T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 23-02-2011, n. 1688 Commercio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Premettono le società ricorrenti, titolari di concessionarie automobilistiche Ford, alcuni cenni descrittivi della pratica commerciale sanzionata con il gravato provvedimento, integrata mediante annunci riguardanti l’operazione denominata "Ideaford" diffusi su alcuni quotidiani nazionali nei mesi di marzo e aprile 2008 e pubblicati da tre diversi concessionari Ford.

Ripercorrono, altresì, le ricorrenti le scansioni del procedimento confluito nell’adozione del gravato provvedimento, precisando che in data 28 settembre 2009 è stato comunicato l’avvio del procedimento, successivamente al quale le stesse hanno presentato memorie difensive ed è stato acquisito il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Avverso la gravata determinazione, con cui l’Autorità, riscontrata la scorrettezza della pratica, ha irrogato alla società A. S.p.a. la sanzione pecuniaria di euro 35.000, ed alla società G.A. S.p.a. la sanzione di euro 55.000, deducono le società ricorrenti i seguenti motivi di censura:

1 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 11, del D.Lgs. n. 147 del 2007 e dell’art. 7 del Regolamento dell’Autorità del 15 novembre 2007 – Mancato rispetto del termine per la conclusione del procedimento e delle norme procedurali di cui al Regolamento dell’Autorità del 15 novembre 2007 – Illegittimità dell’art. 7 del Regolamento.

Denunciano le ricorrenti l’intervenuta violazione del termine di durata massima del procedimento di 150 giorni stabilito dal Regolamento dell’Autorità del 15 novembre 2007, essendo la segnalazione da cui ha preso avvio tale procedimento intervenuta in data 17 marzo 2008, mentre la protocollazione dell’avvio del procedimento è stata effettuata in data 28 settembre 2009.

In proposito, affermano le ricorrenti che pur non essendo previsto dal Regolamento un termine di durata della fase preistruttoria, lo stesso debba individuarsi nel termine di 30 giorni previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990.

Denuncia, altresì, parte ricorrente l’illegittimità dell’art. 7 del Regolamento dell’Autorità del 15 novembre 2007 nella parte in cui la sua interpretazione letterale, in base alla quale il termine per la conclusione del procedimento decorre dalla data di protocollo della comunicazione di avvio del procedimento, riconosce all’Amministrazione la piena discrezionalità in ordine alla individuazione del dies a quo di decorrenza del termine complessivo di durata del procedimento.

2 – Eccesso di potere in ordine alla eccessiva durata del procedimento oltre il canone di ragionevolezza in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, del D.Lgs. n. 145 del 2007 e dell’art. 7 del Regolamento dell’Autorità del 15 novembre 2007.

Afferma parte ricorrente che la natura sanzionatoria dei provvedimenti dell’Autorità impone la celerità dei relativi procedimenti e l’immediatezza dell’azione sia a tutela dei consumatori che dei professionisti coinvolti, laddove essendo la segnalazione pervenuta all’Autorità in data 17 marzo 2008 ed essendo intervenuta la prima richiesta di informazioni nel mese di febbraio 2009, quando la condotta si era già esaurita, la comunicazione di avvio del procedimento sarebbe intempestiva e quindi illegittima in quanto irragionevolmente tardiva, così precludendo la possibilità di tempestiva partecipazione al procedimento e di presentazioni di impegni volti ad evitare la comminazione di sanzioni.

3 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e seguenti del Codice del Consumo – Inidoneità dei messaggi a falsare il comportamento economico del consumatore medio – Eccesso di potere – Insufficiente e carente istruttoria.

Afferma parte ricorrente che l’Autorità non avrebbe svolto alcuna istruttoria in ordine alla effettiva idoneità del messaggio ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso, come richiesto dalla disciplina dettata dal Codice del Consumo.

Inoltre, la breve validità dell’offerta di cui alla campagna promozionale e la possibilità per i consumatori di avere le necessarie informazioni tramite telefono, escluderebbero la possibilità di ravvisare il pregiudizio consistente nella non attivazione da parte degli stessi di altre ricerche – come affermato dall’Autorità per le Garanzie nella Comunicazioni – non essendo ipotizzabile alcuna perdita di chance stanti le caratteristiche fattuali dell’offerta formulata.

Afferma, altresì, parte ricorrente che occorrerebbe verificare che la ritenuta ingannevolezza del messaggio abbia prodotto un danno concreto al consumatore medio, laddove l’Autorità non avrebbe accertato in che misura la condotta ne abbia falsato il comportamento tenuto conto della natura del prodotto, delle modalità dell’offerta e del contenuto delle segnalazioni, evidenziando in proposito la ridotta diffusione del prodotto reclamizzato in relazione alle immatricolazioni di vetture Ford avvenute nel periodo di interesse..

