Cass. pen. Sez. Unite, Sent., (ud. 16-12-2010) 25-02-2011, n. 7537 Contabilità dello Stato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Messina, con sentenza del 19 ottobre 2009, ha confermato la sentenza 19.12.2006 del Tribunale monocratico di Patti, che aveva affermato la responsabilità penale di P. G.E. in ordine ai reati di cui all’art. 483 c.p., art. 61 c.p., comma 1, n. 2, in relazione al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 76 e 46, e all’art. 640 c.p., comma 2, in danno della A.U.S.L. n. (OMISSIS) di Messina; per avere autocertificato, con dichiarazione falsa resa all’impiegato addetto all’ufficio ticket dell’ospedale di Patti, di percepire redditi non superiori a quelli previsti dalla legge per l’attribuzione del diritto alla fruizione delle prestazioni mediche in regime di esenzione contributiva, così procurandosi l’ingiusto profitto costituito dal risparmio sulla quota di partecipazione alla spesa con correlato danno per l’ente pubblico – in (OMISSIS); e, riconosciute circostanze generiche equivalenti all’aggravante contestata per il delitto di truffa, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 c.p., comma 2, lo aveva condannato alla pena (condizionalmente sospesa) di mesi quattro e giorni quindici di reclusione, nonchè al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, il quale ne ha chiesto l’annullamento articolando due doglianze.

In particolare ha prospettato:

2.1. che la falsa attestazione in addebito, non essendo contenuta in un atto pubblico, non sarebbe idonea ad integrare il contestato reato di cui all’art. 483 c.p..

La falsità configurabile sarebbe, invece, quella di falso ideologico in scrittura privata e ciò perchè la dichiarazione sostitutiva di certificazioni è un documento con lo stesso valore giuridico di un atto di notorietà soltanto se ad essa è allegato un valido documento di identità. Opinando diversamente si resterebbe esposti al serio pericolo che il dichiarante possa indicare false generalità, spacciandosi per altri;

2.2. che la falsità contestata non sarebbe altresì idonea ad integrare l’elemento degli "artifici e raggiri", proprio del reato di truffa, perchè il mero mendacio acquista tale idoneità soltanto a condizione che inerisca ad un attestato o documento avente carattere fidefacente. Il carattere fidefacente mancherebbe in relazione ad un’autocertificazione alla quale non è allegato alcun documento di riconoscimento e sarebbe stato necessario, pertanto, un quid pluris per integrare l’elemento degli artifici e raggiri.

3. Il ricorso è stato assegnato alla Seconda sezione penale, la quale, all’udienza del 21 ottobre 2010 (con ordinanza depositata il successivo 29 ottobre), ne ha rimesso la trattazione alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale riferito alla assorbente questione della qualificazione giuridica della condotta consistente nel rendere una falsa dichiarazione circa le condizioni di reddito indicate in quelle di legge, allo scopo di fruire dell’esenzione dal pagamento del c.d. ticket sanitario.

La Sezione rimettente ha evidenziato, in proposito, che alcune decisioni di questa Corte (Sez. 2: n. 24817 del 25/02/2009, dep. 16/06/2009, Molonia; n. 32849 del 26/06/2007, dep. 13/08/2007, Mannarà) qualificano la condotta sopra descritta in termini di truffa aggravata in danno di ente pubblico e non già come reato di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato o di altri enti pubblici, muovendo da quanto statuito dalle Sezioni Unite – con la sentenza n. 16568 del 19/04/2007, dep. 27/04/2007, Carchivi – circa i rapporti tra le fattispecie criminose di cui agli artt. 316 ter e 640 bis c.p..

Le Sezioni Unite hanno ricondotto l’ambito di operatività dell’art. 316 ter c.p., a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale, e dai principi affermati si evincerebbe che il reato di cui all’art. 316 ter ricorre quando l’erogazione del contributo non presupponga l’effettivo accertamento, da parte dell’erogatore, dei presupposti necessari per la concessione del contributo richiesto.

L’oggetto dell’attività dell’autore è costituito dal conseguimento, secondo quanto recita la norma, di "contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate".

