Cass. civ. Sez. I, Sent., 18-04-2011, n. 8824 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Roma, con Decreto del 2.10.07, ha accolto parzialmente la domanda di risarcimento del danno da eccessiva durata del processo proposta, ai sensi della L. n. 89 del 2001, da B.C. nei confronti del Ministero della Giustizia e, ritenuto che il procedimento presupposto avesse oltrepassato per anni sei il termine di durata ragionevole, ha condannato il Ministero a pagare alla ricorrente la somma di Euro 4.800 al valore attuale della moneta, in ragione di Euro 800 per anno, maggiorata degli interessi legali con decorrenza dalla data di pubblicazione del provvedimento, ed a pagare al procuratore antistatario le spese di lite. La B. ha chiesto la cassazione del provvedimento, affidandola a diciassette motivi di ricorso, sintetizzati in altrettanti quesiti di diritto. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso la B. denuncia in via generale violazione da parte della Corte territoriale dell’art. 6 par. 1 della convenzione E.D.U., così come essa vive nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, e, con il quesito di diritte, chiede se in caso di contrasto tra la L. n. 89 del 2001 e la Convenzione il giudice nazionale sia tenuto a disapplicare la prima ed applicare la seconda.

Alla questione posta nel quesito, ripetuta negli ulteriori motivi di ricorso (2^, 3^, 5^, 6^, 7^, 8^) con riguardo agli specifici capi della decisione nei quali, a dire della ricorrente, il giudice del merito si sarebbe discostato dai parametri fissati dalla Corte EDU, va data risposta negativa.

Va infatti ribadito il principio, enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione della L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla convenzione EDU, per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea, entro i limiti in cui ciò sia reso possibile dal testo della legge stessa.

In termini analoghi si è espressa, del resto, anche la Corte Costituzionale che, contrariamente all’assunto della ricorrente, ha affermato che "al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in maniera conforme alla disposizione internazionale convenzionale entro i limiti in cui ciò sia reso possibile dal testo della norma. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione internazionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost." (Corte Costituzionale, sentenze nn. 348 e 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto fra norma interna e Convenzione EDU nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, il giudice italiano possa disapplicare la prima ed applicare la seconda.

2) Ciò premesso, va dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso, con il quale la B. lamenta esclusivamente sotto il profilo della violazione del citato art. 6 par. 1 della Convenzione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, che la Corte territoriale abbia determinato la durata ragionevole del processo in misura superiore a quella stabilita dalla Corte EDU in casi analoghi Infatti, non sussistendo nel quadro delle fonti meccanismi normativi che prevedano la diretta vincolatività per il giudice italiano delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, la valutazione dei presupposti (complessità del caso, comportamento delle parti, condotta dell’autorità) in base ai quali deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della durata del processo, si risolve in un apprezzamento di fatto. E, se è vero che nel compiere tale valutazione il giudice può discostarsi dai parametri tendenziali fissati in materia dalla CEDU solo in misura ragionevole, e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, non v’è dubbio, per altro verso, che l’eventuale scostamento da detti parametri possa essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione (Cass. n. 24399/09).

3) Il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, con i quali la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia liquidato il danno per ogni anno effettivo di giudizio, sono invece infondati per le ragioni appena enunciate sub. 1), posto che, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), rileva unicamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole.

Va aggiunto (ancorchè la questione non sia stata sollevata dalla B.) che l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’articolo citato è stata già vagliata da questa Corte proprio in riferimento alla coerenza del rimedio stabilito dalla L. n. 89 del 2001 con il principio di effettività (avuto riguardo alle norme convenzionali invocate dal ricorrente) e ritenuta manifestamente infondata, in quanto la diversità del moltiplicatore del calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge nazionale ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione medesima (Cass. nn. 980/08).

4) Infondati sono anche l’ottavo ed il nono motivo, con i quali la B. si duole del mancato riconoscimento del bonus di Euro 2000, asseritamene dovutole in ragione della natura del processo presupposto, avente ad oggetto una controversia previdenziale.

Il fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia riconosciuto – in caso di irragionevole durata del processo – il diritto a un’ulteriore somma forfetaria nei giudizi di particolare importanza, tra i quali ha annoverato le cause previdenziali, non comporta, infatti, che tutte le cause previdenziali debbano essere considerate di particolare importanza. Spetta, dunque, al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno che giustifichi l’attribuzione del "bonus" e tale valutazione discrezionale non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, in caso di diniego, una motivazione implicita.

(Cass. n. 463/010).

5) Sono invece parzialmente fondati il sesto ed il settimo motivo di ricorso, con i quali la B., denunciando, oltre che violazione di legge, anche vizio di motivazione, lamenta che la Corte territoriale si sia discostata dagli ordinari parametri di liquidazione del danno fissati dalla CEDU. Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che, nella liquidazione del danno da irragionevole durata del giudizio, il giudice nazionale può discostarsi da detti parametri (oscillanti fra i 1.000 ed i 1.500 Euro annui), purchè in misura ragionevole, sempre che dia adeguata motivazione delle circostanze che, nel caso concreto, giustificano il riconoscimento di un minore indennizzo. La Corte di merito, che ha determinato il danno in Euro 800 all’anno esclusivamente in ragione della, non meglio precisata, "natura dei diritti azionati", ma non ha indicato quali elementi di fatto l’hanno indotta a discostarsi dagli ordinari criteri di liquidazione, è pertanto incorsa nel denunciato vizio di omessa motivazione.

Il decreto impugnato va cassato in relazione ai motivi accolti.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti, questa Corte può decidere nel merito.

Tenuto conto che nel caso di specie non emergono particolari elementi in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale subito dalla a. l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un effettivo pregiudizio e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, comporta, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, il riconoscimento della somma di Euro 750,00 per i primi tre anni di ritardo e di Euro 1.000 per gli anni successivi (Cass. n. 21840/09).

Il Ministero della Giustizia va pertanto condannato a pagare alla B. la somma complessiva di Euro 5.250 oltre agli interessi legali dalla data di deposito del ricorso al saldo effettivo.

Poichè la cassazione del provvedimento impone di rideterminare anche le spese del giudizio di merito, restano assorbiti i motivi di ricorso successivi al nono, con i quali la B. ha, per l’appunto, censurato la pronuncia sulle spese.

Tali spese, da distrarsi in favore dell’avv. antistatario Alfonso Luigi Marra, per il giudizio di merito seguono interamente la soccombenza e si liquidano in Euro 500 per onorari, Euro 600 per diritti ed Euro 100 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge; per il presente grado, considerato l’accoglimento solo parziale del ricorso, vanno invece compensate per la metà e poste a carico del Ministero per la rimanente metà, che si liquida in Euro 450 per onorari ed Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a pagare a B.C. la somma di Euro 5.250 oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo effettivo; condanna il Ministero al pagamento integrale delle spese del giudizio di merito, liquidate in Euro 500 per onorari, Euro 600 per diritti ed Euro 100 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge, e della metà delle spese del presente grado (compensate per l’altra metà), che liquida in Euro 450 per onorari ed Euro 50 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, disponendone la distrazione in favore del difensore antistatario, avv. Alfonso Luigi Marra.

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