4 – Eccesso di potere per assoluta sproporzione della sanzione – Violazione del principio di proporzionalità.

Nel premettere il potere rescindente del giudice adito e nel ribadire l’assenza del carattere di ingannevolezza della pratica, censura parte ricorrente la quantificazione della sanzione in quanto sproporzionata ed irragionevole invocando, quale parametro di riferimento la sanzione applicata alla società G.A. S.p.a. due anni prima per un caso simile, nonché ulteriori sanzioni applicate ad altri soggetti, evidenziando l’incidenza che deve rivestire, ai fini della congrua determinazione della stessa, la considerazione che verrebbe in rilievo, nella fattispecie, una responsabilità per omissione di controlli, contestando l’avvenuta commisurazione della sanzione irrogata alla dimensione economica della imprese coinvolte sull’assunto che trattasi di criterio non utilizzabile alla luce della disposizione speciale di cui all’art. 27, comma 9, del Codice del Consumo.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.

Alla Pubblica Udienza del 26 gennaio 2011, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento – meglio descritto in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità), in esito alla compiuta istruttoria, acquisito il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ed apprezzata la scorrettezza, ai sensi degli artt. 20, 21 e 22, del Codice del Consumo, di una pratica commerciale posta in essere da una pluralità di soggetti, tra cui le società ricorrenti, ne ha vietato l’ulteriore diffusione e ha irrogato alla società A. S.p.a. una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 35.000, come risultante dalla riduzione della sanzione base di euro 50.000 in ragione delle perdite di bilancio registrate, ed alla società G.A. S.p.a. una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 55.000.

L’impianto ricorsuale, come delineato dalle censure proposte dalle società ricorrenti, si snoda attraverso la proposizione, innanzitutto, di censure inerenti profili procedimentali, venendo denunciata l’intervenuta violazione del termine di durata massima del procedimento fissato in 150 giorni, nonché l’irragionevole tardività della comunicazione di avvio del procedimento rispetto alla segnalazione pervenuta all’Autorità, così compromettendo la possibilità di tempestiva partecipazione delle ricorrenti al procedimento e precludendone la possibilità di presentare impegni, al contempo vanificando le finalità di tutela dei consumatori sottese alla disciplina di riferimento, lamentando altresì l’illegittimità della norma di cui all’art. 7 del Regolamento dell’Autorità del 15 novembre 2007 che non prevede un termine di durata della fase preistruttoria.

Procedono, inoltre, le società ricorrenti alla confutazione delle valutazioni espresse dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con riferimento alla condotta sanzionata, lamentando la non idoneità della stessa ad indurre i consumatori ad assumere una scelta che altrimenti non avrebbero preso e la mancanza di un concreto pregiudizio dalla stessa derivante, significando come l’Autorità abbia omesso di svolgere una adeguata istruttoria circa la sussistenza di un effettivo pregiudizio.

Sotto altro profilo ed in via subordinata, si dolgono le ricorrenti della quantificazione della sanzione, di cui viene denunciato il carattere sproporzionato ed irragionevole alla luce della sanzione irrogata per un caso simile ed a quelle irrogate in altre fattispecie, nonché con riferimento alla situazione patrimoniale in cui versa A. S.p.a.

Prima di procedere alla disamina delle censure ricorsuali proposte, giova premettere un breve cenno descrittivo della condotta sanzionata con il gravato provvedimento, al fine di meglio delineare i contorni della vicenda in esame e più compiutamente definire la portata delle doglianze che alla stessa afferiscono, rinviando al prosieguo della trattazione il più esaustivo esame del contenuto della gravata delibera nei limiti in cui lo stesso si riveli funzionale alla delibazione rimessa al Collegio.

In tale direzione, va precisato che il gravato provvedimento ha ritenuto integrare una fattispecie di pratica commerciale scorretta il comportamento, posto in essere dalle società F.I. S.p.a, F.B. Plc, M. S.p.a, A. S.p.a e G.A. S.p.a., consistente nella diffusione di messaggi pubblicitari relativi all’operazione denominata "IDEAFORD", su quotidiani nazionali nei mesi di marzo e aprile 2008, nella considerazione che tali messaggi, incentrati sul claim che pubblicizza "50% un’auto nuova al costo di un’auto usata. Nuovo come usato" e dalla presenza su vari modelli pubblicizzati di prezzi pari a circa il 50 % del prezzo di listino, i quali, per la loro formulazione, inducono a ritenere che il costo complessivo per l’acquisto di un’auto nuova sia ridotto alla metà, mentre in realtà l’offerta si riferisce ad un finanziamento rateale con maxirata finale che prevede la possibilità di usare un’autovettura nuova, per un periodo di 24 o 36 mesi, versando un anticipo (compreso fra il 5% ed il 50% del prezzo di listino), con facoltà, al termine del programma, di riconsegnarla o di acquistarla, saldando il c.d. "Valore Futuro Garantito", costituendo l’anticipo e il VFG, ciascuno, il 50% circa del prezzo del veicolo.

