, dei soggetti responsabili delle stesse, che risulta quindi incompatibile con una predefinita limitazione temporale.

Solo con riferimento alla conclusione del procedimento il citato Regolamento, all’art. 7, reca l’indicazione di termini perentori, prorogabili nella misura e alle condizioni ivi stabilite, non sussistendo, con riferimento alla fase di avvio, alcun termine, neppure di natura acceleratoria, ricollegabile alla data di presentazione delle segnalazioni, entro il quale debba intervenire la comunicazione d’avvio del procedimento, la cui temporalizzazione è all’evidenza condizionata dal numero e dal contenuto delle segnalazioni, dall’ampiezza temporale della stessa pratica commerciale scorretta e dalla maggiore o minore complessità della fattispecie (TAR Lazio – Roma – Sez. I – 13 luglio 20101 n. 24994).

Ne discende l’infondatezza della esaminata censura.

Quanto alla denunciata irritualità della notifica della contestazione – in quanto effettuata nei confronti dell’Azienda Autonoma T.D.A., in liquidazione del 2007 – e della contestata decorrenza del termine assegnato alla ricorrente per il deposito di memorie e documenti dalla data di tale notifica, osserva il Collegio che, successivamente alla comunicazione di avvio del procedimento, indirizzata all’Azienda Autonoma T.D.A. in data 11 dicembre 2009, l’Autorità, con provvedimento del 22 febbraio 2010, ha comunicato l’integrazione soggettiva del procedimento nei confronti della ricorrente società T.D.A., la quale è stata quindi messa in condizione di poter utilmente esercitare le proprie prerogative di partecipazione procedimentale e difensive.

Nessun termine è previsto dalla disciplina di riferimento per la produzione di memorie difensive, essendo la relativa determinazione rimessa alla valutazione dell’Autorità, sindacabile laddove il termine fissato risulti irragionevole o incongruo rispetto agli adempimenti richiesti, profili questi non dedotti nel presente giudizio.

Ne discende che, oltre alla assenza di un utile parametro normativo di riferimento che possa dare consistenza alla dedotta censura, non viene in alcun modo esplicitato da parte ricorrente il pregiudizio ai propri diritti difensivi discendente dalla descritta sequenza procedimentale, potendo apprezzarsi profili di eventuale illegittimità del termine concesso per la produzione di memorie solo se lo stesso si risolva in un pregiudizio per le prerogative di partecipazione procedimentale agli interessati.

Sotto altro profilo, deduce parte ricorrente la nullità del gravato provvedimento in quanto adottato senza la previa audizione del proprio legale rappresentante, espressamente richiesta, in asserita violazione dell’art. 14 della legge n. 287 del 1990 coordinata con la legge n. 689 del 1981.

Richiamata, nuovamente, la normativa applicabile in materia e l’erroneità del riferimento di parte ricorrente ad una disciplina che non trova, invece, applicazione, osserva il Collegio che, alla luce della previsione di cui all’art. 12 del Regolamento – il quale dispone, al comma 2, che "Il responsabile del procedimento, ove ciò sia necessario ai fini della raccolta o della valutazione degli elementi istruttori, o venga richiesto da almeno una delle parti, può disporre che le parti siano sentite in apposite audizioni nel rispetto del principio del contraddittorio, fissando un termine inderogabile per il loro svolgimento" – non sussiste alcun diritto per la parte interessata ad essere sentita in apposita audizione, di cui ha fatto eventualmente richiesta, essendo rimessa al responsabile del procedimento la valutazione discrezionale in ordine alla utilità di esperire tale mezzo istruttorio in relazione alle specifiche esigenze istruttorie ed alle particolarità della fattispecie oggetto di indagine.

La lettera della norma porta, difatti, a ritenere che, coerentemente con la ratio della stessa, la potestà attribuita al responsabile del procedimento di procedere all’audizione abbia carattere discrezionale sia quando l’audizione è disposta d’ufficio, sia quando la stessa è disposta su richiesta di almeno una delle parti.

Da un punto di vista letterale, la norma indica che, in entrambi i casi, il responsabile del procedimento "può disporre", per cui nessun dubbio può sussistere sulla discrezionalità della scelta, ma anche e soprattutto da un punto di vista sistematico è verosimile ritenere che il normatore abbia inteso subordinare l’audizione alla verifica di un’effettiva esigenza istruttoria anche quando sia la parte a presentare la richiesta, atteso che, diversamente opinando, si perverrebbe alla paradossale conclusione che, a prescindere da qualunque valutazione di tipo istruttorio, debba procedersi a tutte le audizioni richieste, anche se innumerevoli, con conseguente aggravio del procedimento anche in assenza di specifiche necessità di disporre tale mezzo istruttorio.