Esula, invece, dalla previsione normativa dell’art. 316 ter c.p., il caso in cui non ricorra la percezione di una pubblica sovvenzione ma la esenzione dalla corresponsione di una somma. Il concetto di contributo o di finanziamento o di mutuo agevolato non è assimilabile a quello di esenzione da un pagamento, ma va ricompreso nella generica accezione di sovvenzione, ossia di aiuto economico concesso sotto forma di elargizione o prestito agevolato, che si concretizza nell’attribuzione pecuniaria giustificata dall’attuazione di un interesse pubblico e che si correla, nella commissione del reato di cui all’art. 316 ter, al danno patrimoniale dell’ente, identificabile esclusivamente con il danno emergente sorto al momento dell’elargizione del denaro.

La Seconda sezione ha quindi dato atto di un diverso ed opposto orientamento, secondo il quale la condotta di cui si discute non integra il reato di truffa, bensì quello di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato o di altri enti pubblici, restando in esso assorbito il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico, e ciò anche nel caso in cui, dato il livello quantitativo dell’indebita percezione, il fatto integri una mera violazione amministrativa.

Anche questo secondo orientamento fa richiamo alla già citata sentenza Carchivi delle Sezioni Unite, ma valorizza quel passo della decisione in cui si afferma che nella nozione di "erogazioni pubbliche" rientrano pure quelle di natura assistenziale. Trae dunque la conseguenza che nel concetto di erogazione rientra non solo l’ottenimento di una somma di denaro a titolo di contributo ma altresì l’esenzione dal pagamento di una somma dovuta a enti pubblici, perchè anche in tal caso il richiedente ottiene un vantaggio, che è posto a carico della comunità.

La Sezione rimettente cita, in proposito, alcune decisioni che esplicitamente interpretano il concetto di erogazione di cui all’art. 316 ter come comprensivo "sia di somme versate dall’ente pubblico, sia di somme non richieste o richieste in misura minore per servizi resi da detto ente" (Sez. 5, n. 39340 del 9/07/2009, dep. 9/10/2009, Nicchi; Sez. 5, n. 31909 del 26/06/2009, dep. 05/08/2009, Arcidiacono; Sez. 6, n. 28665 del 31/05/2007, dep. 18/07/2007, P.M. in proc. Piga).

4. Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’odierna udienza pubblica.
Motivi della decisione

1. La questione di diritto per la quale i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni Unite è la seguente: "quale sia la corretta qualificazione giuridica del fatto criminoso consistente nella falsa attestazione del privato di trovarsi nelle condizioni di reddito per fruire, a termini di legge, delle prestazioni del servizio sanitario pubblico senza il versamento della quota di partecipazione alla spesa sanitaria". 2. Sul punto si rinviene effettivamente un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.

2.1 Alcune decisioni hanno affermato che la condotta dianzi descritta, connotata, com’è, dall’artificiosa rappresentazione di circostanze di fatto, deve essere qualificata in termini di truffa, ex art. 640 c.p., comma 2. Si è sostanzialmente di fronte ad una falsificazione della realtà, consistente nella dichiarazione di trovarsi nelle condizioni di reddito previste dalla legge per l’esenzione, e questo è un dato di fatto che da corpo all’elemento degli artifici e dei raggiri richiesto dalla fattispecie criminosa come sopra individuata.

La condotta medesima non può essere ricondotta alla previsione di cui all’art. 316 ter c.p., anche perchè l’elemento dell’esenzione da un pagamento resta estraneo alla nozione di "contributo, finanziamento o mutuo agevolato", elementi questi ricompresi tutti nella generica accezione di "sovvenzione" (vedi Sez. 2, n. 32849 del 26/06/2007, dep. 13/08/2007, Mannarà; Sez, 5, n. 38478 del 09/07/2008, dep. 14/10/2008, Nicotera, Sez. 2, n. 24817 del 25/02/2009, dep. 16/06/2009, Molonia).