La pratica è stata, quindi, dall’Autorità ritenuta scorretta per la sua riscontrata idoneità ad indurre in errore il consumatore medio in ordine alle caratteristiche ed alle condizioni economiche dell’operazione pubblicizzata, potendo pregiudicarne il comportamento economico, in violazione dell’articolo 21 del Codice del Consumo, in ragione dell’enfasi posta sul claim principale e del carattere omissivo dei messaggi, in quanto riportano informazioni rilevanti tramite una nota posta a margine dell’annuncio, scritta in caratteri grafici estremamente ridotti e privi di rilievo cromatico, ed essendo tale nota formulata in modo eccessivamente sintetico, così da risultare difficilmente percepibile, non consentendo quindi tali messaggi al consumatore di valutare il costo complessivo dell’operazione in virtù del loro carattere ingannevole.

Le società ricorrenti, che svolgono attività di concessionarie di autovetture Ford, sono state considerate responsabili della pratica sanzionata per aver concorso alla sua realizzazione e materiale diffusione acquistando spazi presso le testate giornalistiche in cui i messaggi sono stati pubblicati, condividendone il contenuto con la casa madre.

Tanto premesso, viene innanzitutto in rilievo, nella gradata elaborazione logica delle questioni proposte, il motivo di censura, afferente profili procedimentali, con cui le società ricorrenti lamentano l’intervenuta violazione del termine di durata massima del procedimento, stabilito dall’art. 7 del Regolamento dell’Autorità, di cui alla delibera del 15 novembre 2007, in 150 giorni, ancorando la dedotta tardività alla circostanza che la segnalazione da cui ha preso avvio il procedimento è intervenuta in data 17 marzo 2008, mentre la protocollazione dell’avvio del procedimento è avvenuta in data 28 settembre 2009, ed affermando che pur non prevedendo detto Regolamento un termine di durata della fase preistruttoria, tale termine debba individuarsi in 30 giorni, come previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, altrimenti dovendo ritenersi l’illegittimità dell’art. 7 del Regolamento che assegnerebbe all’Autorità la piena discrezionalità in ordine alla individuazione del dies a quo di decorrenza del termine complessivo di durata del procedimento.

Connesso a tale ordine di doglianze è il secondo motivo di censura con cui la dedotta illegittimità della scansione temporale del procedimento viene ricondotta alla lesione – discendente dall’avere l’Autorità comunicato l’avvio del procedimento allorquando la condotta si era ormai già esaurita pur essendo la prima segnalazione pervenuta in data 17 marzo 2009 – arrecata al diritto della parte a partecipare tempestivamente al procedimento e di poter presentare impegni in tempo utile al fine di evitare l’irrogazione di sanzioni, con contestuale pregiudizio, altresì, anche alla tutela dei consumatori.

Le descritte censure, che possono essere esaminate congiuntamente, non meritano favorevole esame.

La disciplina normativa di riferimento alla cui luce condurre il vaglio in ordine alle proposte questioni va individuata nel D.Lgs. n. 206 del 2005 – recante il Codice del Consumo – e nel Regolamento sulle procedure istruttorie, adottato con delibera dell’Autorità del 15 novembre 2007 n. 17589, non potendo trovare applicazione, quanto alla scansione temporale del procedimento, la legge n. 241 del 1990 richiamata dalle società ricorrenti, la cui operatività trova il proprio limite nell’intervenuta compiuta normazione della materia con disciplina specifica.

Ricondotta la fattispecie al relativo quadro normativo di riferimento, va rilevato che l’art. 27, comma 3, del D.Lgs. n. 206 del 2005, dispone che l’Autorità comunica al professionista l’apertura dell’istruttoria, mentre l’art. 7 del Regolamento – intitolato ai termini del procedimento – dispone che "Il termine per la conclusione del procedimento è di centoventi giorni, decorrenti dalla data di protocollo della comunicazione di avvio e di centocinquanta giorni quando, ai sensi dell’art. 27, comma 6, del Codice del Consumo, si debba chiedere il parere dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni".

