Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-12-2010) 25-02-2011, n. 7220 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. C.G., nato a (OMISSIS), era imputato: a) del reato di cui agli artt. 81, 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., n. 1, art. 609 quater c.p., n. 2 per aver, in più occasioni e, pertanto, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con violenza e minaccia costretto B.V. (di anni 10 all’epoca del rinvio giudizio e a lui affidata quale amico di famiglia per seguirla nei compiti scolastici) a subire atti sessuali consistiti in toccamenti e in penetrazioni anali e vaginali; in particolare, dopo aver spogliato la minore ed essersi a sua volta denudato, la faceva sdraiare sul letto e tenendole bloccate le braccia la penetrava per via anale (provocandole anche perdite ematiche), le appoggiava l’organo sessuale sulla vagina, penetrandola con due dita, la accarezzava sul corpo, le leccava e succhiava i seni, le leccava e le succhiava la vagina, la baciava sulla bocca penetrandovi la lingua, si masturbava in sua presenza arrivando all’eiaculazione e in ogni occasione minacciava la minore di usare un coltello qualora avesse raccontato in casa quanto avveniva; b) del reato di cui agli artt. 81, 609 quinquies c.p. per avere in più occasioni e, pertanto, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, compiuto in presenza di B.V. di anni 10 al fine di farla assistere atti sessuali consistiti nel masturbarsi e nell’eiaculare (acc. in (OMISSIS)).

2. Il tribunale di Bergamo con sentenza del 7 gennaio 2009 lo riconosceva colpevole e lo condannava alla pena di dodici anni di reclusione, nonchè al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere; lo dichiarava interdetto in perpetuo dai pubblici uffici; lo condannava al risarcimento del danno in favore della parte civile da determinarsi in separata sede con attribuzione di una provvisionale in favore sia della minore abusata che dei suoi genitori.

La vicenda degli abusi sessuali contestati all’imputato era venuta alla luce grazie alle confidenze fatte dalla piccola B. V. al neuropsichiatra che la seguiva fin dal 2005, a seguito di un disagio segnalato dalle insegnanti e derivante da un lieve ritardo cognitivo. Il professionista aveva in particolare narrato che nel corso di tale trattamento si era verificato che un giorno la madre sconvolta aveva riferito delle rivelazioni della piccola V. sul comportamento di un amico di famiglia, C., dal quale andava a fare i compiti, che secondo la ricostruzione fornita dalla minore, le toccava le tette e gli organi genitali. La piccola ripeteva le accuse nei confronti di C. raccontando gli abusi subiti.

Anche l’assistente sociale F. aveva raccolto le dichiarazioni della piccola V. sul C. che le sottoponeva la visione di cassette pornografiche; si spogliava; le aveva più volle chiesto di fare il bagno con lui; le toccava la zona pubica, chiamata "fiorellino"; la piccola le aveva riferito di aver subito perdite ematiche rettali, perchè l’adulto l’aveva penetrata dal retro. Aveva inoltre parlato di toccamenti delle tettine e della richiesta di masturbarlo, specificando che, se il rapporto di conoscenza e frequentazione durava da anni, solo negli ultimi tempi aveva assunto i connotati descritti.

Il tribunale poi teneva conto dell’esito degli accertamenti clinici eseguiti presso la Clinica (OMISSIS), ove si era evidenziata la presenza di un arrossamento della zona genitale di origine aspecifica, e l’assenza di alterazione della zona imenale e rettale, luogo quest’ultimo dove si apprezzava la presenza di pliche ipertrofiche, reperto anch’esso di natura aspecifica.

Vi era poi il racconto offerto dalla minore nel corso dell’incidente probatorio.

Il primo giudice riteneva che durante l’incidente probatorio V. avesse dato prova di capacità a rendere testimonianza con riferimenti pertinenti, e svalutava le diverse conclusioni formulate in proposito dalla consulente di parte G., tese ad inficiare la credibilità della minore, sottolineando in particolare il riferimento puntuale, coerente e ripetuto agli accadimenti riferiti dalla medesima.

In conclusione il primo giudice giungeva ad una valutazione di piena attendibilità della denuncia formulata, valorizzando la credibilità della piccola V. sia sulla scorta delle prove acquisite, che delle relazioni e conclusioni tecniche formulate dalle figure professionali entrate con essa in contatto. La genesi delle rivelazioni, la sua gradualità e il dolore mostrato dalla minore nella ricostruzione offerta venivano valutati quali sintomi di attendibilità del narrato, unitamente ai minimi particolari resi nel corso del racconto dalla ragazza, alle sue sensazioni di vergogna, disgusto, dolore, specificamente riferite in relazione alle esperienze descritte, estranee al vissuto di una bambina di quell’età. 3. Avverso questa sentenza del tribunale di Bergamo l’imputato proponeva appello deducendo, in particolare, che il quadro clinico di V. all’età di otto anni presentava disarmonia evolutiva, ritardo nello sviluppo cognitivo, disorganizzazione del pensiero; la piccola manifestava interesse di tipo sessuale nei confronti della coppia di genitori, ed esponeva racconti di sogni a contenuto minaccioso, sempre sessualizzato. Sosteneva quindi l’inattendibilità del narrato della parte offesa.