L’orientamento in esame risulta organicamente delineato, da ultimo, nella sentenza della Sez. 2, n. 32578 del 27/04/2010, dep. 01/09/2010, Di Costanze che – a fronte di una pronunzia di condanna ai sensi dell’art. 483 c.p., e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, in un contesto fattuale di mero mendacio riferito alle condizioni di reddito e finalizzato ad ottenere l’esenzione dal pagamento del ticket sanitario – ha rigettato la tesi difensiva della riqualificazione ai sensi dell’art. 316 ter, evidenziando che:

– la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., ha carattere residuale rispetto a quella della truffa, con la quale non è in rapporto di specialità e può con essa concorrere, ove della stessa siano integrati i presupposti (se, ad esempio, le falsità e le omissioni si risolvano in un’artificiosa rappresentazione della realtà capace di indurre in errore);

– la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 95 del 2004, ha escluso la sovrapponibilità delle condotte individuate dall’art. 316 ter c.p., con quelle integranti il reato di truffa;

– le Sezioni Unite penali – con la sentenza n. 16568 del 19/04/2007, dep. 27/04/2007, Carenivi – hanno precisato che l’ambito di applicazione dell’art. 316 ter si riduce a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale, aggiungendo come l’erogazione delle pubbliche sovvenzioni possa non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’erogatore nella misura in cui può legarsi, almeno in vìa provvisoria, all’esistenza della formale dichiarazione del richiedente;

– il concetto di contributo, finanziamento o mutuo agevolato, di cui alla enunciazione della fattispecie incriminatrice posta dall’art. 316 ter, non è assimilabile a quello di esenzione da un pagamento, ma va ricompreso nella generica accezione di "sovvenzione", ossia di aiuto economico concesso sotto forma di elargizione o prestito agevolato.

2.2 In senso contrario si esprimono altre pronunzie, secondo le quali la condotta di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato si distingue da quella di truffa aggravata in ragione dell’assenza dell’elemento dell’induzione in errore realizzata attraverso la messa in atto di artifici o raggiri.

Nell’ambito delle erogazioni pubbliche di natura assistenziale, indicate dall’art. 316 ter c.p., rientrano anche quelle concernenti l’esenzione dal ticket per prestazioni sanitarie. Nel concetto di erogazione deve ritenersi compreso, infatti, non solo l’ottenimento di una somma di denaro a titolo di contributo, ma pure l’esenzione dal pagamento di una somma dovuta ad enti pubblici, perchè anche in tal caso il richiedente ottiene un vantaggio che viene posto a carico della comunità (così Cass.: Sez. 5, n. 41383 del 17/09/2008, dep. 06/11/2008, Capalbo; Sez. 6, 21/10/2010, dep. 22/11/2010, Gelsi).

3. Appare utile ricordare che – sempre sulla premessa che nel termine "erogazioni", che si rinviene nell’art. 316 ter c.p., rientrano non solo le somme versare dall’ente pubblico, ma anche le somme non richieste o richieste in misura minore per servizi resi dal predetto ente – sono state inquadrate nell’ambito applicativo dell’art. 316 ter c.p., le condotte del privato che dichiari un reddito familiare inferiore a quello effettivamente percepito al fine di ottenere:

– un canone agevolato per la locazione di alloggio appartenente all’Amministrazione provinciale (Sez. 5, n. 39340 del 09/07/2009, dep. 09/10/2009, Nicchi);

– un abbonamento mensile, con tariffa agevolata, al servizio municipale di trasporto pubblico (Sez. 5, n. 31909 del 26/06/2009, dep. 05/08/2009, Arcidiacono).

4. Le Sezioni Unite – con la sentenza n. 16568 del 19/04/2007, dep. 27/04/2007, Carchivi – hanno risolto un duplice contrasto relativo sia alla riconducibilità o meno delle sovvenzioni pubbliche a carattere assistenziale o previdenziale alle previsioni degli artt. 316 ter e 640 bis c.p., (a seconda il diverso conformarsi delle singole fattispecie) sia alle differenze tra gli elementi costitutivi di tali delitti.

Nella citata decisione – quanto ai rapporti tra il reato di truffa aggravata e quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o di altri enti pubblici – le Sezioni Unite hanno posto anzitutto in rilievo che l’art. 640 bis c.p., "prevede una circostanza aggravante del delitto di truffa, che si pone in rapporto di specialità con la circostanza aggravante di cui all’art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (così già Sez. Unite, 26/06/2002, Fedi).

Infatti, se si raffrontano le due norme, risulta immediatamente evidente come sia concentrico l’ambito di applicazione delle circostanze aggravanti da esse previste. La circostanza prevista dall’art. 640 c.p., comma 2, n. 1, si applica a qualsiasi truffa commessa a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare. La circostanza prevista dall’art. 640 bis c.p., si applica solo quando la truffa abbia comportato l’indebita erogazione di contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee".