L’art. 6 del Regolamento stabilisce che "Il responsabile dell’istruttoria, valutati gli elementi comunque in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza con la richiesta di intervento (…), avvia l’istruttoria al fine di verificare l’esistenza di pratiche commerciali scorrette di cui al Codice del Consumo".

Appare chiaro, alla luce delle illustrate disposizioni, che solo con riferimento alla conclusione del procedimento il citato Regolamento reca l’indicazione di termini perentori, prorogabili nella misura e alle condizioni ivi stabilite, non sussistendo, con riferimento alla fase di avvio, alcun termine, neppure di natura acceleratoria, ricollegabile alla data di presentazione delle segnalazioni, entro il quale debba intervenire la comunicazione d’avvio del procedimento, la cui temporalizzazione è all’evidenza condizionata dal numero e dal contenuto delle segnalazioni, dall’ampiezza temporale della stessa pratica commerciale scorretta e dalla maggiore o minore complessità della fattispecie (TAR Lazio – Roma – Sez. I – 13 luglio 20101 n. 24994).

Per la fase che precede l’avvio del procedimento nessun termine, né perentorio né ordinatorio, è previsto dalla normativa di settore, la quale dispone che tale avvio debba intervenire previo svolgimento di una attività valutativa volta a verificare la sussistenza delle condizioni per instaurare il procedimento di accertamento di eventuali profili di scorrettezza di una pratica commerciale, non essendo prevista per la fase che precede la comunicazione dell’avvio dell’istruttoria alcuna durata prestabilita, né sottoponendo la stessa ad alcun termine acceleratorio.

Il che si presenta coerente con la considerazione che in materia di pratiche scorrette l’Autorità è chiamata, in ragione proprio della struttura dell’illecito e diversamente da quanto accade nei procedimenti intesi a reprimere la pubblicità ingannevole e comparativa, al compimento di una – spesso – complessa attività istruttoria volta alla individuazione con precisione – salvi i casi di condotte "tipizzate" elencate agli artt. 23 e 26 del Codice del Consumo – delle azioni, omissioni o dichiarazioni ritenute scorrette, ingannevoli o aggressive, nonché, come nella fattispecie in esame, dei soggetti responsabili delle stesse, che risulta quindi incompatibile con una predefinita limitazione temporale.

Non può, pertanto, condividersi la tesi di parte ricorrente volta a far ricadere tale fase del procedimento nell’ambito di applicazione dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 – con conseguente suo assoggettamento al termine di durata massima di 30 giorni – trovando tale soluzione ostacolo nella disciplina di settore che, come illustrato, dispone diversamente rispetto alla legge generale sul procedimento amministrativo quanto alla durata di tale fase procedimentale, e ciò in coerenza con le esigenze istruttorie emergenti a seguito delle segnalazioni pervenute all’Autorità, insuscettibili ad essere imbrigliate in predefiniti limiti di durata.

Né può condividersi quanto affermato da parte ricorrente circa la semplicità dell’istruttoria che deve precedere l’avvio del procedimento in quanto volta alla sola identificazione dei professionisti e dei presupposti per l’archiviazione o per la prosecuzione del procedimento, con conseguente asserita possibilità, oltre che necessità, di predefinirne la durata, posto che proprio la verifica dei presupposti per dare avvio al procedimento può richiedere una complessa attività preistruttoria anche sulla base delle informazioni rese dalle parti.

Quanto al lamentato pregiudizio per le prerogative difensive delle parti, cui sarebbe peraltro asseritamente preclusa la possibilità di presentare in tempo utile gli impegni laddove la pratica sia di breve durata, osserva il Collegio che il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa sono ampiamente garantiti, in linea generale, nell’ambito del procedimento in materia di pratiche commerciali scorrette, caratterizzato da un compiuto sistema partecipativo, nel cui ambito il diritto di difesa dei soggetti coinvolti viene garantito e concretamente esercitato attraverso una pluralità di strumenti, tra cui la comunicazione di avvio del procedimento, la possibilità di presentare memorie e fornire informazioni, lo strumento dell’audizione, pienamente idonei ad assicurare la tutela dei diritti difensivi delle parti.

Nelle considerazioni che precedono risiedono quindi le ragioni dell’infondatezza dei motivi di censura in esame, ivi comprese quelle rivolte avverso la norma di cui all’art. 7 del Regolamento – legittima dovendo ritenersi la scansione del procedimento ivi prevista – ed avverso la comunicazione di avvio del procedimento, intervenuta nel rispetto delle norme di riferimento.