Giova, peraltro, in proposito ricordare che il procedimento amministrativo, secondo quanto stabilito dalla legge n. 241 del 1990, si ispira al principio generale del contraddittorio scritto, e non a quello dell’oralità, come emerge chiaramente dall’art. 10 della citata legge, e a tale principio si ispira anche il procedimento in materia di pratiche commerciali scorrette come delineato dal citato Regolamento.

Negativamente delibate, alla luce delle considerazioni dianzi illustrate, le censure inerenti asseriti vizi procedurali che invaliderebbero la gravata delibera, viene in rilievo la disamina dei profili inerenti la denunciata erroneità dei presupposti su cui si fonderebbe il gravato provvedimento, nonché l’illogicità delle relative valutazioni, articolati sull’assunto che avendo la Società T.D.A., con contratto del 6 agosto 2007, affidato alla Società l’E. S.r.l., dal 6 agosto 2007 al 6 agosto 2014, i locali per l’uso integrato di medicina estetica e di estetica e riferendosi l’esposto ad episodio verificatosi dopo la messa in liquidazione dell’Azienda e dopo il transito del relativo personale presso la Società l’E., che aveva già avuto in affidamento i locali, la condotta non sarebbe imputabile ad essa ricorrente.

Le argomentazioni spese da parte ricorrente a sostegno della descritta censura non meritano condivisione.

Come chiaramente illustrato nel gravato provvedimento – che ha affrontato espressamente il profilo inerente l’imputazione della condotta e che risulta, sul punto, essere frutto di una approfondita istruttoria e correttamente basato sulle relative risultanze – la società ricorrente T.D.A. S.p.A. è stata costituita in data 21 dicembre 2005 a seguito della Legge Regione Siciliana n. 10 del 30 aprile 1999, che ha disposto la trasformazione dell’Azienda Autonoma delle T.D.A. in società per azioni.

Ne consegue che la condotta, realizzata nel 2008, cui si riferisce l’esposto da cui ha preso avvio il procedimento confluito nell’adozione della gravata delibera, non può essere imputata all’Azienda Autonoma, essendo alla stessa succeduta la società ricorrente T.D.A..

Né tale condotta, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, può essere imputata alla società E. – che attualmente gestisce il centro estetico denominato "M.- M. S.p.a. delle T.D.A.", situato presso gli stabilimenti termali di Santa Caterina – in quanto tale società ha ottenuto l’autorizzazione da parte della ricorrente all’apertura di detto centro estetico solo in data 25 marzo 2009, mentre l’autorizzazione ad accedere ai relativi locali per svolgere la propria attività è intervenuta in data 11 aprile 2009.

Ancora, come illustrato nel gravato provvedimento – e non efficacemente contestato da parte ricorrente, la quale si limita sostanzialmente a riproporre quanto già dedotto in ambito procedimentale – la società E., in data 29 aprile 2009, ha segnalato alla ricorrente la presenza sul sito web del listino dei prezzi riferibile alla precedente gestione, e solo in data 7 maggio ha ottenuto l’autorizzazione all’inserimento del proprio link nella home page del sito delle T.D.A..

Avendo, quindi, la società E. iniziato la gestione del centro estetico solo in data 11 aprile 2009 ed avendo richiesto alla società ricorrente T.D.A. di cancellare i pacchetti benessere e i prezzi legati alla precedente gestione, e considerato altresì che il listino prezzi dei pacchetti benessere offerti dalla società E. sul proprio sito è comprensivo di IVA, ne discende che la pratica sanzionata non possa, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, essere alla stessa imputata.

La condotta va, invece, imputata, come correttamente effettuato dall’Autorità, alla società ricorrente in quanto subentrata, dal 21 dicembre 2005, alla precedente Azienda Autonoma e responsabile delle attività contestate, integrate dalla mancata indicazione, nel prezzo riferito ai trattamenti termali, medici ed estetici, diffuso sul sito www.termeacireale.com/principale.htm e sulla brochure pubblicitaria, della ricomprensione o meno dell’IVA, nonché dal rinvio del sito www.termeacireale.com/principale.htm al sito www.medithermarium.it, dedicato al centro estetico denominato "M.- M. S.p.a. delle T.D.A.", condotte ritenute scorrette in quanto idonee a indurre il consumatore in errore, da un lato, sul prezzo effettivo da pagare per i servizi estetici offerti e, dall’altro, sull’identità del professionista cui è affidata la gestione del centro benessere esistente presso gli stabilimenti termali di Santa Caterina.

In conclusione, la delibata infondatezza delle censure proposte con il ricorso in esame, conducono al rigetto dello stesso.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 8070/2010, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente al pagamento, a favore della resistente Amministrazione, delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 1.500 (millecinquecento,00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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