Hanno quindi osservato – in congruenza con l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 95 del 2004 – che l’introduzione nel codice penale dell’art. 316 ter ha risposto all’intento di estendere la punibilità a condotte "decettive" (in danno di enti pubblici o comunitari) non incluse nell’ambito operativo della fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Con questa premessa hanno condotto il problema a una secca alternativa: o la riduzione dell’ambito di applicazione dell’art. 316 ter in termini di radicale marginalità o la riduzione sostanziosa dell’ambito di applicazione della fattispecie di truffa.

Rispetto alla delineata alternativa, che riassumeva il contrasto giurisprudenziale allora esistente, le Sezioni Unite hanno optato per la soluzione di tenere fermi i limiti tradizionali della fattispecie di truffa e di ricondurre alla fattispecie di cui all’art. 316 ter le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore o un danno per l’ente erogatore, con la conseguente compressione dell’art. 316 ter a situazioni del tutto marginali, "come quello del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale".

Una falsa rappresentazione della realtà in capo all’erogatore può dipendere, oltre che dalle modalità del procedimento di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, anche dalle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto, sicchè l’accertamento dell’esistenza di una induzione in errore, quale elemento costitutivo del reato di truffa, ovvero la sua mancanza in favore dell’applicabilità dell’art. 316 ter, è questione di fatto riservata al giudice del merito.

5. La Corte Costituzionale – con la citata ordinanza n. 95 del 2004 – ha affermato, come dato inequivoco, il carattere sussidiario e residuale dell’art. 316 ter rispetto all’art. 640 bis c.p., chiarendo che, alla luce del dato normativo e della ratio legis, l’art. 316 ter assicura una tutela aggiuntiva e "complementare" rispetto a quella offerta agli stessi interessi dall’art. 640 bis, coprendo in specie gli eventuali margini di scostamento – per difetto – del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode. Ha quindi rinviato all’ordinario compito interpretativo del giudice l’accertamento, in concreto, se una determinata condotta formalmente rispondente alla fattispecie dell’art. 316 ter integri anche la figura descritta dall’art. 640 bis, dovendosi, in tal caso, fare applicazione solo di quest’ultima.

6. A fronte del quadro interpretativo dianzi delineato, queste Sezioni Unite ritengono che debba essere affermato il principio secondo il quale:

"L’art. 316 ter c.p., punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perchè in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente".

Rileva in proposito il Collegio che la giurisprudenza di questa Corte, in relazione al reato di truffa, ha gradualmente svalutato il ruolo della condotta, orientandosi sempre più verso una configurazione del delitto in senso causale, ove ciò che rileva non è tanto la definizione dei concetti di artifici e raggiri, quanto, piuttosto, la idoneità di quelle condotte a produrre l’effetto di induzione in errore del soggetto passivo. Si è così assistito al consolidarsi della affermazione secondo la quale, ai fini della sussistenza del reato di truffa, l’idoneità dell’artificio e del raggiro deve essere valutata in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso.

Le Sezioni Unite, già con la sentenza 24/01/1996, Panigoni, ebbero ad evidenziare la rilevanza della questione "se il concetto di artifizi e raggiri sia integrato anche dalla menzogna pura e semplice e cioè dalla menzogna che, senza particolari modalità ingannatorie aggiuntive, abbia determinato l’errore nel soggetto passivo":

questione – avvertivano le Sezioni Unite – senz’altro seria, "potendosi ritenere che la menzogna pura e semplice integra soltanto la condotta che induce in errore, ma non la condotta posta in essere con artifizi e raggiri".

A fronte di tale avvertimento, poi, sempre le Sezioni Unite – con la sentenza n. 16568 del 2007, Carchivi – hanno statuito che "vanno ricondotte alla fattispecie di cui all’art. 316 ter – e non a quella di truffa – le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore per l’ente erogatore, dovendosi tenere conto, al riguardo, sia delle modalità del procedimento di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, sia delle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto".

Questo principio va ribadito ed alla stregua di esso la truffa va ravvisata solo ove l’ente erogante sia stato in concreto "circuito" nella valutazione di elementi attestativi o certificativi artificiosamente decettivi.