La Corte d’Appello di Brescia, prima sezione penale, con sentenza del 3 dicembre 2009, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, riqualificava i fatti ai sensi dell’art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., ultimo comma; confermava nel resto la pronuncia appellata condannando il C. al pagamento delle spese processuali, oltre che alla rifusione delle spese di rappresentanza della parte civile nel grado.

La Corte ha ritenuto doversi accogliersi la richiesta del P.G. di riqualificazione dei fatti, ai sensi dell’art. 609 bis e ter c.p., ultimo comma, in quanto era emerso che nella specie almeno una parte dell’azione si era svolta nell’arco del 2007, periodo nel quale la piccola non aveva ancora compiuto i dieci anni, atteso che la madre nell’agosto del 2007 aveva parlato di comportamenti aggressivi insoliti, collocabili nel corso dell’ultimo anno, mentre la minore aveva compiuto i dieci anni solo nel marzo 2007; riqualificazione che però, per il principio del divieto di reformatio in peius, non poteva condurre ad un aggravamento di pena.

4. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con un unico motivo.
Motivi della decisione

1. Il ricorso – consistente in un unico motivo con cui il ricorrente deduce l’inattendibilità della minore anche perchè il riscontro medico-legale di eventuali conseguenze traumatiche era risultato pressochè negativo – è inammissibile, muovendo il ricorrente mere censure di merito all’impugnata sentenza.

La Corte d’appello ha motivatamente preso posizione in ordine alle deduzioni difensive del ricorrente, che già costituivano oggetto dell’atto d’appello. Si tratta di valutazioni di merito, assistite da sufficiente e non contraddittoria motivazione, e come tali non suscettibili di riesame in sede di legittimità, esprimendo il ricorrente un mero dissenso valutativo in ordine all’apprezzamento delle risultanze processuali.

2. In particolare la Corte distrettuale ha sottolineato che le dichiarazioni, che vennero per la prima volta rilasciate dalla parte offesa alla allora fidanzata del fratello, e poi trasmesse alla madre della piccola, non erano sospettabili di essere sorte su suggerimento dei genitori della minore. La quale narrò gli episodi di violenza con chiarezza fin dal primo momento, descrivendoli compiutamente.

La Corte poi, nel richiamare la perizia sulla capacità a testimoniare svolta nel corso del giudizio di primo grado, ha anche sottolineato la costanza con la quale la piccola V. aveva riferito gli atti dei quali era stata vittima, la cui autenticità emergeva anche dell’estremo realismo con cui la piccola, nel corso dell’audizione videoregistrata prodotta in atti aveva mimato sia la condotta di manipolazione subita da C. nelle sue parti intime, che quella di masturbazione eseguita dallo stesso dinanzi a lei. Secondo la Corte distrettuale l’estrema fedeltà del narrato, come desumibile dai suoi gesti, e soprattutto, l’esecuzione della prima azione con l’utilizzazione di indice e medio, davano conto di un’azione realmente vissuta.

La Corte d’appello poi si è fatta carico della circostanza che la piccola V. aveva parlato in un primo tempo di penetrazioni anali e tuttavia nell’esame anatomico svolto su tale parte del corpo presso il reparto antiviolenza della Clinica (OMISSIS) era stato rilevato solo un inspessimento delle pliche anali, valutato sintomo aspecifico, che in ogni caso permetteva di escludere l’esecuzione dell’azione nella sua completezza.

La Corte ha però osservato che tale elemento di fatto non appariva idoneo a smentire l’attendibilità del narrato ricordando che non di rado i minori abusati riferiscano di penetrazione anche quando tale attività non sia compiuta nella sua interezza, percependo essi le ripetute pressioni esterne come atto pienamente invasivo, anche sulla base di un difficile canone interpretativo, conseguente all’inesperienza, oltre che per la particolare dolenzia comunque esistente, in ragione delle diversità di rapporto tra gli organi in contatto. In proposito la Corte ha richiamato le dichiarazioni della dott.ssa R., che sentita in udienza, ha riferito che le digitazioni anali non lasciano traccia, e che i piccoli, per la loro inesperienza, parlano di penetrazione anche quando l’organo sessuale viene solamente appoggiato.

Per contro la Corte ha ritenuto che un riscontro di quanto riferito dalla minore era costituito dalla presenza di tracce ematiche nella sua biancheria, accertata dalla madre.

Quindi conclusivamente la Corte distrettuale, con una sentenza ampiamente ed accuratamente motivata, ha ritenuto pienamente credibile la narrazione dei fatti come esposti dalla parte offesa e degli abusi sessuali da essa subiti, così esprimendo un apprezzamento di merito ad essa devoluto, peraltro in totale sintonia con la valutazione, parimenti di merito, già operata dal primo giudice.

3. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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