T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 23-02-2011, n. 1685 Previdenza integrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente, dipendente dell’Inps cessato dal servizio con qualifica dirigenziale il 1421988, con il presente ricorso ha chiesto la riliquidazione del trattamento di pensione in godimento, con la applicazione dei benefici economici derivanti dal CCNL dell’11111996 e del 1711997, in forza dell’applicazione dell’art 33 del Regolamento per la copertura degli oneri relativi alla previdenza del personale INPS del 1971, che prevedeva " ove con provvedimenti di carattere generale siano apportate variazioni nella retribuzione pensionabili del personale in servizio, le pensioni a carico del Fondo in godimento sono riliquidate, assumendo come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l’impiegato si trovava all’atto della cessazione dal servizio".

Si è costituito l’istituto resistente, contestando la fondatezza del ricorso.

All’udienza pubblica del 1012011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato.

La giurisprudenza sia di questo Tribunale che del Consiglio di Stato ha più volte affermato che con l’art. 59 comma 4 della L. n. 449 del 1997 è stato soppresso dall’1 gennaio 1998 ogni meccanismo perequativo dei trattamenti a carico dei fondi integrativi spettanti – in aggiunta a quello vigente per le pensioni corrisposte in regime obbligatorio- ai dipendenti collocati a riposo per effetto dei quali la loro pensione integrativa era aggiornata tutte le volte in cui venivano modificati gli stipendi per il personale in servizio (Consiglio Stato, sez. VI, 20 aprile 2006, n. 2181; 3.03.2008, n. 1945; TAR Lazio, Sez. III^ter 30 gennaio 2003 n. 528; T.A.R. Lazio Roma, sez. III,quater 14 settembre 2010, n. 32309).

Ai sensi dell’ art. 59 della L. 27 dicembre 1997 n. 449 quarto comma, a decorrere dal 1° gennaio 1998, per l’adeguamento delle prestazioni pensionistiche a carico delle forme pensionistiche di cui ai commi 1, 2 e 3 trova applicazione esclusivamente l’art. 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, che prevede la perequazione solo tramite l’adeguamento Istat, con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all’evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio (Cons. Stato, VI, n. 6178 e 6179 del 2005).

Con effetto sui trattamenti liquidati a decorrere dal 1° gennaio 1998 alle medesime forme pensionistiche si applicano le disposizioni in materia di cumulo tra prestazioni pensionistiche e redditi da lavoro dipendente o autonomo previste dalla disciplina dell’assicurazione generale obbligatoria.

Nello specifico, il blocco dell’adeguamento automatico delle prestazioni erogate dalle forme di previdenza disposto ai sensi dell’art. 59 comma 4 L. 27 dicembre 1997 n. 449, a decorrere dal 1° gennaio 1998 concerne tutti i beneficiari della rendita a carico del Fondo interno dell’Istituto, a nulla rilevando la natura contrattuale della rendita stessa (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 13 maggio 2008, n. 2205).

Questo Collegio ritiene di non doversi discostare da tali consolidati orientamenti.

Emerge dal richiamo ai precedenti commi 1, 2 e 3, che il comma 4 dell’art. 59 si è riferito ad ogni tipologia di trattamento pensionistico, e, tra questi, anche a quelli degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, tra cui è ricompreso l’INPS.

Il riferimento ai trattamenti integrativi di tali enti, contenuto nella norma richiamata e nel citato precedente, si aggiunge a quello, presente nella stessa norma, ad ogni forma di trattamento pensionistico.

La portata generale della norma incide dunque su tutti i casi di previdenza integrativa che prevedevano la c.d. clausola oro del Fondo di previdenza per il personale dell’Inps.

Infatti, dallo stesso comma 4 si ricava che il legislatore, nel sopprimere ogni meccanismo perequativo diverso da quello vigente nelle pensioni corrisposte in regime obbligatorio, si è riferito a tutte le prestazioni pensionistiche, presenti e future, mentre, ove avesse effettivamente voluto distinguere fra le diverse fasce di soggetti per coinvolgere una nell’innovazione (i lavoratori ancora attivi) e tenerne fuori un’altra (i pensionati), avrebbe dovuto usare una diversa formula, come quella contenuta nel precedente comma 2 ("Per i trattamenti da liquidarsi a decorrere dal 1° gennaio 1998").

