Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-12-2010) 25-02-2011, n. 7219 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. B.L.A., nato a (OMISSIS), era imputato dei delitti previsti e puniti dall’art. 81 c.p., comma 2, e art. 609 octies c.p. perchè, in più persone riunite, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con le violenze e minacce – poste materialmente in essere da B. F.C., con la consapevolezza delle stesse da parte di B.L.A. (in molteplici occasioni presente) – costringevano G.V. a compiere coiti orali ed a subire rapporti sessuali vaginali ed anali con i medesimi, singolarmente e congiuntamente (in almeno un’occasione con contestuali rapporti anali e vaginali), a subire penetrazioni anali e vaginali con falli in gomma e comunque con oggetti di forma analoga, nonchè a compiere coiti orali e rapporti sessuali con B. L.A. congiuntamente alla moglie di quest’ultimo, Y., o comunque alla sua presenza ed alla presenza di B. F.C. (fatti commessi in (OMISSIS));

Al B. era contestato di avere commesso il suddetto reato in concorso con il fratello B.F.C. (giudicato separatamente), all’epoca fidanzato della parte lesa G. V., ovvero di avere anch’egli commesso violenze e minacce nei confronti della giovane costringendola a compiere e subire atti sessuali con loro, singolarmente o congiuntamente, atti che consistevano in pratiche di sesso estremo e rapporti sessuali perversi di gruppo, in un’occasione anche con la partecipazione della moglie dell’imputato, J.Y..

2. Con sentenza in data 18.7.2008 il Tribunale di Ravenna, a seguito di dibattimento, riteneva provata la responsabilità di B. L.A. in ordine al reato continuato di cui all’art. 609 octies c.p., e, con le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni sei di reclusione, con la sanzione accessoria (ex art. 29 c.p. e art. 609 nonies c.p.) della interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela.

Lo ha poi condannato al risarcimento del danno subito dalla parte civile G.V., liquidato in Euro 20.000, con sentenza immediatamente esecutiva sul punto.

Ha evidenziato il Tribunale che la genesi del procedimento risaliva al 5.7.2007 quando la G., all’epoca dei fatti poco più che ventenne, sporse querela nei confronti del fidanzato F., con il quale intratteneva una relazione sentimentale dal maggio 2006, esponendo di essere stata vittima di una serie di episodi di violenza sessuale ai quali aveva partecipato anche il fratello di lui e di maltrattamenti vari, l’ultimo dei quali si era verificato la sera del 29 giugno 2007, quando era stata brutalmente percossa dal fidanzato tanto che aveva dovuto ricorrere all’aiuto della madre, con la quale si era presentata presso la stazione dei Carabinieri di Faenza per denunciare i fatti poi formalizzati nella rituale denuncia querela.

In seguito la parte offesa veniva stata sentita più volte (v. i verbali di s.i. del 10.7.2007 e del 2.8.2007 acquisiti agli atti del processo con il consenso delle parti) ed ha reiterato le accuse e fornito ulteriori dettagli.

In particolare la G. riferiva che, dopo i primi rapporti sessuali normali, B.F. aveva iniziato ad usare violenza per costringerla ad avere rapporti anali, la obbligava a vedere film pornografici, le parlava, assieme al fratello L., di locali di scambi di coppie, proponendole di andarvi assieme; quindi la perversione di F. andava sempre più aumentando tanto che ella veniva costretta, sotto minacce e violenze di vario tipo, ad avere rapporti sessuali completi, oltre che con lui, anche con B.L. (che viveva nella stessa casa di F. con la moglie ed un figlio all’epoca di quattro anni), talora dopo avere assunto cocaina; a volte mentre aveva rapporti sessuali con L., F. stava a guardare (e si masturbava), a volte partecipava contemporaneamente; in particolare in un’occasione, in una zona periferica di Faenza, veniva tenuta stretta da F. mentre L. le imponeva un rapporto sessuale al quale ella aveva cercato di opporsi dicendo che le faceva male.

La parte lesa ha poi riferito che F. l’aveva minacciata in vario modo (con frasi del tipo "se non fai quello che ti ho chiesto sai cosa ti aspetta,) e che era stata costretta ad avere plurimi rapporti sessuali completi con il fratello L., in occasione dei quali talvolta F. stava a guardare, mentre altre volte partecipava attivamente e contemporaneamente al fratello ai rapporti sessuali anche anali. La parte lesa ha descritto nel dettaglio i vari rapporti subiti ad opera anche di L., sia anali (mentre F. la teneva stretta), sia a tre. In occasione dell’ultimo incontro con L. costui, dopo avere preteso un rapporto sessuale, ha chiamato la moglie ed ha avuto un rapporto sessuale anche con lei; quindi F. l’ha costretta a rimanere nella camera ed ha chiuso la porta a chiave, e lì sono rimasti per un’ora;

al ritorno F. le ha chiesto se aveva fatto quello che le aveva imposto (ossia un rapporto a tre) e, quando ha saputo che ella si era rifiutata, l’ha picchiata e l’ha costretta, spingendole la testa, ad avere un rapporto sessuale orale con il fratello.

In particolare il Tribunale – disattendendo la versione dell’imputato, il quale aveva ammesso di avere avuto rapporti sessuali con V., ma che in nessuna occasione la ragazza era stata costretta, ma aveva sempre partecipato volontariamente e liberamente – ha ritenuto che le dichiarazioni della parte lesa erano credibili alla luce di numerosi indicatori, comportamentali, emotivi, e narrativi, spiegati ed interpretati dalla stessa psicologa che aveva avuto in cura la ragazza, e che esse avevano trovato numerosi riscontri nelle dichiarazioni della zia di V., R. M., della madre di lei, M.D., della psicologa Dott.ssa S.A..

