Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-01-2011) 25-02-2011, n. 7421

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 31 marzo 2010, ha in principalità confermato la sentenza del Tribunale di Modena del 12 gennaio 2006 che aveva condannato G.A., A. P., A.I. e B.M.N. per il delitto di violenza privata aggravata in danno di V.M., riformandola nel senso di ridurre la pena inflitta al solo imputato B..

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati A.I. e B.M.N., a mezzo dei propri difensori lamentando:

a) A.I., la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo dell’erronea qualificazione giuridica dei fatti di causa e del difetto di motivazione in proposito;

b) B.M.N., la mancata assoluzione, non potendo la sua condotta qualificarsi come quella di un correo nè sussistendo l’elemento soggettivo del reato ascritto.
Motivi della decisione

1. I ricorsi meritano accoglimento.

2. La qualificazione giuridica del fatto, ai sensi dell’art. 610 c.p., operata dai Giudici del merito, non è perfettamente conforme ai principi espressi in materia da questa Corte di legittimità.

Ha osservato la Cassazione, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, come la pretesa, arbitrariamente attuata dall’agente, debba corrispondere all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, di guisa che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato (v. da ultimo, Cass. Sez. 5 19 maggio 2010 n. 26176).

E’, inoltre, necessario che la condotta illecita non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell’altrui libertà di determinazione, giacchè, in tal caso, ricorrerebbero gli estremi della diversa ipotesi criminosa di cui all’art. 610 c.p. (v. Cass. 13162/99 e 38820/06).

La Corte d’appello, nella specie, ha sottolineato il superamento macroscopico dei limiti della condotta qualificabile come ragion fattasi, essendo stato posto in essere un comportamento si violento ma "in mancanza di una pretesa giuridicamente tutelabile" (v. pagina 9 dell’impugnata sentenza).

Sul punto, inoltre i ricorrenti, hanno invocato la carenza di elemento soggettivo del reato loro ascritto.

A tal proposito, la giurisprudenza di legittimità individua l’elemento differenziatore tra il reato di violenza privata e quello di esercizio arbitrario, nel profilo meramente psicologico, osservando che ben possono coincidere le materialità delle due figure.

Con la conseguenza che il fine, dimostrato, di perseguire un presunto diritto, determinerebbe la configurazione della ipotesi ex art. 393 c.p..

Giova, peraltro, sottolineare, come già puntualmente segnalato dalla giurisprudenza di questa stessa Corte, che proprio il detto criterio comporta che per la configurazione del meno grave reato occorre l’accertamento della volontà dell’agente di conseguire nè più nè meno che l’oggetto che gli competeva giuridicamente.

Il che sembra essersi verificato nel caso di specie, senza che la Corte territoriale ne abbia colto l’esistenza.

Affermare che: "la frase minacciosa di cui all’imputazione è chiaramente diretta a costringere il V. non a risarcire un danno originato da una truffa, ma a pagare il debito della società fallita" e, successivamente, farne discendere l’affermazione della penale responsabilità per il più grave delitto di cui all’art. 610 c.p. solo perchè si era aperto il fallimento della Iuco s.r.l., della quale il V. era l’Amministratore e che, quindi, la pretesa era giuridicamente non tutelabile appare una forzatura sia con riferimento ai soggetti coinvolti che all’elemento soggettivo della fattispecie.

Trattasi, all’evidenza, di soggetti non particolarmente ferrati in materia di procedure fallimentari, insinuazioni al passivo e natura dei crediti, per cui affermare che gli stessi avessero bene in mente che la loro pretesa fosse non giuridicamente tutelabile appare un’ulteriore forzatura in difetto delle necessarie conferme probatorie.

Gli imputati, odierni ricorrenti, avevano soltanto in mente di ottenere i soldi loro spettanti (v. pagina 9 della sentenza di appello) e verso tale finalità si è diretta la loro azione che, nel caso dell’ A.I. si è concretizzata nell’aver bloccato in un angolo il V., nell’aver riagganciato la cornetta del telefono sollevata dalla segretaria C. e nell’aver profferito ulteriori minacce e nel caso del B.M. nella mera presenza fisica.

Trattasi, in sostanza, di un "recupero crediti" (desumibile dalla circostanza dell’incontro tra gli imputati e la parte lesa nell’ufficio di quest’ultimo, con il possesso dei documenti giustificativi del credito e di un informale estratto conto dei reciproci rapporti di dare-avere) attuato con modalità violente ma pur sempre, in ipotesi, tutelabile avanti il Giudice civile e non, di converso, come affermato dalla Corte territoriale del reato di violenza privata, senza il perseguimento dei fini particolari richiesti per il delitto di ragion fattasi.

Il reato di violenza privata, invero, nell’essere posto alla tutela della libertà morale dei soggetti ha un titolo generico e sussidiario rispetto al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed è applicabile ogni qualvolta, per i dianzi evidenziati difetti dei presupposti o dell’elemento psicologico, non ricorrano gli estremi del delitto di cui all’art. 393 c.p., che mira alla tutela dell’amministrazione della giustizia.

Alla luce di quanto fin qui esposto la Corte ritiene, pertanto, conforme a giustizia riqualificare il fatto ascritto agli odierni ricorrenti come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone.

3. I ricorsi vanno, pertanto, accolti e l’impugnata sentenza annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna che, sulla base della dianzi evidenziata nuova qualificazione del fatto, provvedere per la quantificazione della pena nei confronti degli odierni ricorrenti.
P.Q.M.

La Corte riqualificato il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, annulla l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Bologna limitatamente alla determinazione della pena.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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