Consiglio di Stato 2436/2009 Sulla questione della pregiudiziale amministrativa, se ne deve occupare l’Adunanza Plenaria.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Il fallimento della società r.l. R., appaltatrice da lungo tempo dei lavori di realizzazione e manutenzione di opere ed impianti elettrici per conto dell’E., espone che durante l’esecuzione dei lavori di potenziamento di linea elettrica di cui al contratto di appalto del 21 settembre 1998 si è verificato un incidente mortale a danno di un proprio dipendente, a seguito del quale l’E., alla quale il sinistro era addebitabile, le ha comminato con determinazione della direzione distribuzione Campania in data 30 settembre 1999 la sospensione degli inviti a gare d’appalto nell’intero ambito territoriale di competenza per un periodo di nove mesi a far data dal 1° ottobre 1999.

Con atto di citazione notificato il 6 maggio 2002 la società R. ha convenuto l’E. davanti al Tribunale civile di Napoli per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’esclusione dalle gare d’appalto, essendo nelle more del giudizio fallita proprio a causa di tale esclusione (il giudizio è stato proseguito dalla curatela fallimentare), ma con sentenza n. 6221 del 25 maggio 2004 il Tribunale ha dichiarato la propria carenza di giurisdizione, per appartenere la controversia alla cognizione del giudice amministrativo. Tale sentenza è stata appellata dal fallimento, che ha proposto anche ricorso al Tar Campania rilevando l’illegittimità della determinazione dell’E. e chiedendo il risarcimento dei danni che ne sono derivati.

Con la sentenza impugnata il Tar ha dichiarato irricevibile la domanda di annullamento del provvedimento, in quanto proposta dopo oltre due anni dall’emanazione dell’atto, anche a considerare come termine iniziale di decorrenza la data dell’atto di citazione davanti al Tribunale; ha negato l’errore scusabile perchè la presentazione del ricorso al Tar è avvenuta a distanza di più di un anno dalla sentenza declinatoria della giurisdizione civile, ed ha respinto la richiesta di risarcimento dei danni.

Pur riconoscendo che la pretesa risarcitoria può essere avanzata indipendentemente dal previo annullamento dell’atto illegittimo, il Tar ha infatti ritenuto che la mancata impugnazione di quest’ultimo si risolva in una sostanziale acquiescenza da parte del danneggiato, rilevante ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. al fine di escludere l’obbligo risarcitorio a carico dell’E., la quale, inoltre, era tenuta a eseguire la propria determinazione in quanto un provvedimento non rimosso nelle forme previste dall’ordinamento rimane efficace e vincolante per la stessa amministrazione che lo ha emanato.

Di tale sentenza il fallimento chiede la riforma, sostenendo che, vertendo la controversia in materia appartenete alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non rileva la considerazione del termine decadenziale per proporre il ricorso; che le incertezze giurisprudenziali in tema di riparto della giurisdizione giustificano l’applicazione dell’istituto dell’errore scusabile, negato dal Tar, anche perché la sentenza del giudice civile declinatoria della giurisdizione non è passata in giudicato; che la non necessità, riconosciuta dal Tar, del previo annullamento dell’atto illegittimo al fine del riconoscimento dei danni che ne sono derivati si pone in contrasto con la preclusione derivante dalla esecutività e dalla presunzione di legittimità del provvedimento stesso, elementi ritenuti in sentenza ostativi al riconoscimento della pretesa risarcitoria.

In fatto, rappresenta l’appellante che con sentenza del Tribunale di Salerno n. 223 del 2005 è stata acclarata la colpa dell’E. in ordine al sinistro mortale, con la conseguenza che illegittimamente lo stesso ente ha addebitato alla R. la responsabilità dell’infortunio e che il danno dalla stessa società patito a causa delle determinazioni che ne sono seguite si configura come ingiusto. In presenza, quindi, della colpevolezza dell’amministrazione, dell’ingiustizia del danno e del nesso causale tra detti elementi (comprovato da apposita perizia depositata in atti), l’eventuale acquiescenza addebitabile alla danneggiata può comportare, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. una diminuzione del risarcimento, ma non può escluderlo, come invece ha ritenuto il Tar.

Il fallimento appellante conclude per la riforma della sentenza appellata e per il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni, commisurati al depauperamento del patrimonio conseguente alle perdite della gestione aziendale e alla perdita dell’avviamento in conseguenza della mancata acquisizione dei lavori a causa della sospensione comminata.

Si è costituta l’E., la quale, dopo aver rappresentato in fatto che la sentenza del Tribunale di Salerno citata dalla controparte ha accertato gravi infrazioni alle norme di sicurezza anche da parte dei dipendenti della società R., tali da assumere ruolo di concausa nella dinamica dell’incidente mortale, e contestate in diritto tutte le pretese avversarie, ha chiesto il rigetto dell’appello.