La sussistenza della induzione in errore, da un lato, e la natura fraudolenta della condotta, dall’altro, deve formare oggetto (come segnalato dalla Corte Costituzionale) di una disamina da condurre caso per caso, alla stregua di tutte le circostanze che caratterizzano la vicenda in concreto.

Significazioni in tal senso possono trarsi, del resto, dalla stessa collocazione topografica dell’art. 316 ter c.p., e dagli elementi descrittivi che compaiono tanto nella rubrica che nel testo della norma, chiaramente evidenzianti la volontà del legislatore di perseguire sostanzialmente la percezione sine titulo delle erogazioni in via privilegiata rispetto alle modalità attraverso le quali l’indebita percezione si è realizzata.

7. Il principio dianzi enunciato va poi specificato nel senso che:

"Integra il delitto di cui all’art. 316 ter c.p., anche la indebita percezione di erogazioni pubbliche di natura assistenziale, tra le quali rientrano quelle concernenti la esenzione del ticket per prestazioni sanitarie ed ospedaliere, in quanto nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perchè anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità".

La nozione di "contributo" va intesa, infatti, quale conferimento di un apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante e tale apporto, in una prospettiva di interpretazione coerente con la ratio della norma, non può essere limitato alle sole elargizioni di danaro.

Appare utile rilevare, in proposito, che l’art. 316 ter è stato inserito nel codice penale dalla L. 29 settembre 2000, n. 300, nel quadro delle misure di adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalla Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee redatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, e nessun argomento contrario all’inclusione anche delle prestazioni assistenziali nelle previsioni dello stesso art. 316 ter potrebbe trarsi dalla locuzione "contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo", che pure nella normativa comunitaria viene formulata con termini del tutto generici e privi di uno specifico significato tecnico riferibile soltanto a sovvenzioni in danaro e non anche ad agevolazioni ed ausili economici di qualsiasi tipo, attribuiti con scopi sociali.

Deve considerarsi, poi, che – mentre la norma peculiare posta dall’art. 316 bis c.p., è rivolta specificamente a reprimere la distrazione dei contributi pubblici dalle finalità per le quali sono stati erogati – l’art. 316 ter, sanziona la percezione di per sè indebita delle erogazioni, senza che vengano in rilievo particolari destinazioni funzionali, e ciò può ritenersi ulteriore elemento confermativo della possibilità di ricondurre nell’ambito di quest’ultima fattispecie anche erogazioni a destinazione non vincolata quali quelle assistenziali.

8. Esaminato secondo l’impostazione dianzi delineata, il caso che ci occupa appare caratterizzato dalla inesistenza di quella "induzione in errore", che integra elemento costitutivo del reato di truffa.

La vicenda, invero, nei suoi elementi fattuali, non è integrata dall’esistenza di un attestato o di un certificato di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria, in relazione al reddito, rilasciato dall’azienda USL in seguito alla compilazione di un’autocertificazione del beneficiario, ma l’assistito ha apposto la propria firma in calce ad un timbro impresso sul retro dell’impegnativa di prescrizione (riferita ad accertamenti specialistici) recante la dichiarazione "Sono licenziato e disoccupato. Il mio nucleo familiare non supera il reddito previsto per l’esenzione". In base a ciò solo la struttura sanitaria ha erogato le prestazioni in regime di esonero.

Nella Regione Siciliana soltanto con la L.R. 31 maggio 2004, n. 9 (attuata con decreto assessoriale n. 3665 del 18.6.2004 ed ulteriormente integrata nel novembre del 2007) è stata introdotta una disciplina delle esenzioni del ticket sanitario, secondo la quale, per essere esentati dal pagamento, è necessario munirsi del certificato ISEE (indicatore della situazione economica equivalente), ottenibile presso i CAF o CAAF previa compilazione, da parte dell’utente, di una dichiarazione sostitutiva unica D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, ex artt. 38, 46 e 47, avente validità di 12 mesi dalla data di rilascio.

Tale normativa non era vigente all’epoca dei fatti per i quali si procede (agosto 2002) e – tenendosi comunque presente che nel concetto di "induzione in errore" non può essere assorbito quello di "falsa rappresentazione" – la esenzione del ticket venne ammessa quale conseguenza automatica della formale dichiarazione del richiedente (questo regime è stato successivamente emendato in senso restrittivo proprio a cagione del rilevante numero di abusi che ad esso si riconnettevano).