Inoltre, avuto riguardo alla data di comunicazione dell’avvio del procedimento, avvenuta il 28 settembre 2009, e a quella di adozione della gravata delibera, intervenuta il 25 febbraio 2010, risulta rispettato il previsto termine di 150 giorni dalla data di protocollazione della comunicazione di avvio del procedimento previsto per i casi – come quello in esame – in cui debba chiedersi il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Delibate, nel senso di cui sopra, le censure volte a lamentare violazioni di tipo procedimentale, il sollecitato vaglio giurisdizionale può indirizzarsi alla disamina della dedotta illegittimità della gravata delibera per non avere l’Autorità svolto alcuna istruttoria in ordine alla effettiva idoneità dei messaggi ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso, come richiesto dalla disciplina dettata dal Codice del Consumo, nonché in ordine alla ricorrenza di un danno concreto discendente dalla ingannevolezza del messaggio, tenuto conto della natura del prodotto, delle modalità dell’offerta e del contenuto delle segnalazioni, pregiudizio asseritamente non esistente alla luce della ridotta diffusione del prodotto reclamizzato in rapporto alle immatricolazioni di vetture Ford avvenute nel periodo di interesse.

Quanto alla dedotta inidoneità della condotta sanzionata ad ingannare il consumatore medio, osserva il Collegio che i profili di ingannevolezza dei messaggi sono stati correttamente enucleati dall’Autorità ed ampiamente motivati, con congrue e condivisibili argomentazioni, sulla base del complessivo atteggiarsi della comunicazione pubblicitaria, di cui sopra si è dato conto, stante l’omissione informativa – anche per effetto della ridotta dimensione grafica delle condizioni dell’offerta – relativamente a caratteristiche essenziali di quanto reclamizzato, indispensabili ai fini della adozione, da parte del consumatore medio, di una decisione consapevole.

In particolare, i messaggi, stante il loro contenuto e le relative modalità grafiche, inducono a ritenere che l’offerta si riferisca alla possibilità di acquisto di un’auto nuova al prezzo di una usata, laddove in realtà si riferisce ad un’operazione assistita da un di finanziamento, con possibilità di acquisto o di riconsegna dell’auto decorso un determinato periodo di utilizzo, senza che i messaggi consentano, peraltro, di percepire quale sia il costo dell’operazione finanziaria.

In proposito, occorre fare rinvio alla disposizione recata dall’art. 22 del Codice del Consumo, intitolato alle "Omissioni ingannevoli’, ai sensi del quale "È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Se il disposto normativo contestualizza il giudizio di ingannevolezza di una pratica commerciale in ragione delle caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, tale giudizio va comunque condotto alla stregua della verifica dell’adempimento dell’onere, ricadente sul professionista, di chiarezza, completezza e correttezza informativa in ordine all’offerta, pur se compatibilmente con le caratteristiche del mezzo utilizzato.

In sostanza, alla luce della corretta lettura dogmatica della fattispecie illecita che viene in rilievo, la prevista parametrazione del giudizio di ingannevolezza alle caratteristiche del mezzo di informazione utilizzato non si traduce in un affievolimento dell’onere di fornire ai consumatori, sin dal primo contatto, adeguate informazioni in ordine alle caratteristiche essenziali dell’offerta, dovendo qualsiasi condotta essere valutata alla stregua della sua idoneità ad indurre in errore i consumatori in ragione di omissioni informative che non rendano immediatamente percepibile il contenuto dell’offerta.

L’onere di completezza e chiarezza informativa imposto dalla normativa di settore ai professionisti richiede, in sostanza, alla stregua dello standard di diligenza concretamente pretendibile, che ogni messaggio rappresenti i caratteri essenziali di quanto mira a reclamizzare ogniqualvolta la loro omissione, o l’enfatizzazione di taluni elementi, renda non chiaramente percepibile il reale contenuto ed i termini dell’offerta, così inducendo il consumatore, attraverso il falso convincimento del reale contenuto della stessa, in errore, condizionandolo nell’assunzione di comportamenti economici che altrimenti non avrebbe adottato.

In coerente applicazione delle descritte coordinate di riferimento, desumibili dalle previsioni dettate a tutela dei consumatori, deve quindi ritenersi che l’ingannevolezza di un messaggio può essere ravvisata in relazione a qualsiasi contesto informativo e può discendere anche dalle sole modalità di presentazione dell’offerta, laddove le stesse si pongano in contrasto con la ratio e l’ampia portata della disciplina di tutela dei consumatori, in particolare quando il messaggio enfatizza elementi di particolare capacità persuasiva rendendo la reale portata dell’offerta di non chiara e immediata percezione da parte del consumatore in virtù della omissione o della più difficile percezione di altri elementi essenziali dell’offerta che ne limitano la portata.