All’odierna pubblica udienza il ricorso è passato in decisione.
Motivi della decisione

Il fallimento della s.r.l. R. chiede la riforma della sentenza con la quale il Tar della Campania, dichiarato irricevibile il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento dell’E. in data 30 settembre 1999 di sospensione temporanea dalla partecipazione alle gare, ha respinto la domanda di risarcimento dei danni asseritamente patiti a causa del provvedimento stesso.

I) La giurisdizione amministrativa sulla domanda risarcitoria, affermata dal Tar, non è stata contestata dall’appellante. Il Collegio ritiene, comunque, sussistente la propria giurisdizione ai sensi dell’art. 7, comma terzo, l. n. 1034/71 e successive modifiche, dal momento che il provvedimento che il ricorrente individua quale fonte del danno è espressione del potere amministrativo riconducibile all’art. 75, co.1, lett. e) e f) dpr n. 554 del 1999, che prevede l’esclusione per i soggetti responsabili di gravi infrazioni alle norme di sicurezza o di grave negligenza, non quale sanzione per il comportamento dell’appaltatore, ma a conseguenza del venir meno dell’elemento fiduciario che deve connotare, sin dal momento genetico, il rapporto contrattuale nei pubblici appalti.

II) Il ricorrente ha impugnato, in primo grado, il provvedimento di sospensione dalle gare prima specificato, ritenendo che i danni economici patiti (e che hanno condotto al fallimento) siano ad esso imputabili.

Il Tar ha dichiarato irricevibile il ricorso per tale parte, in quanto proposto ben oltre il termine di decadenza, anche a volerne considerare la decorrenza a partire dal momento in cui è stata proposta l’azione innanzi al giudice civile, secondo quanto dispone l’art. 30 legge n. 1034 del 1971 come emendato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2007. L’atto di citazione è stato infatti notificato in data 6 maggio 2002, a distanza di oltre due anni dalla comunicazione del provvedimento impugnato, mentre il ricorso al Tar è stato proposto a distanza di circa otto anni da tale comunicazione.

Per tale parte la sentenza merita conferma, dovendo trovare applicazione anche nella materia di cui trattasi il termine decadenziale, rispetto al quale il Tar ha esattamente escluso la rimessione in termini, avendo già concesso la scusabilità dell’errore al fine del computo del decorso del tempo, mediante la conservazione degli effetti della domanda proposta davanti al giudice civile, come sopra si è detto.

III) La sentenza impugnata, dopo aver dichiarato irricevibile la domanda impugnatoria, ha respinto la pretesa risarcitoria ritenendo che, pur dovendosi escludere la dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell’atto illegittimo, l’efficacia e vincolatività anche per la pubblica amministrazione del provvedimento non rimosso (in quanto non impugnato o, come nel caso, non tempestivamente impugnato) escluda l’ingiustizia del danno, e che il contributo causale del destinatario, che non ha reagito tempestivamente in giudizio, produca, in forza dell’art. 1227 cod. civ., l’esenzione dell’obbligazione risarcitoria in capo all’ente che ha confidato sul consolidamento della propria determinazione, ormai divenuta inoppugnabile.

Osserva innanzitutto il Collegio la contraddittorietà nella quale è incorsa la sentenza laddove, dopo aver riconosciuto l’indipendenza della domanda risarcitoria dal previo annullamento del provvedimento amministrativo dal quale, asseritamente, sono derivati i danni lamentati ha, poi, escluso comunque e sempre che in presenza di un atto non impugnato possa darsi l’ingiustizia del danno. E’ evidente, infatti, che siffatta valorizzazione dell’efficacia del provvedimento conduce a riconoscere l’esistenza della cosiddetta pregiudiziale amministrativa, istituto che, come è noto, esclude la proponibilità o fondatezza della pretesa risarcitoria tutte le volte in cui il provvedimento causativo del danno non sia stato rimosso nelle forme previste dall’ordinamento.

IV) Nuovamente, quindi, il Collegio è chiamato a pronunciarsi sulla risarcibilità degli interessi legittimi e delle relative condizioni, problema che, a partire dalla sentenza della cassazione a Sezioni unite n. 500 del 1999, è stato oggetto di elaborazione da parte della giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale.

Una volta svincolata la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo, e riconosciuto (dapprima dall’art. 35 commi 3 e 4 d.lgs. n. 80 del 1998, per le materie riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e, poi, dall’art. 7 legge n. 1034 del 1971 come novellato dalla legge n. 205 del 2000 per tutto l’ambito della sua giurisdizione) che il diritto al risarcimento possa derivare anche dalla lesione di un interesse legittimo e che, in tal caso, la tutela risarcitoria vada richiesta al giudice amministrativo, in quanto "strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio" (così Corte Cost., n. 204 del 2004), la questione si è incentrata sulla necessità o meno del previo annullamento dell’atto illegittimo, al fine di conseguire la tutela risarcitoria, vale a dire sulla cosiddetta pregiudizialità dell’annullamento rispetto al risarcimento.

