Cassazione penale 7696/2010 Omicidio colposo: non una colpa qualsiasi, rileva la causalità della colpa!

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

R.D. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, segnatamente riconoscendo allo stesso le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, e, per l’effetto, riducendo la pena irrogatagli dal primo giudice, lo ha ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo plurimo aggravato dalla violazione della normativa in materia di circolazione stradale.

La Corte di merito ravvisava i profili di colpa del R. nell’essersi questi immesso alla guida della Betoniera sulla via (OMISSIS) compiendo una manovra vietata dalla segnaletica, che imponeva la svolta a destra, così da costituire un ostacolo del tutto imprevisto ed imprevedibile per il motociclista, il quale procedeva a velocità adeguata allo stato dei luoghi, indossando il casco. Sulla base di tali premesse fattuali, veniva ritenuta la irrilevanza sostanziale, ai fini della eziologia del sinistro, della posizione statica o dinamica del mezzo condotto dal R. e la conseguente ultroneità delle nuove perizie tecniche e medico- legali, richieste dall’appellante.

Il ricorrente articola tre motivi.

Con il primo lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva richiesta nell’atto di appello (in particolare una perizia medico legale sulla compatibilità delle lesioni personali rilevate in consulenza con la posizione statica della betoniera al momento dell’urto e nuova perizia sulla dinamica del sinistro).

Con il secondo si duole della manifesta illogicità della motivazione nella ricostruzione dell’incidente, conforme alle conclusioni del perito, ma contrastante, secondo l’assunto difensivo, con molteplici risultanze processuali, anche testimoniali (v. in particolare la deposizione dell’agente stradale Ra., la quale non aveva escluso che al momento dell’urto la betoniera fosse ferma), dalle quali risulterebbe provato che la betoniera aveva ultimato la manovra di attraversamento di via (OMISSIS) almeno 10 secondi prima che il veicolo sopraggiungesse, essendo pertanto ben visibile a grande distanza dal motociclista, il quale, forse per distrazione, non l’aveva vista.

Con il terzo motivo si duole della carenza di motivazione laddove aveva trascurato la rilevanza delle dichiarazioni di due testi, afferenti la ricostruzione della dinamica del sinistro, dalle quali poteva trarsi il logico convincimento che tra la posizione statica assunta dalla betoniera prima che sopraggiungesse il motociclista e l’evento non vi fosse alcun nesso causale.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Va ricordato, in premessa, che la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente – è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (Sezione 4, 5 dicembre 2007, Proc. Rep. Trib. Forlì in proc. Benelli).

Venendo invece ai profili oggetto di doglianza, questi possono essere sintetizzati come sostanziali contestazioni dei principi in tema di concretizzazione del rischio (sotto il profilo della affermata mancata consideracene dei parametri della prevedibilità e della evitabilità dell’evento dannoso in capo al soggetto cui pure venga addebitata la violazione di una regola cautelare) e in tema di interruzione del nesso causale (sotto il profilo che la condotta del motociclista avrebbe rappresentato causa sopravvenuta esclusiva dell’incidente).

In proposito, occorre considerare che, in tema di reato colposo, per poter addebitare un evento ad un determinato soggetto occorre accertare non solo la sussistenza del "nesso causale materiale" tra la condotta (attiva od omissiva) dell’agente e l’evento, ma anche la cosiddetta "causalità della colpa", rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l’evitabilità del fatto. Infatti, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Compito del giudice, in proposito, per poter formalizzare l’addebito, è quello di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che, all’epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti. Per l’effetto, ai fini dell’addebito, l’accadimento verificatosi deve essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, realizzandosi così la cosiddetta "concretizzazione del rischio". Peraltro, affermare, come afferma l’art. 43 c.p., che, per aversi colpa, l’evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, implica anche che l’indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l’evento: si può quindi formalizzare l’addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l’esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno (cfr. Sezione 4^, 14 febbraio 2008, parte civile Farci ed altri in proc. Aiana; e cfr. anche Sezione 4^, 1 ottobre 2008, Zocco ed altri).

Ebbene, il giudicante, si è posto nel pieno rispetto degli anzidetti principi, secondo una ricostruzione del fatto assolutamente ineccepibile, non sindacabile.

In punto di prevedibilità, non è certo revocabile in dubbio che la violazione della segnaletica da parte del Rossi, il quale, alla guida del mezzo pesante, invece di svoltare a destra, aveva proseguito diritto la sua marcia, (in violazione del resto con il disposto?, del codice della strada) possa porre le prevedibili condizioni di un urto diretto da parte di altri veicoli o comunque quelle per l’insorgenza di una condizione di pericolo per gli altri utenti della strada (in termini compatibili con l’occorso come in concreto verificatosi) (dovendosi quindi in proposito ritenere non rilevante l’argomento sviluppato nel ricorso sull’insussistenza del nesso eziologico perchè al momento della collisione la betoniera sarebbe stata in posizione statica).

In punto di esigibilità, non è altresì revocabile in dubbio che il rispetto della segnaletica (ergo, il comportamento alternativo lecito imposto dalla norma cautelare violata) avrebbe ragionevolmente impedito la verificazione dell’incidente. La valutazione prognostica effettuata dal giudice di merito non è in proposito arbitraria e non merita censure, pur a fronte del "dissenso" espresso nel ricorso.

Ineccepibile è anche la motivazione nella parte in cui esclude il comportamento colposo del C., il quale procedeva a velocità adeguata e con il casco, apprezzando negativamente l’interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento (art. 41 c.p., comma 2), sostenuta dal ricorrente.

Manifestamente infondata è anche la censura formulata con il primo motivo, qui trattata per ragioni di logica espositiva.

In proposito si ricorda che l’istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce un istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso solo quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti. La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Sez. 4^, 24 giugno 2008, parte civile in proc. Marazzita).

Ciò che nella specie, per quanto osservato, non è revocabile in dubbio, avendo il giudicante fornito adeguata giustificazione del mancato esercizio del potere di rinnovazione, non apprezzandosi quella situazione di incertezza ai fini del decidere che, sola, lo avrebbe consentito (anzi, addirittura imposto).

Non è, pertanto, configurarle nella fattispecie il vizio denunciato dal ricorrente sotto il profilo della mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d).

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000 a favore della Cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese a favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 2.500, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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