Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-02-2011) 25-02-2011, n. 7502 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza in data 16.07.2010 la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado resa in esito a rito abbreviato, decidendo sulle impugnazioni proposte da T. M. e D.J.L.D.F.: a) assolveva il T. dal reato di favoreggiamento personale perchè non punibile per successiva ritrattazione; b) riconosceva nei confronti del D.J. L., in ordine al reato a lui ascritto di tentato omicidio, l’attenuante della provocazione, riducendo la pena ad anni 5 di reclusione; c) confermava la condanna di entrambi i predetti imputati e la pena loro inflitta di anni 1, mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa ciascuno, per il reato di falsità documentale di cui sub c); d) confermava la condanna del D.J. al risarcimento dei danni, più spese di lite, in favore di L.A., parte lesa del tentato omicidio, costituitosi parte civile.

In fatto, entrambi i giudici del merito ritenevano provato che la tarda sera del 18.10.2008, in Torino, all’interno del locale " (OMISSIS)", il D.J.L., nell’ambito di una lite per la restituzione di una piccola somma, avesse colpito il L. con almeno quattro coltellate, due al torace (con penetrazione in sede polmonare) e due all’addome. Tale fatto costituiva – ritenevano i giudici territoriali – il contestato reato di tentato omicidio per la reiterazione dei colpi, per le zone vitali prese di mira e per la natura dell’arma (un grosso coltello da cucina); ciò sulla base delle dichiarazioni della parte lesa e del T. in sede di ritrattazione, nonchè sulle stesse affermazioni in fatto dell’imputato D.J.L.. Il reato di falsità documentale di cui al capo e) era stato ammesso da entrambi gli imputati. In ordine al tentato omicidio, ritenuto sorretto da dolo alternativo, venivano respinte le richieste del D.J.L. in ordine all’esimente della legittima difesa quanto meno putativa (avendo egli ripetutamente colpito l’antagonista ormai disarmato), dell’eccesso colposo e del difetto dell’animus necandi, profili giuridici esclusi nettamente dalle modalità del fatto come ricostruito. Era peraltro riconosciuta in favore del predetto imputato l’attenuante della provocazione, dovendosi ritenere il fatto ingiusto in capo al L. che aveva dato inizio alla collutazione.

Quanto al trattamento sanzionatorio, i giudici di primo e secondo grado ritenevano entrambi gli imputati meritevoli di attenuanti generiche, non più che equivalenti alla recidiva, in considerazione della gravità dei fatti e delle personalità giudicate non positive sulla base dei loro precedenti penali.

2. – I ricorsi – Avverso tale sentenza proponevano ricorso per Cassazione entrambi i predetti imputati che motivavano le rispettive impugnazione svolgendo le seguenti deduzioni:

2.1 – Il T.: difetto di motivazione in ordine alla proposta censura di eccessività della pena inflitta per il reato sub e), in tutte le sue componenti, avendo la Corte motivato sul punto unicamente con richiamo alla sentenza di primo grado.

2.2 – Il D.J.L.: a) vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine al rigetto della richiesta della scriminante della legittima difesa, quanto meno putativa, essendo pacifico in fatto che il L. ebbe ad aggredire esso ricorrente con il coltello in mano, provocandogli lesioni alle mani; b) vizio di motivazione in ordine al rigetto della subordinata richiesta difensiva dell’eccesso colposo in legittima difesa, quam minus putativa, per errore di valutazione in merito alle dinamiche difensive, in relazione alla maggiore struttura fisica del L. ed in ragione delle lesioni già subite alle mani da esso ricorrente, ad opera dell’antagonista (nella prima fase della colluttazione).
Motivi della decisione

3. – Il ricorso del T. è inammissibile, quello del D. J.L. è infondato.

3.1 – Il ricorso del T., manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.

Ed invero la Corte territoriale ha ben motivato per relationem in piena condivisione del primo giudizio sul punto della docimasia sanzionatoria – unico tema dell’odierno ricorso -, con puntuale rimando in ordine a tutte le questioni proposte: la ricorrenza della recidiva (espressiva di un’elevata propensione a delinquere), il giudizio di mera equivalenza delle riconosciute generiche (per la rilevanza del fatto di reato), l’entità della pena base e degli aumenti a titolo di concorso formale e di continuazione (peraltro complessivamente modesti). Poichè l’imputato, in sede di proposizione dei motivi d’appello, non aveva introdotto elementi diversi di valutazione, non presi in considerazione dal primo giudice, ma aveva solo proposto una maggiore valorizzazione degli stessi argomenti (sulla rilevanza del fatto e sulla personalità di esso imputato, nonchè sulla sua condotta processuale), risulta incensurabile la motivazione del giudice di secondo grado che alle considerazioni del primo giudice si sia riportato: in tal senso è sufficiente – secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità – che il giudice dell’appello abbia dato conto dei motivi del gravame sul punto e della convinta condivisione della prima motivazione che a quelle doglianze in sostanza già dia risposta, come deve riconoscersi nella presente vicenda processuale (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, n. 38824 in data 17.09.2008, Rv. 241062, Raso; Cass. Pen. Sez. 6, n. 31080 in data 14.06.2004, Rv. 229299, Cerrone; ecc.).