Senza ripercorrere i termini dell’annosa elaborazione, deve essere ricordato che a favore della tesi dell’autonomia delle due azioni si è pronunciata la Cassazione a Sezioni unite che, con ordinanze nn. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006 rese in sede di regolamento di giurisdizione, ha affermato che la domanda di risarcimento può essere proposta al giudice amministrativo anche in difetto del previo annullamento dell’atto lesivo, e che ove il giudice respingesse o dichiarasse inammissibile la domanda a causa del mancato previo annullamento dell’atto incorrerebbe in un diniego della propria giurisdizione, sindacabile da parte della Corte di cassazione. Siffatta conclusione è stata ribadita, da ultimo, con la sentenza delle Sezioni unite n. 30254 del 23 dicembre 2008, resa su ricorso proposto avverso la sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 12 del 2007, e che ha pronunciato il seguente principio di diritto: "Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento".

Con la citata sentenza dell’Adunanza plenaria 22 ottobre 2007, n. 12 questo Consiglio di Stato ha invece confermato i principi già espressi dall’Adunanza plenaria n. 4 del 2003, e ribaditi da Ad. Plen. nn. 9 e 10 del 2007, nel senso del permanere della pregiudizialità, sulla base dei seguenti punti, attinenti:

– il primo, alla stessa struttura del processo amministrativo e alla tutela in esso erogabile, dove, in armonia con gli artt. 103 e 113, co. 3, Cost., sia nella giurisdizione di legittimità, che in quella esclusiva, viene in considerazione in via primaria la tutela demolitoria e solo in via consequenziale ed eventuale quella risarcitoria, come inequivocabilmente stabilito dall’art. 35, co.1, 4 e 5, d.lgs. n. 80 del 1998;

– il secondo, alla cosiddetta presunzione di legittimità dell’atto amministrativo e della connessa efficacia ed esecutorietà, che si consolida in caso di omessa impugnazione o di annullamento d’ufficio (v. legge 11 febbraio 2005, n. 15);

– il terzo, all’articolazione della tutela sopra ricordata che, in entrambi i casi, concerne la stessa illegittimità del provvedimento, con la conseguenza che il danno ingiusto non può essere configurato a fronte di una illegittimità del provvedimento che, per l’assolutezza della cennata presunzione è, de jure, irreclamabile;

– il quarto, all’assenza della condizione essenziale dell’ingiustizia del danno, impedita dalla persistenza di un provvedimento inoppugnabile (o inutilmente impugnato);

– il quinto, alla concreta equivalenza del giudicato che rilevando l’inesistenza dell’appena ricordata condizione, dichiari l’improponibilità della domanda con il giudicato che, pronunciandosi nel merito, dichiari infondata -e questa volta con pronuncia inequivocabilmente sottratta a verifica ex art. 362 cod.proc.civ.- la domanda per difetto della denunziata illegittimità;

– il sesto, ai limiti del potere regolatore della Corte di cassazione (Sez. un., 19 gennaio 2007, n. 1139; 4 gennaio 2007, n. 13) che, secondo il correlato avvertimento della Corte Costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77), "con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione". Ad analogo principio, prosegue la Corte, "si ispira l’art. 386 cod.proc.civ. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’art. 362, co.1, cod.proc.civ., disponendo che la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda";

– il settimo, alla correlata verifica degli eventuali limiti dell’indirizzo della Corte di cassazione secondo cui l’inoppugnabilità dell’atto amministrativo, siccome relativa agli interessi legittimi, non impedirebbe in nessun caso al giudice ordinario di disapplicarlo.

V) Alcune pronunce del giudice amministrativo intervenute dopo la sentenza della Adunanza plenaria appena ricordata se ne sono discostate: il Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia ha sposato la tesi delle Sezioni unite, già precedentemente condivisa (sent. 16 settembre 2008, n. 762); alcuni Tar, come il Tar Campania con la sentenza oggetto del presente appello, hanno risolto la questione sul piano della colpa del danneggiato che non ha tempestivamente proposto la domanda di annullamento e, quindi, hanno respinto in tutto o in parte la domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 1227, co.2., cod.civ.

Questa Sezione ha invece aderito alla tesi della plenaria, apportando, con recenti pronunce, ulteriori puntualizzazioni in relazione al contrario orientamento della Corte di cassazione.