In corretta applicazione delle descritte coordinate interpretative, i messaggi sanzionati sono stati, quindi, ritenuti ingannevoli in ragione del loro concreto atteggiarsi, volto ad enfatizzare elementi di maggiore capacità persuasiva ed attrazione, omettendo di fornire una comunicazione chiara e completa in ordine agli elementi essenziali dell’offerta.

Il rilevato carattere ingannevole dei messaggi sanzionati riverbera automatiche conseguenze in ordine al giudizio di scorrettezza della pratica, non essendo a tal fine necessario, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, che dalla condotta derivi un apprezzabile pregiudizio per i consumatori, nella specie asseritamente insussistente.

L’illiceità della condotta, al fine di assumere rilevanza ai sensi delle disposizioni del Codice del Consumo, non deve difatti dimostrare una concreta attuazione pregiudizievole per le ragioni dei consumatori, essendo sufficiente la ricorrenza di una potenzialità lesiva per le scelte che questi ultimi devono poter porre in essere fuori da condizionamenti o orientamenti decettivi.

Il che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito non già di danno, ma di mero pericolo in quanto riferito a condotte intrinsecamente idonee a condurre alle conseguenze che la disciplina di legge ha inteso, invece, scongiurare (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. – I – 8 aprile 2009 n. 3722; 8 settembre 2009 n. 8399 e n. 8394; 13 dicembre 2010 n. 36114).

Gli effetti della condotta, si pongono, in definitiva, al di fuori della struttura dell’illecito, atteso che la normativa in materia non ha la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalle pratiche scorrette agli interessi patrimoniali del consumatore, ma si colloca su un più avanzato fronte di prevenzione, essendo tesa ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici.

Gli effetti della condotta possono, semmai, assumere significatività quale elemento aggravante, laddove il comportamento ascrivibile all’operatore abbia avuto diffuse ricadute pregiudizievoli nell’ambito dei consumatori, essendo da tale circostanza desumibile con ogni evidenza la grave inadeguatezza del comportamento posto in essere da quest’ultimo a fronte del paradigma di diligenza cha la normativa di riferimento ha posto quale essenziale parametro di valutabilità della condotta.

Per la configurazione dell’illecito non è pertanto necessario – contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente – che l’Autorità analizzi e basi il proprio giudizio sugli effetti prodotti dalla pratica commerciale, essendo invece sufficiente che, sulla base di un giudizio prognostico, la stessa sia ritenuta idonea ad incidere potenzialmente sulle scelte dei consumatori (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 21 settembre 2009 n. 9083; 13 dicembre 2010 n. 36114).

Quanto alle ulteriori deduzioni di parte ricorrente, relative alla possibilità per i consumatori di avere le necessarie informazioni tramite telefono, per l’effetto dovendo asseritamente escludersi anche il profilo di pregiudizio evidenziato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni consistente nella non attivazione da parte dei consumatori di altre ricerche, osserva il Collegio, in adesione al costante orientamento della Sezione da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi, che è irrilevante la possibilità che informazioni più dettagliate siano fornite o rese comunque disponibili in un contesto diverso o in una fase successiva a quella in cui la condotta si realizza, dovendo la correttezza della stessa essere verificata, come sopra accennato, nell’ambito del medesimo contesto di comunicazione in cui la pratica commerciale oggetto di indagine viene integrata, e non già sulla base di ulteriori informazioni caratterizzanti diverse condotte o sulla base di informazioni che il professionista renda disponibili a contatto già avvenuto (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 20 settembre 2010 n. 32371; 24 giugno 2010 n. 20910; 21 luglio 2010 n. 27458; 3 marzo 2010, n. 3287; 8 settembre 2009 n. 8395, n. 9743 del 2009; 14 settembre 2009, n. 8670; n. 276 del 2008).

Ed infatti, l’omissione informativa in ordine alla reale consistenza dell’offerta non viene sanata dalla circostanza della possibilità di ottenere ulteriori dettagli informativi non contestuali al messaggio promozionale che risulti idoneo, nella sua decettività, ad agganciare il consumatore, risultato questo che costituisce, in definitiva, lo scopo del messaggio stesso e che viene raggiunto attraverso la sua ingannevolezza, determinata dalle modalità di sua presentazione complessiva che non consente una precisa ed immediata percezione dell’offerta reale.