Per la relazione di residuante e sussidiarietà rispetto alla ipotesi di truffa (già evidenziata dianzi), dunque, trova applicazione la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p..

9. Le Sezioni Unite, con la citata sentenza Carchivi, hanno già dato risposta alla ulteriore questione dei rapporti della fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., con i reati di falso ed in proposito hanno concluso che il reato di cui all’art. 316 ter assorbe quello di falso previsto dall’art. 483, in quanto l’uso o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituisce un elemento essenziale per la sua configurazione, nel senso che la falsa dichiarazione rilevante ex art. 483, ovvero l’uso di un atto falso, ne costituiscono modalità tipiche di consumazione.

Le Sezioni semplici si sono conformate a tale orientamento ed hanno ribadito che il concorrente reato di cui all’art. 483 c.p., resta assorbito nella fattispecie di cui all’art. 316 ter, dal momento che tale ultimo delitto ne contiene tutti gli elementi costitutivi, dando così luogo ad un reato complesso, e ciò pure quando occorra avere riguardo alla previsione dell’art. 316 ter, comma 2, non superandosi i livelli quantitativi dell’indebitamente percepito posti dalla legge come spartiacque tra il fatto di mera rilevanza amministrativa e quello di rilevanza penale (vedi Cass.: Sez. 6, n. 28665 del 31/05/2007, dep. 18/07/2007, P.M. in proc. Piga; Sez. 5, n. 41383 del 17/09/2008, dep. 06/11/2008, Capalbo; Sez. 5, n. 31909 del 26/06/2009, dep. 5/08/2009, Arcidiacono; Sez. 6, 21/10/2010, dep. 22/11/2010, Gelsi).

10. Nel quadro giurisprudenziale come sopra delineato ritiene questo Collegio di dovere ribadire i principi secondo i quali:

a) "Il reato di cui all’art. 316 ter c.p., assorbe quello di falso previsto dall’art. 483 c.p., in tutti i casi in cui l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscono elementi essenziali per la sua configurazione".

La fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o di altri enti pubblici, infatti, si configura come fattispecie complessa, ex art. 84 c.p., che contiene tutti gli elementi costitutivi del reato di falso ideologico.

Nè può attribuirsi rilevo alla diversità del bene giuridico tutelato dalle due norme, considerato che in ogni reato complesso si ha, per definizione, pluralità di beni giuridici protetti, a prescindere dalla collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice. b) "L’assorbimento del falso ideologico nel delitto di cui all’art. 316 ter c.p., si realizza anche quando la somma indebitamente percepita o non pagata dal privato, non superando la soglia minima dell’erogazione (Euro 3.999,96), integri la mera violazione amministrativa di cui al secondo comma dello stesso art. 316 ter".

Rientra, infatti, nelle valutazioni discrezionali del legislatore la scelta della natura e qualità delle risposte sanzionatorie a condotte antigiuridiche, e quindi l’assoggettabilità dell’autore, in una determinata fattispecie, a sanzioni amministrative, pure se frammenti di queste condotte, ove non sussistesse la fattispecie complessa, sarebbero sanzionabili con autonomo titolo di reato.

11. Nella vicenda in esame, in conclusione, i fatti contestati vanno ricompresi nello schema descrittivo dell’art. 316 ter c.p., ivi assorbiti i reati di falso e di truffa, ed a ciò consegue la declaratoria di non previsione del fatto come reato, in quanto non risulta superata la soglia di punibilità, ragguagliata al valore di Euro 3.999,96, indicata nel secondo comma della richiamata previsione legislativa.

Vanno revocate, quindi, le statuizioni civili e, per l’applicazione della prevista sanzione amministrativa, gli atti devono essere trasmessi al Prefetto di Messina.
P.Q.M.

Qualificati i fatti come fattispecie ex art. 316 ter c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Dispone la trasmissione degli atti al Prefetto di Messina per l’applicazione della sanzione amministrativa prevista dallo stesso art. 316 ter, comma 2.

Revoca le statuizioni civili della sentenza impugnata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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