E’ stato così riaffermato (sent. 3 febbraio 2009, n. 578, pubblicata dopo, ma deliberata prima della pubblicazione di Sez. unite n. 30254 del 23 dicembre 2008) che l’irricevibilità dell’azione di annullamento conduce alla reiezione della domanda di risarcimento del danno, avendo la giurisprudenza di questo Consiglio già rilevato che l’applicazione del principio della pregiudiziale non comporta una preclusione di ordine processuale all’esame nel merito della domanda risarcitoria, ma determina un esito negativo nel merito dell’azione di risarcimento (Cons. Stato, VI, 19 giugno 2008 n. 3059).

Ne consegue che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato o tardivamente impugnato è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno impedisce che il danno stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione in esecuzione dell’atto inoppugnato.

"Il principio della pregiudiziale non si fonda, quindi, sull’impossibilità per il giudice amministrativo di esercitare il potere di disapplicazione, ma sull’impossibilità per qualunque giudice di accertare in via incidentale e senza efficacia di giudicato l’illegittimità dell’atto, quale elemento costitutivo della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ.; in sostanza, ove l’accertamento in via principale sia precluso nel giudizio risarcitorio in quanto l’interessato non sperimenta, o non può sperimentare (a seguito di giudicato, decadenza, ecc.), i rimedi specifici previsti dalla legge per contestare la conformità a legge della situazione medesima, la domanda risarcitoria deve essere respinta nel merito perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito (cfr., Cass. civ., II, 27 marzo 2003 n. 4538)."

Quali ulteriori elementi a favore della pregiudizialità, la sentenza in esame elenca la correlazione con il principio della certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, al cui presidio è posto il breve termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi, anche atteso che del complessivo assetto degli interessi regolato da un atto non impugnato fa parte anche la componente economica, su cui influisce il risarcimento del danno; l’obbligo di conformazione al giudicato che incombe all’amministrazione e che, in presenza di una decisione del giudice di accertamento dell’illegittimità di un provvedimento ai soli fini dell’esame di una domanda risarcitoria, dovrebbe implicare l’annullamento dell’atto ritenuto illegittimo, con conseguente elusione del termine decadenziale; le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, alle quali il termine breve di impugnazione è funzionale, e che non pare compatibile con il comportamento del privato, rimasto inerte nei confronti di un provvedimento amministrativo a lui sfavorevole, e che agisca in via giurisdizionale nel più ampio termine prescrizionale di cinque anni, chiedendo il risarcimento del danno.

Del resto, l’ordinamento conosce altre situazioni in cui, confrontandosi l’interesse (o il diritto) del singolo con le esigenze poste a presidio di interessi più ampi, la tutela del primo sconta la rimozione della determinazione che ha costituito la fonte del danno: così, non è consentito domandare il risarcimento del danno per essere stati assoggettati illegittimamente a sanzione amministrativa mediante ordinanza-ingiunzione non impugnata ai sensi della l. 689/81; il lavoratore licenziato non può scegliere di optare per il risarcimento del danno, senza impugnare il recesso secondo le prescrizioni della l. 604/66; non può essere chiesto il risarcimento del danno in assenza di impugnativa di delibere condominiali o societarie, che hanno costituito la fonte del danno (per le seconde v. l’art. 2377, comma 6, cod.civ.); non può essere chiesto il ristoro di diritti patrimoniali lesi da un accertamento tributario illegittimo non impugnato tempestivamente.

In applicazione di tale ultimo principio, le stesse Sezioni unite, con sentenza n. 2870 del 6 febbraio 2009 (successiva, quindi, alla pronuncia che ha enunciato il principio di diritto della non necessità della pregiudiziale), hanno negato che in difetto di tempestiva impugnazione di un atto di accertamento di una imposta si possa dare "ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo".

Tra i casi nei quali non è ammessa più controversia dopo lo spirare del termine di decadenza per l’instaurazione del giudizio, possono inoltre essere evidenziati quelli di cui agli artt. 1107 e 1109, in tema di impugnazione di deliberazioni dei comproprietari di ogni comunione di beni; all’art. 1137, per le deliberazioni condominiali; all’art. 135 d.lgs. 30/2005 (prima, artt. 35 e 71 r.d. 1127/1939) per l’impugnazione dei "provvedimenti che respingono totalmente o parzialmente una domanda" in tema di brevetti o marchi; all’art. 2379 ter, comma 3, cod. civ. che, in tema di impugnazioni di deliberazioni di assemblee societarie, fa salvo il risarcimento dei danni di soci e di terzi, quando non vi sia stata proposizione nel termine di novanta giorni o di centottanta giorni, unicamente per un limitato numero di casi (aumento o riduzione di capitale, emissione di obbligazioni). Sicché, in via sistematica, vale il principio della preclusione di qualsiasi questione connessa, anche di quella risarcitoria.