Scopo della disciplina dettata a tutela del consumatore è, difatti, quello di salvaguardare la libertà di autodeterminazione del consumatore sin dal primo contatto pubblicitario, imponendo al professionista un particolare onere di chiarezza nella propria strategia comunicativa.

L’ingannevolezza del messaggio non è, quindi, esclusa dalla possibilità che il consumatore sia posto in condizione, prima dell’adesione all’offerta, di conoscerne tutti i dettagli, in quanto la verifica dell’Autorità riguarda il messaggio pubblicitario in sé, e pertanto la sua intrinseca idoneità a condizionare le scelte dei consumatori, indipendentemente dalle informazioni che il professionista renda disponibili a "contatto" già avvenuto, e quindi ad effetto promozionale ormai prodotto.

Coerentemente, quindi, con la struttura dell’illecito e con le finalità degli strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento, la verifica di ingannevolezza di un messaggio va condotta con riferimento al messaggio pubblicitario in sé e per sé considerato, e quindi alla sua idoneità a condizionare le scelte dei destinatari, indipendentemente dalle informazioni che il professionista renda disponibili successivamente alla produzione dell’effetto promozionale, dovendo l’informazione pubblicitaria essere completa e non ingannevole ex se considerata, sulla base del principio della c.d. autosufficienza informativa.

Il giudizio in ordine al carattere di ingannevolezza di un messaggio pubblicitario va, pertanto, effettuato ex ante con esclusivo riferimento alla portata dello stesso, costituendo il contatto del destinatario del messaggio con il professionista il raggiungimento del risultato che il messaggio si prefigge, così consumandosi l’ingannevolezza dello stesso che mira, appunto, ad indebitamente orientare le scelte dei destinatari inducendoli a contattare il professionista.

E’, dunque, per tale ragione che il pregiudizio del comportamento economico del consumatore derivante da una condotta ingannevole non viene escluso dalla possibilità per questi di ottenere esaustive informazioni in un momento successivo a quello in cui si è perfezionato il contatto ai fini della conclusione dell’operazione commerciale, essendo la ratio della specifica normativa la protezione dei destinatari dei messaggi al fine di evitare che siano indotti al contatto con l’operatore commerciale sulla base di una pubblicità ingannevole che non li informa, in termini di chiarezza, completezza e correttezza, compatibilmente con la natura del messaggio, della reale portata di quello reclamizzato. Nell’ambito del giudizio di non veridicità ed ingannevolezza di un messaggio pubblicitario va, pertanto, apprezzato il contenuto del messaggio stesso al fine di verificare se nei suoi contenuti e nella sua portata persuasiva sia idoneo a condizionare le scelte dei destinatari, realizzandosi il fine promozionale attraverso il messaggio stesso, il quale esaurisce la propria funzione proprio nell’indurre il destinatario a rivolgersi all’operatore, dovendosi conseguentemente valutare la completezza e la veridicità di un messaggio pubblicitario nell’ambito del suo contesto di comunicazione commerciale, irrilevante essendo la possibilità per il consumatore di acquisire ulteriori informazioni da fonti diverse o successivamente all’instaurazione del contatto o del rapporto tra consumatore ed operatore.

Pertanto, alla luce delle finalità della disciplina dettata in materia di pubblicità ingannevole nei rapporti tra professionisti e consumatori e dei parametri cui ancorare il carattere di ingannevolezza, nessun pregio può assumere la circostanza che i caratteri di completezza e chiarezza dell’informazione siano integrati – come affermato da parte ricorrente – in una fase successiva a quella della diffusione del messaggio.

Delibata, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, l’infondatezza delle esaminate censure, rivolte avverso le valutazioni espresse dall’Autorità e poste a sostegno della gravata delibera, vengono in rilievo, nella gradata elaborazione delle questioni sottoposte al vaglio del Collegio, le censure ricorsuali volte a contestare la quantificazione della sanzione irrogata alle ricorrenti.

Non meritano, innanzitutto, condivisione, le argomentazioni poste a sostegno della denunciata irragionevolezza delle sanzioni irrogate a ciascuna delle ricorrenti, ancorate al raffronto con la sanzione applicata alla società G.A. S.p.a. due anni prima per un caso simile, nonché con ulteriori sanzioni applicate ad altri soggetti, dovendo ribadirsi, in proposito, il costante orientamento della Sezione, reso nel senso della autonomia che connota ogni accertamento circa l’esistenza di profili di scorrettezza di pratiche commerciali ascritte a diversi soggetti e della preclusione alla verifica di ipotesi di disparità di trattamento in materia di sanzioni amministrativa, il quale postula l’identità o quantomeno la totale assimilabilità delle situazioni che, oltre a non essere stata provata in concreto, appare in linea generale difficilmente configurabile.