Il ricorso dell’imputato T. è dunque inammissibile ex art. 591 c.p.p., e art. 606 c.p.p., comma 3.

Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del predetto ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, in tal misura ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso totalmente infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).

3.2 – Il ricorso del D.J.L., infondato, deve essere rigettato con ogni dovuta conseguenza di legge.

Il predetto imputato ripropone, in questa sede, sub specie vizi di legittimità della sentenza impugnata, le stesse questioni già avanzate davanti ai giudici del merito e da questi correttamente affrontate e risolte. Non è fondato il primo profilo del ricorso che lamenta il mancato riconoscimento dell’esimente della legittima difesa oggettiva. Ed invero, in fatto, è incontroverso che il predetto imputato ebbe a colpire il L. solo dopo averlo disarmato e quando, dunque, l’aggressione posta in essere da costui era terminata. I giudici del merito hanno tratto tale ricostruzione dalla sostanzialmente conforme versione dello stesso D.J.L. e del T., aggiungendo anche che, nel contesto, il L. si trovava pure in inferiorità numerica (rispetto al gruppetto a lui avverso). Le quattro coltellate infette dall’odierno ricorrente all’antagonista si situano, dunque, in un momento in cui la necessaria attualità del pericolo era superata ed in un contesto in cui la neutralizzazione del L. era stata già raggiunta. Anche per la presenza di altre persone, dunque (il T. ed il pizzaiolo F.), non vi erano seri motivi per poter oggettivamente ritenere che il L., a mani nude, potesse costituire ancora un pericolo a carico dell’odierno ricorrente che, a quel punto, aveva il coltello in mano. Vi è dunque una frattura significativa, un rovesciamento delle posizioni, ed anche una situazione ambientale che devono fare escludere la ricorrenza della richiesta legittima difesa, sia per difetto dell’attualità del pericolo, sia per la ricorrenza di plurime diverse vie di uscita (commodus discessus) ben praticabili, anzichè infierire sull’antagonista. Disarmato quest’ultimo, invero, non sussisteva più per l’odierno ricorrente l’alternativa tra subire e reagire, nè la necessità salvifica di colpirlo per porre fine all’aggressione altrui, essendo questa già terminata. Dovendosi dunque riaffermare tali principi – veri capisaldi giurisprudenziali in materia – e non proponendo il ricorrente altro che una ribadita esposizione delle proprie tesi, il ricorso sul punto deve essere respinto.

Ciò posto, non sussistendo un contesto oggettivo di legittima difesa, non può neppure prendersi in considerazione il tema – su cui pure vi è ricorso – dell’eccesso colposo – N che, secondo consolidati principi, non può essere configurato ove si debba escludere la scriminante dal punto di vista oggettivo (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 26172 in data 11.05.2010, Rv. 247898, P.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 2505 in data 14.11.2008, Rv. 242349, P.G. in proc. Olari;

ecc), e comunque per palese eccessività della reazione tale da configurare una deliberazione aggressiva ben volontaria, non ascrivibile a colpa (una scelta deliberata di condotta reattiva tale da realizzare un superamento cosciente e volontario della situazione preesistente: cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 45407 in data 10.11.2004, Rv. 230393, Podda; ecc.).

Va quindi disatteso anche il motivo del ricorso che deduce violazione di legge e vizio di motivazione (errar in judicando) nel rigetto dell’invocata legittima difesa putativa, pur anche in forma di eccesso colposo. La tesi è ribadita con mero riferimento – già correttamente disatteso dei giudici del merito – alla maggiore struttura fisica del L. che avrebbe indotto, nell’odierno ricorrente, l’idea di una possibile ulteriore aggressione da parte di costui. L’argomento è, peraltro, privo di pregio, poste le circostanze in fatto come univocamente ricostruite; in particolare risulta risolutivo il dato emergente dagli accertamenti peritali per cui il L. veniva accoltellato dall’odierno ricorrente mentre indietreggiava verso la porta di uscita, e quindi di certo non poteva avere atteggiamento aggressivo. L’esclusione di elementi reali che possano aver creato nell’imputato una ragionevole, ancorchè errata, rappresentazione putativa di versare in imminente pericolo, deve far escludere sia la legittima difesa putativa, sia – anche per gli argomenti di cui sopra – eccesso colposo nella stessa legittima difesa putativa.

L’impugna sentenza è dunque immune dai denunciati vizi.

Il ricorso del D.J.L. deve pertanto essere rigettato, siccome infondato in ogni sua deduzione.

Alla completa reiezione dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente imputato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso di D.J.L.D.F. e dichiara inammissibile quello proposto da T.M..

Condanna entrambi i predetti imputati al pagamento delle spese processuali ed il T. anche al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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