Tutti i casi elencati sono espressivi di un principio generale: quello che, quando è stabilito un termine di decadenza per instaurare in quelle situazioni una contestazione in sede giurisdizionale, lo spirare del termine non consente di far valere né quel diritto, né le "conseguenze" che seguirebbero se fosse fondata la pretesa.

Costituiscono applicazione di questo principio:

-Cass. SU, n. 2870 del 6 febbraio 2009 (già citata, sugli atti impositivi);

-Cass. SU, n. 4806 del 7 marzo 2005, sulla deliberazione condominiale ormai "valida ed efficace", dopo trascorso il termine di trenta giorni per l’impugnazione, impeditiva, quindi, di qualsiasi discussione sui suoi effetti (conf. 27292 del 2005 e 4014 del 2007);

-Cass. (sez. lavoro) n. 11035 del 14 maggio 2007, n. 5545 del 9 marzo 2007 e n. 18216 del 21 agosto 2006, che de plano confermano che la mancata impugnazione del licenziamento nel termine di legge comporta la preclusione del diritto di far accertare giudizialmente l’illegittimità del recesso e la tutela risarcitoria comune, non solo quella prevista da leggi speciali (cioè ex art. 8 l. 604 del 1966 e art. 18 l. 300 del 1970).

In nessuno dei casi elencati si è mai dubitato che l’applicazione del principio in esame comporti restrizione della tutela giurisdizionale: un tale rilievo appare insostenibile tanto più nel caso della pregiudiziale amministrativa, dal momento che la stessa Corte Costituzionale ha chiarito (sentenze n. 204/2004 e n. 191/2006) come il risarcimento del danno sia uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Nelle citate sentenze del giudice costituzionale, non vi è traccia di alcun sospetto di illegittimità costituzionale di siffatto disegno ed, anzi, sembra agevole inferirne il contrario (v. Cons. Stato, Ad. plen., n. 12/2007). Peraltro, in quei casi richiamati in precedenza in cui la contestazione dell’esercizio di poteri privatistici è assoggettata a termini decadenziali, il giudice ordinario mai si è posto il problema della costituzionalità della preclusione anche dell’azione risarcitoria in ipotesi di assenza di contestazioni nei termini di decadenza; nè un tale problema è venuto in evidenza con riguardo a posizioni di interesse legittimo (a volte di maggior consistenza di quelle di pieno diritto: si pensi alla partecipazione a gare di notevole importo, o a interessi collegati al commercio) che in base a norme tipiche del processo amministrativo non possano trovare ingresso nel processo a causa di preclusioni di rito.

Con ordinanza n. 546 del 2 febbraio 2009, questa Sezione ha rimesso all’Adunanza plenaria la questione, parzialmente rilevante anche nel caso di specie (nel quale comunque viene in rilevo il problema dell’autonomia tra diverse azioni, l’una incidente in una situazione di diritto soggettivo perfetto e l’altra relativa alla procedimentalizzazione della tutela), della proponibilità di una azione risarcitoria in assenza dell’attivazione del procedimento amministrativo per la concessione dell’equo indennizzo; ciò sia sotto il profilo dell’autonomia delle due azioni, sia sotto quello della verifica se la via amministrativa dell’equo indennizzo costituisca una condizione necessaria per proporre la domanda risarcitoria: il problema, cioè, del rapporto fra le due azioni.

VI) Nella descritta situazione di conflitto tra le due tesi, il Collegio ritiene di dover, innanzitutto, rilevare ancora una volta che la posizione assunta dalle Sezioni unite, come ribadita dalla sentenza da ultimo intervenuta, conformi il diritto vivente in senso vincolante per il giudice amministrativo mediante una operazione ermeneutica che non appare rispettosa dell’art. 111 Costituzione e delle esigenze del sistema ordinamentale che adesso si ricollega.

La sentenza n. 30254/2008 accoglie, infatti, -muovendo da posizioni non del tutto coincidenti con quelle assunte dall’ordinanza 9 ottobre 2008 n. 24883- una nozione lata di "motivi inerenti alla giurisdizione", comprendendovi anche le questioni inerenti le forme di tutela e, per di più, i presupposti per il loro esercizio, e quindi i poteri di un dato giudice e il tipo di azioni proponibili e considerandoli sindacabili in Cassazione, laddove una piana lettura e la costante interpretazione dell’art. 111 Cost. (oltre che delle norme processuali derivate) rendono evidente che solo il confine tra diversi ordini giurisdizionali possa essere considerato nella suddetta definizione.