Aggiungasi, al riguardo, che è stato modificato, rispetto al periodo cui si riferisce il caso preso a termine di confronto – ricadente nell’ambito di applicazione del previgente testo del Codice del Consumo – il minimo edittale delle sanzioni irrogabili, e che la posizione delle ricorrenti non può essere assimilabile a quella di una concessionaria, e ciò in ragione della diversa portata degli oneri di diligenza incombenti su tali professionisti e delle rispettive dimensioni economiche, cui la sanzione va parametrata al fine di garantirne l’effetto deterrente.

A maggior ragione, all’evidenza, tale raffronto non è percorribile, ai fini invocati da parte ricorrente, con professionisti operanti in settori diversi, quali la Telecom.

Deve, invece, ritenersi la fondatezza della censura volta a lamentare la commisurazione della sanzione al grado di diffusione della pratica.

L’Autorità, nel determinare la sanzione, ha ritenuto, con riferimento al grado di diffusione della pratica, che la stessa "in ragione delle modalità di diffusione a mezzo stampa dei messaggi pubblicitari relativi all’operazione "IDEAFORD", è suscettibile di aver raggiunto un numero significativo di destinatari."

Nella determinazione della sanzione, avuto riguardo alla sua doverosa commisurazione al grado di diffusione della pratica commerciale, non sembra che l’Autorità abbia tenuto conto del fatto che i messaggi siano stati veicolati attraverso quotidiani a tiratura sia locale che nazionale, con riferimento ad alcuni dei quali solo nell’edizione locale, risultando quindi generico e non aderente alle specificità del caso concreto l’aver riferito il grado di diffusione della pratica unicamente al mezzo stampa utilizzato, senza alcuna ulteriore specificazione in ordine alla natura locale e nazionale che differenzia i quotidiani in cui sono stati pubblicati i messaggi.

Ancora, rileva il Collegio che l’Autorità non abbia valutato che la condotta si riferisce ad offerte destinate ad un bacino di utenza territorialmente delimitato, tendenzialmente riferito agli abitanti dell’area di prossimità con le sedi delle concessionarie cui si riferisce l’iniziativa.

L’avere, quindi, desunto l’Autorità il grado di diffusione della pratica dalle sole modalità a mezzo stampa di sua pubblicizzazione, senza tener conto che i destinatari della pratica sono tendenzialmente circoscritti agli abitanti di determinate aree, si riflette in un vizio della gravata delibera, che va in parte qua annullata, con rideterminazione delle sanzioni applicate alle società ricorrenti, ai sensi dell’art. 134, comma 1, lettera c), del codice del processo amministrativo – che attribuisce al giudice, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, la giurisdizione estesa al merito – che vengono ridotte ciascuna del 20% e rideterminate nella misura corrispondente, ritenuta equa e proporzionata rispetto agli elementi di rilievo della fattispecie e rispondente ai criteri di cui all’art. 11 della legge n. 689 del 1981.

Deve, altresì, ritenersi fondata la censura con cui le ricorrenti lamentano la mancata adeguata considerazione della situazione economica in cui versa la società A. S.p.a., a quale ha registrato perdite di bilancio.

L’Autorità, in ragione di tali perdite, ha ridotto la sanzione base, indicata in euro 50.000, ad euro 35.000.

Ritiene, tuttavia, il Collegio che alla luce delle evidenziate misure di mobilità del personale adottate dalla società A. S.p.a., la sanzione irrogata, pur nella misura ridotta, sia eccessiva e suscettibile di pregiudicare l’attività della stessa, ritenendo pertanto equo e comunque rispondente alla necessità di garantire l’efficacia deterrente della sanzione, l’applicazione di una sanzione inferiore, come risultante dalla riduzione di quella irrogata del 40%.

Consegue, quindi, da quanto sopra esposto, l’accoglimento, sotto gli illustrati profili, del ricorso in esame, con conseguente annullamento parziale della gravata delibera limitatamente alla determinazione delle sanzioni irrogate alle ricorrenti, le quali, in applicazione dell’art. 134, comma 1, lettera c), del codice del processo amministrativo vengono ridotte nella misura del 20% per la società G.A. S.p.a e nella misura del 40% per la società A. S.p.a. e rideterminate nella misura corrispondente.

Sussistono giusti motivi, in ragione del parziale accoglimento del ricorso, per disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 4287/2010 R.G., come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nel senso e nei limiti di cui in motivazione, con parziale annullamento in parte qua della gravata delibera e rideterminazione delle sanzioni irrogate nella misura ivi prevista.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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