Ha inoltre considerato che il racconto della ragazza non era inficiato dalla testimonianza resa dalla consulente di parte dell’imputato Dott.ssa T.M.L., ginecologa, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità delle violente pratiche sessuali raccontate dalla parte lesa con quanto risultava dal certificato medico del (OMISSIS) relativo ad una visita ginecologica cui si sottopose V., occasione nella quale non furono stati riscontrate lesioni, quali traumatismi o lividi.

Il Tribunale ha evidenziato – e condiviso – in proposito il diverso giudizio tecnico della Dott.ssa L.F., ovvero della ginecologa che effettuò personalmente la visita medica presso l’Ospedale di Imola, la quale, sentita ai sensi dell’art. 507 c.p.p. all’udienza del 18.7.2008, ha precisato che il fatto di non avere trovato lesioni recenti a livello vaginale era compatibile con una guarigione di quello che poteva esserci stato una settimana prima, atteso che la ragazza aveva rapporti sessuali da anni.

3. Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello la difesa dell’imputato, lamentando la errata ricostruzione dei fatti e l’erroneità della decisione come conseguenza di una non corretta valutazione delle emergenze dibattimentali. Rilevava, in particolare, che la parte lesa non era credibile perchè non era possibile che, dopo avere subito rapporti anali e vaginali così violenti e con l’utilizzo di oggetti di dimensioni considerevoli, non fossero state riscontrate lesioni specifiche, neanche dopo pochi giorni dalle presunte violenze. A tal fine richiamava le dichiarazioni della consulente di parte Dott.ssa T..

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 9 luglio 2009, ha confermato, l’impugnata sentenza e condannato l’appellante B. L.A. al pagamento delle spese processuali del grado, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.

Ha poi sostituito la misura degli arresti domiciliari applicata al B. con quella della custodia in carcere.

4. Avverso questa pronuncia l’imputato B.L.A. propone ricorso per cassazione con due motivi.
Motivi della decisione

1. Il ricorso – articolato in due motivi con cui il ricorrente pone in evidenza la mancanza di lesioni nella parte offesa, come attestato dalla consulenza di parte T., e lamenta la mancata adeguata considerazione delle deposizione dei familiari dell’imputato – è inammissibile, muovendo il ricorrente mere censure di merito all’impugnata sentenza.

La Corte d’appello ha motivatamente preso posizione in ordine ad entrambe le deduzioni difensive del ricorrente, che già costituivano oggetto dell’atto d’appello. Si tratta di valutazioni di merito, assistite da sufficiente e non contraddittoria motivazione, e come tali non suscettibili di riesame in sede di legittimità, esprimendo il ricorrente un mero dissenso valutativo in ordine all’apprezzamento delle risultanze processuali.

2. In particolare la Corte distrettuale ha correttamente evidenziato i riscontri delle dichiarazioni della persona offesa; riscontri consistenti nelle dichiarazioni della zia della parte lesa, R. M., agente della Polizia Municipale di Faenza, che ha riferito delle confidenze ricevute dalla ragazza la sera stessa del 29.6.2007 e nei giorni successivi. Quel giorno – ha ricordato la Corte distrettuale – il F. (il fidanzato), dopo una serata trascorsa con amici presso un agriturismo, aveva minacciato, insultato e colpito con schiaffi la parte lesa alla presenza di due amici che erano intervenuti a sua difesa (i due, R.F. D.E. e B.C., erano stati sentiti a s.i.t. con verbali acquisiti con il consenso delle parti). In seguito a bordo dell’autovettura il F. aveva continuato a minacciarla e percuoterla ed ella, esasperata, era riuscita a scappare ed a chiedere aiuto ad un automobilista che l’aveva accompagnata presso la stazione dei Carabinieri ove l’aveva raggiunta la zia, la quale aveva riscontrato lo stato di estrema prostrazione, di terrore della nipote; la quale era poi rimasta a casa sua per sei o sette giorni e poco alla volta si era tranquillizzata, riuscendo a parlare, sfogarsi con il pianto e narrare gli episodi di rapporti sessuali caratterizzati da pratiche estreme che era stata costretta a subire ad opera del fidanzato e da suo fratello.

Ulteriore riscontro era rinvenuto dalla Corte distrettuale nelle dichiarazione della madre di V., M.D., che aveva confermato l’episodio del (OMISSIS), precisando di avere notato i segni delle percosse sul corpo della figlia, ed in quelle della psicologa che aveva seguito a lungo V., la dottoressa S.A..

La stessa Corte ha poi considerato che le deposizioni del padre e dei fratelli dell’imputato – che avevano negato di avere mai assistito a litigi tra i due fidanzati, di avere mai udito richieste di aiuto della ragazza, e di avere mai notato lividi su di lei – erano poco credibili.

La Corte d’appello infine si è fatta carico delle osservazioni difensive fondate sulla consulenza di parte della Dott.ssa T. M., richiamando in proposito le dichiarazioni della Dott.ssa L., che aveva visitato personalmente la G. presso l’Ospedale di Imola e che aveva precisato che il fatto di non avere trovato lesioni recenti a livello vaginale era compatibile con una guarigione di quello che poteva esserci stato una settimana prima, attese l’elasticità e la minore resistenza dei tessuti di V. che aveva rapporti sessuali da anni e che da tempo subiva gli abusi ad opera del fidanzato e del fratello dello stesso.

La Corte distrettuale ha quindi conclusivamente – con apprezzamento di merito ad essa devoluto ed in sintonia con la valutazione già operata dal primo giudice – ritenuto pienamente credibile la narrazione dei fatti come esposti dalla parte offesa e delle pratiche sessuali estreme da essa subite con violenza e minacce ad opera dell’imputato.

3. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.

Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro mille alla Cassa delle ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. 196 del 2003, art. 52.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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