Nel merito, il Collegio non può che ribadire ancora una volta la pregiudizialità dell’azione demolitoria rispetto alla domanda risarcitoria, tutte le volte in cui il provvedimento fonte del danno non sia stato altrimenti rimosso in sede non giurisdizionale (ovvero allorchè l’annullamento, tempestivamente richiesto, non possa essere conseguito per ragioni sopravvenute, non imputabili al ricorrente).

Alle ragioni già compiutamente esposte dalle numerose pronunce anche dell’Adunanza plenaria, sopra ricordate, può aggiungersi la considerazione che, lasciandosi al privato la scelta tra azione di annullamento e azione per il risarcimento del danno, l’illegittimità del provvedimento amministrativo, che ha valenza conformativa dell’ordinamento, verrebbe accettata e per così dire consolidata (oltre che monetizzata), con irreparabile vulnus del principio di legalità espresso dall’art. 97 della Costituzione e della ragione stessa di tutela dell’interesse legittimo, che riposa sul coincidente perseguimento di quello pubblico mediante l’eliminazione delle patologie nei singoli casi concreti.

Tale conseguenza appare tanto più perniciosa data l’attuale evoluzione legislativa (si veda l’art. 20.8 e 8 bis d.l. 29 novembre 2008, n. 185, nel testo modificato con la legge di conversione, n. 2 del 28 gennaio 2009), in cui l’esigenza di accelerazione delle procedure amministrative appare premiare -non senza suscitare ampie e gravi riserveil risarcimento a scapito della rimozione dell’illegittimità, in un sistema in cui l’osservanza del generale termine di decadenza per proporre l’azione demolitoria non può certamente tradursi in compressione del diritto di difesa (altrimenti dovendosi così intendere per tutto il sistema delle preclusioni processuali, non solo nel processo amministrativo, ma anche nel processo civile e penale).

Peraltro, proprio il citato art. 20, commi 8 e 8-bis, d.l. n. 185/2008, fornisce un ulteriore spunto esegetico a sostegno della tesi della pregiudizialità dell’annullamento rispetto al risarcimento del danno. Infatti, in tale giudizio immediato, in cui non può in nessun caso disporsi la caducazione del contratto e si può accordare solo il risarcimento del danno per equivalente, nonostante l’esito del giudizio non sia l’annullamento del provvedimento, ma la condanna al risarcimento del danno, il legislatore impone comunque la previa tempestiva impugnazione del provvedimento. Si legge infatti nell’articolo in esame che "in caso di annullamento degli atti della procedura, il giudice può esclusivamente disporre il risarcimento degli eventuali danni, ove comprovati, solo per equivalente". E’ significativo non solo che il risarcimento del danno venga ancorato al previo annullamento dell’atto e dunque alla sua previa tempestiva impugnazione, ma anche che l’inciso "in caso di annullamento degli atti della procedura" sia stato inserito dalla legge di conversione del d.l., dopo che era nota la pronuncia delle Sezioni unite n. 30254/2008, segno in equivoco che il legislatore ha inteso ribadire la necessaria pregiudizialità negata dalle Sezioni unite.

La disposizione in commento, poi, ha una portata sistematica che va al di là del singolo giudizio immediato, per evidenti esigenze di parità di trattamento e a fronte del dato normativo complessivo, in cui il legislatore ha introdotto l’azione risarcitoria dopo quella impugnatoria, la ha ancorata a quella impugnatoria, e non ha mai espressamente affermato l’autonomia dell’azione risarcitoria.

Ulteriore dato esegetico si trae dalla direttiva 66/2007/CE, che, nell’uniformare la tutela processuale in materia di pubblici appalti nei singoli Stati membri, tiene conto dei differenti sistemi processuali, e segnatamente di quello italiano, riconoscendo necessari, per esigenze di certezza dell’agire amministrativo, brevi termini di impugnazione, e ammettendo sistemi in cui il risarcimento possa essere accordato solo previo annullamento del provvedimento illegittimo.

In particolare:

secondo il 25° considerando: "la necessità di garantire nel tempo la certezza giuridica delle decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori impone di fissare un termine minimo ragionevole di prescrizione o decadenza dei ricorsi allo scopo di far stabilire che il contratto è privo di effetti";

secondo l’art. 2, par. 6, direttiva 89/665 come novellato dalla direttiva 66/2007, "Gli Stati membri possono prevedere che, se un risarcimento danni viene domandato a causa di una decisione presa illegittimamente, per prima cosa l’organo che ha la competenza necessaria a tal fine annulli la decisione contestata";

secondo l’art. 2-quater, direttiva 89/665, come novellato dalla direttiva 66/2007, il diritto comunitario considera congrui e satisfattivi dell’effettività della tutela giurisdizionale termini di ricorso di almeno 10/15 giorni, come si vede ampiamente al di sotto del termine italiano di sessanta giorni.