La finalità perseguita dal citato art. 59 è, quindi, chiaramente quella di perequare le prestazioni di tutte le forme pensionistiche in attuazione della scelta del legislatore, enunciata sin dalla L. 23 ottobre 1992, n. 421 e via via confermata nei successivi interventi, di istituire un collegamento funzionale tra la previdenza obbligatoria e quella complementare, collocando quest’ultima nel sistema dell’art. 38, comma 2, della Costituzione (così, proprio in ordine all’art. 59 della legge n. 449 del 1997, Corte costituzionale 28.7.2000, n. 393).

La questione di costituzionalità proposta in ordine all’art. 59 della legge n. 449/1997 è manifestamente infondata.

La Corte Costituzionale (sent. n. 390 e n. 490 del 1995) ha negato l’esistenza di diritti quesiti dei pensionati sottratti, per ciò stesso, ad interventi ablativi o riduttivi del legislatore che rispondono al criterio generale della ragionevolezza, affermando l’insussistenza di un diritto all’intangibilità del trattamento pensionistico esistente nel momento in cui ebbe inizio l’iscrizione ad un regime. Secondo il Giudice delle leggi, sarebbe, infatti proprio la cristallizzazione nel tempo del meccanismo di perequazione a porsi in contrasto con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., essendo ingiustificabili le crescenti diversità di trattamento fra pensionati che ne deriverebbero e, d’altra parte, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica non impedirebbe al legislatore di emanare norme modificatrici della disciplina dei rapporti di durata in senso sfavorevole per i beneficiari, quanto tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irragionevole di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti.

Non è, quindi, possibile appellarsi al principio dei "diritti quesiti", perché questi attengono alla misura della pensione in godimento, ma non anche ai futuri miglioramenti del trattamento, sempre legati alle contingenze dei periodi in cui potranno eventualmente essere riconosciuti con criteri non necessariamente consolidati.

Peraltro, con riferimento a questioni analoghe, relative sempre all’art. 59 della legge n. 449/97, la Corte Costituzionale si è già espressa negativamente, ribadendo che nei rapporti di durata il legislatore può emanare norme modificatrici della disciplina, sempreché le disposizioni non trasmodino, come non è nel caso di specie, in un regolamento irragionevole di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti (cfr., Corte Cost., n. 393/2000; n. 202/2006; Cds 2205 del 2008)

Né, come pretende parte ricorrente, in tali ipotesi sono stati ritenuti configurabili diritti quesiti dei dipendenti in materia, in quanto ciò confliggerebbe con principi di rilevanza costituzionale (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 19 agosto 2004, n. 16303; Cass. ss. uu. 20 luglio 1999, n. 479).

Infine, è anche manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 Cost., la questione di costituzionalità dell’art. 59 comma 4 L. 27 dicembre 1997 n. 449, nella parte in cui escludono ogni adeguamento delle prestazioni erogate dalle forme di previdenza diverse da quelle a carico dell’assicurazione generale obbligatoria ad esclusione della perequazione automatica delle pensioni al costo della vita (cfr. Corte Costituzionale 28 luglio 2000 n. 393; Corte cost., ord. 5 aprile 2006 n. 202; Cassazione civile, Sez. Lav., 22 aprile 2008 n. 10346; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 08 maggio 2009, n. 4928; Consiglio Stato, sez. VI, 4 aprile 2008, n. 1383; T.A.R. Lazio Roma, sez. III,quater 14 settembre 2010, n. 32309).

L’art 33 del regolamento del fondo previdenziale dell’Inps che riguarda l’ adeguamento pensioni, comunque, non può più trovare applicazione successivamente al 1997, essendo radicalmente mutato il sistema retributivo dei dirigenti, a cui il ricorrente chiedono l’adeguamento.

Infatti, la disposizione dell’art 33, faceva riferimento ad adeguamenti generali.

Tale previsione è incompatibile con il sistema delle retribuzioni di posizione e di risultato previste per i dirigenti, con la temporaneità degli incarichi, con una disciplina totalmente diversa da quanto era presupposto della disposizione dell’art 33.

Il ricorso è, quindi, infondato e deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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