Tali dati esegetici confermano che un sistema processuale ancorato alla previa impugnazione del provvedimento amministrativo, al fine di conseguire il risarcimento del danno, risponde al principio di effettività della tutela giurisdizionale, e rientra nella scelta discrezionale del legislatore. Non è dunque condivisibile l’assunto secondo cui il principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale postulerebbe ancora che sia rimessa ai singoli la scelta tra azione impugnatoria e azione risarcitoria autonoma, prescindendo dagli oneri conseguenti, ex art. 113 co. 3 Cost., alla mediazione della legge ordinaria.

Del resto, anche dopo la pronuncia delle Sezioni unite n. 30254/2008, la stessa Corte di cassazione ha sposato la tesi della pregiudizialità, riaffermando ad esempio, in tema di procedimento tributario, che, ove non sia stato tempestivamente impugnato l’atto impositivo, "non è sicuramente esperibile una autonoma tutela giurisdizionale….perchè, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo" (Sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2870, già citata). Il processo tributario e quello amministrativo sono tuttora conformati come processi prevalentemente impugnatori di atti amministrativi e il risarcimento postula coerentemente la previa tempestiva impugnazione degli atti. Appare, quindi, incongruo addivenire in via esegetica ad una difforme soluzione a fronte di una univoca scelta del legislatore che in entrambi i casi mostra di privilegiare interessi pubblici rispetto ai quali la mera subordinazione dell’ azione risarcitoria a quella di annullamento né ha l’effetto di negare sostanzialmente la prima tutela né viola interessi che, per il loro atteggiarsi come meramente procedurali, possano considerarsi, in ogni caso, prevalenti.

A medesime conclusioni è giunta la giurisprudenza comunitaria, che, in relazione al contenzioso risarcitorio per danni asseritamente derivanti da provvedimenti amministrativi comunitari, ha più volte ribadito la tesi che non si può, con una domanda di risarcimento dei danni, eludere l’irricevibilità di una domanda diretta contro l’illegittimità dell’atto causativo, sicché l’irricevibilità di una domanda di annullamento comporta quella della domanda di risarcimento ad essa collegata (Trib. di primo grado CE, sez. II, 12 settembre 2007 C-250/04; C. giust. CE, 4 febbraio 1989 C-346/87). Del resto, anche l’art. 13 legge n. 142 del 1992, dettato prima del riconoscimento generalizzato della risarcibilità degli interessi legittimi, per i pubblici appalti comunitari consentiva la tutela risarcitoria solo dopo l’annullamento dell’atto illegittimo.

Elemento centrale della impostazione normativa sulla cognizione del giudice amministrativo in tema di risarcimento del danno è che questo si configura, nel testo della legge che lo prevede, come un diritto patrimoniale consequenziale, vale a dire dipendente da un assunto principale che deve essere dimostrato. Quindi non può darsi che una conseguenza possa conoscersi dal giudice amministrativo, quando non sia stata chiesta ed ottenuta in via principale la dichiarazione di illegittimità dalla quale essa deve derivare.

La tesi della diretta azionabilità del risarcimento dei danni in tema di interessi legittimi non trova supporto perciò neanche nella formula logica della legge.

Neppure può essere trascurato che, ove dovesse darsi ingresso principale al risarcimento del danno per lesione dell’interesse legittimo, non potrebbe negarsi in via di principio la reintegrazione in forma specifica, esplicitamente prevista dalla legge e che condurrebbe a forme di ristoro del tutto identiche a quelle demolitorie dell’annullamento, pur non ottenuto attraverso le forme prescritte dall’ordinamento. Tale conclusione appare insanabilmente in contrasto (non solo con tali norme, ma anche) con il principio della intangibilità, ad opera del giudice, e dopo lo spirare del termine per impugnare, dell’atto che si assume illegittimo.

Ancora, deve essere osservato come la diretta risarcibilità della posizione individuale escluderebbe la presenza in giudizio di soggetti portatori di posizioni contrapposte, la cui presenza è invece indispensabile alla procedibilità dell’azione impugnatoria: vale a questo proposito la notazione che, nel processo amministrativo, come in quelli delineati dalle norme sopra riassunte, nei quali la tutela deve tener conto di una più ampia area di risonanza, l’interesse al risarcimento del danno, comunque in nessun modo negato dalla pregiudizialità, non può essere ritenuto prevalente rispetto all’assetto degli altri interessi opposti, ormai consolidati, ai quali non sia stata data la possibilità di difesa in giudizio.

È appena il caso di considerare, infine, come il principio di pregiudizialità, che è sembrato e sembra sia stato espressamente confermato nell’esercizio di un potere legislativo solennemente riconosciuto dall’art. 113 comma 3 Cost., ben si coordina con i principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e del correlato dovere di "responsabile collaborazione" delle parti, sui quali la stessa Corte di Cassazione si è di recente soffermata con singolare fermezza rilevandone la evidente derivazione costituzionale (Sez. Un. 9 ottobre 2008, n. 24883, ord.).

VII) L’eventuale pronuncia che seguisse la tesi della pregiudizialità, che il Collegio, per le ragioni più volte esposte, ritiene l’unica percorribile, incorrerebbe tuttavia nel contrario giudizio della Corte di cassazione, che ha già avvertito che una pronuncia di inammissibilità dell’azione risarcitoria per mancata previa impugnazione dell’atto amministrativo verrà considerata un diniego di giurisdizione. In realtà, quella in discorso è questione che -pur dando atto delle diffuse motivazioni della citata sentenza Sez. un. n. 30254/08- in nessun modo configura diniego di giurisdizione e questa, anzi, presuppone. Essa riguarda le condizioni e la ritualità dell’azione ovvero la fondatezza della domanda (a seconda che il previo annullamento dell’atto illegittimo venga compreso tra le condizioni di ammissibilità della domanda risarcitoria ovvero tra gli elementi integrativi del diritto), ed è quindi sottratta all’esame della Corte ai sensi dell’art. 111 della Costituzione e dell’art. 386 cod.proc.civ. (v. Corte Cost. 12 marzo 2007 n. 77).

Sembra quindi che l’alternativa che rimane al giudice amministrativo sia quella di accettare una soluzione che non condivide (e che ritiene sospetta di incostituzionalità), ovvero di pronunciare una sentenza "suicida"; al fine di sfuggire a tale alternativa, che non è accettabile, il Collegio ritiene necessario investire della questione l’Adunanza plenaria perchè si pronunci nuovamente sul problema della pregiudizialità amministrativa, previo esame della compatibilità della soluzione data dalla Corte di cassazione, e, quindi, nella lettura da questa datane, dell’art. 7 legge n. 1034 del 1971 come novellato dalla legge n. 205 del 2000, e con il principio di ragionevolezza anche sistematica, e con i principi costituzionali sopra considerati, e con le seguenti norme costituzionali, e di trarre le necessarie conseguenze, ove ne sospetti l’incompatibilità:

– art. 81 ult. co., poichè un’azione risarcitoria svincolata dal termine di decadenza dell’azione impugnatoria determina, insieme alla riapertura di un consistente contenzioso da tempo definito, un aggravio ed una imprevedibilità di costi, impedendo una corretta programmazione della spesa pubblica;

– art. 97, che pone quale principio guida la legalità dell’amministrazione e nell’amministrazione, alla quale è servente il sistema di tutela degli interessi legittimi, e che non pare sopportare vulnus secondo scelte rimesse all’interessato, comunque posto in grado di accedere alla piena ed effettiva tutela della propria situazione giuridica;

– art. 113, co.3, che connota il giudice amministrativo quale giudice generale della legittimità del provvedimento amministrativo con potere di annullamento dello stesso;

– art. 103 e 113, dai quali si evince che la tutela degli interessi legittimi del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione è in via primaria una tutela impugnatoria, che passa per l’annullamento dell’atto amministrativo, secondo gli insegnamenti della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, ribaditi con la sentenza n. 351 del 24 ottobre 2008 la quale, in piena coerenza con la Direttiva CE n. 66 del 2007, afferma che "sul piano degli strumenti di tutela, forme di riparazione economica, quali, ad esempio, il risarcimento del danno…non possono rappresentare, nel settore pubblico, strumenti efficaci di tutela degli interessi collettivi lesi da atti illegittimi".

A verifica di costituzionalità dovrà essere sottoposto l’art. 7 citato, anche nel caso si voglia definire, accedendo -epperò in violazione dei limiti del sindacato posto dall’art. 111 Cost. (v. Corte Cost. sent. n. 77/2007 cit. e Sez. un. 4 gennaio 2007 n. 13)- alla ricostruzione delle Sezioni unite, la questione della pregiudizialità amministrativa come questione di giurisdizione, quindi vincolante per il giudice amministrativo.

VIII) Alla luce delle suesposte considerazioni, il Collegio ritiene di rimettere la decisione della controversia all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 45 comma 2 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, come sostituito dall’art. 5 legge 21 dicembre 1950, n. 1018.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato, sezione VI, confermata la sentenza impugnata nella parte in cui dichiara irricevibile l’azione impugnatoria, rimette la decisione della controversia risarcitoria all’Adunanza plenaria.

Spese al definitivo.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2009 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Giovanni Ruoppolo Presidente

Paolo Buonvino Consigliere

Roberto Garofoli Consigliere

Roberto Giovagnoli Consigliere

Roberta Vigotti Consigliere est.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *