Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-11-2010) 25-02-2011, n. 7409 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 29-5-2009 la Corte di Appello di Bari – Sez. per i Minorenni – a seguito di appelli proposti rispettivamente, dal PM. e dalla difesa di G.V., avverso la sentenza emessa dal Tribunale per i Minorenni all’udienza preliminare, in giudizio abbreviato, in data 24-1-2005, riformava tale sentenza in accoglimento dell’impugnazione proposta dal PM., ritenendo esclusa la diminuente di cui all’art. 114 c.p., e rideterminava la pena complessiva, in anni uno, mesi cinque e giorni dieci di reclusione, confermando le ulteriori disposizioni. L’imputato era stato dichiarato responsabile del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, ai sensi dell’art. 416 bis c.p., comma 4, (in riferimento al quale si era applicata la diminuente ex art. 114 c.p., esclusa dalla Corte territoriale) nonchè del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere spacciato droga (hashish) come contestato in epigrafe.

Era stato invece prosciolto da altri reati (capo B inerente a violazione legge armi del 1974 commessa in più occasioni) ritenendo che tali illeciti fossero stati commessi allorchè il minore non era imputabile.

Innanzi alla Corte la difesa aveva eccepito l’inammissibilità dell’appello formulato dal PM trattandosi di procedimento con rito abbreviato, e la Corte aveva disatteso tale eccezione, rilevando che le censure articolate dal Requirente erano in diritto – quale quella relativa alla erronea applicazione dell’art. 114 c.p. per delitto associativo – ed aveva dunque ritenuto che l’impugnazione del PM dovesse essere considerata qualificabile anche come ricorso.

Tuttavia, avendo la difesa formulato a sua volta atto di appello, la Corte aveva applicato il principio della conversione del ricorso in appello, in tal senso definendo entrambe le impugnazioni.

– Sull’appello della Difesa, per il delitto di associazione per delinquere la Corte riteneva correttamente utilizzateci procedimento svolto con rito abbreviato(nel quale l’imputato aveva accettato di essere giudicato allo stato degli atti) le sentenze di condannala pure all’epoca non definitive, (essendo passate in giudicato successivamente come affermato dalla sentenza a), delle quali si era tenuto conto da parte del Tribunale per ritenere operante l’associazione per delinquere in contestazione alla quale aveva partecipato il minore.

Si erano inoltre ritenute attendibili dichiarazioni di collaboratori che avevano riferito del ruolo del G., nell’ambito dello spaccio (v. sentenza) evidenziando i controlli eseguiti dalla Polizia, che avevano dimostrato le frequentazioni dell’imputato, con i componenti del clan. All’imputato era stato dunque riconosciuto il ruolo di concorrente esterno nel sodalizio, addetto al compito di sentinella, per avvisare di possibili controlli di forze dell’ordine, nonchè di corriere e custode, nonchè spacciatore al minuto, della droga, oltre che di armi (fin da quando non era ancora imputabile).

Alla stregua di tali rilievi, la Corte aveva dunque accolto l’impugnazione del PM, ritenendo che dovesse essere esclusa l’applicazione della diminuente di cui all’art. 114 c.p. attesa l’esistenza del riconosciuto concorso del minore nell’associazione mafiosa, che era caratterizzato dalla adesione al gruppo con ruolo dinamico e funzionarsi da rendere ininfluente ai fini della valutazione della posizione dell’imputato la gravità dei singoli episodi di reato, essendo preminente il ruolo di associato.

In tal senso si era pertanto rideterminata la pena inflitta in primo grado, conformemente alle richieste della Pubblica Accusa.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo, con il primo motivo, la violazione dell’art. 546 c.p.p., lett. e) e art. 125 c.p.p. ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c), e), e b).

A riguardo la difesa rilevava che la sentenza si rivelava carente nella motivazione, oltre che illogica e contrastante con le risultanze processuali, avendo trascurato di valutare elementi favorevoli all’imputato, limitandosi a richiamare il contenuto della motivazione di primo grado, e privilegiando le deposizioni di collaboratori ( T. e M.) ove esse erano a carico dell’imputato, senza confrontarle con altre dichiarazioni (che la difesa indicava nel ricorso, come rese da D.F.G. nell’interrogatorio reso il 3-12-2002, dalle quali rimaneva esclusa la tesi di inserimento del minore nel gruppo di associati. In tal senso si indicavano anche dichiarazioni del M., che aveva escluso che il G. si fornisse di droga dal loro gruppo, ed aveva affermato che egli vendeva hashish per proprio conto.

Peraltro le dichiarazioni accusatorie rese dal T. venivano considerate dalla difesa inattendibili, in quanto prive di riscontri, di tal che la Corte era incorsa – a parere della difesa – nel travisamento delle risultanze processuali, ponendole a carico dell’imputato, mentre egli era estraneo all’associazione contestata, (v. in tal senso fl. 3 del ricorso).

In sostanza la ricorrente difesa rilevava che le dichiarazioni dei collaboratori fornivano versioni contrapposte circa la partecipazione del G. al gruppo, e menzionava le varie deposizioni, ritenendo che la Corte avesse privilegiato quelle a carico dell’imputato senza valide argomentazioni.

2 – Con altro motivo la difesa – ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) – deduceva la inammissibilità originaria dell’impugnazione formulata come appello dal Procuratore della repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, e la violazione dell’art. 443, comma 3 e art. 580 c.p.p., oltre che la manifesta illogicità della motivazione sul punto resa dalla Corte di appello, circa l’ammissibilità dell’appello del PM. e la qualificazione dello stesso come ricorso.

– A riguardo la difesa rilevava che la Corte aveva irritualmente ritenuto ammissibile l’impugnazione suddetta, poichè essa restava preclusa, non avendo riferimento alla diversa qualificazione giuridica del fatto, onde era da valutare l’inammissibilità del gravame proposto dal PM ai sensi dell’art. 443 c.p.p., comma 3.

Inoltre la difesa rilevava che risultava anche violata la disposizione di cui all’art. 580 c.p.p. poichè la Corte territoriale, aveva valutato l’atto di impugnazione come ricorso, che veniva convertito in appello, ma essendo tale gravame dotato della qualifica del ricorsola Corte avrebbe potuto esaminare il predetto unicamente ai fini dei vizi di legittimità della sentenza di primo grado, laddove ciò non era avvenuto. Pertanto la difesa rilevava la violazione del divieto di reformatio in pejus, essendo l’impugnazione del PM da dichiararsi inammissibile.

3 – Con ulteriore motivo la difesa deduceva l’erronea applicazione della legge inerente alla esclusione della diminuente prevista dall’art. 114 c.p., nonchè la violazione degli artt. 546 e 125 c.p.p., per difetto di motivazione circa l’esclusione della diminuente richiamata.

A riguardo evidenziava l’errore commesso dalla Corte, nell’aver trascurato di valutare che la contestazione del reato di cui all’art. 416 bis c.p. era avvenuta in riferimento al ruolo di concorrente esterno all’associazione, onde – omettendo di considerare tale contestazione – la Corte aveva motivato sulla esclusione della diminuente ex art. 114 c.p. in modo erroneo, pur richiamando un indirizzo giurisprudenziale di legittimità, in questo caso non applicabile. (v. fl. 8 del ricorso).

– Pertanto la difesa rilevava che l’imputato, non aveva come concorrente esterno aderito all’associazione e non aveva assunto un ruolo dinamico e funzionale al sodalizio.

Menzionava a riguardo le dichiarazioni rese dai collaboratori (D. F. e A.) a fl. 10, rilevando come il G. potesse ritenersi estraneo al gruppo.

Per tali elementi la difesa rilevava anche la genericità delle argomentazioni formulate in sentenza per escludere la diminuente ex art. 114 c.p., e l’assenza di ogni riferimento alla specifica condotta tenuta dal G.. (fl. 12 ricorso).

Diversamente il difensore rilevava che la diminuente in questione poteva ritenersi applicabile, come correttamente aveva ritenuto il primo giudice, dato che si era in presenza di un’ipotesi riconducibile all’art. 110 c.p., essendo ritenuto il concorso esterno del G. nell’associazione contestata.

4 – Con il quarto motivo la difesa rilevava l’omessa motivazione su richiesta specifica dei motivi di appello, inerente al difetto di "imputabilità" ai sensi del D.P.R. n. 448 del 1998, art. 26.

Sul punto la Corte non si era pronunziata, pur avendo la difesa rilevato che l’associazione per delinquere risultava contestata per attività realizzate fino al maggio del 2000, e che il G. solo ad aprile 2000 aveva compiuto gli anni quattordici, onde si sarebbe dovuta dimostrare l’attività dal predetto svolta nel mese successivo.

Pertanto rilevava che la sentenza a riguardo era del tutto carente, ravvisando il vizio di legittimità.

Inoltre evidenziava che i collaboratori richiamati (il T., il M., e il D.F.) avevano iniziato la collaborazione tra aprile 2000 e dicembre dello stesso anno, onde si sarebbe dovuto ritenere che gli stessi avessero fornito notizie per il periodo in cui il G. non era imputabile.

5 – Con altro motivo la difesa deduceva la manifesta illogicità della motivazione per la rilevata insussistenza dell’elemento psicologico del reato.

6 – Con il sesto motivo deduceva la manifesta illogicità in ordine alla insussistenza del reato sub C), e dell’aggravante L. n. 152 del 1991, ex art. 7.

Sul punto la difesa riportava testualmente il motivo di appello, formulato con censure inerenti alla valutazione delle chiamate in correità, ed osservava che a fronte delle richieste in tal senso formulate – avendo anche ritenuto che nella specie, volendo ritenere per il capo C la responsabilità del predetto imputato, si sarebbe potuta applicare la diminuente di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, la Corte territoriale non aveva motivato sui punti evidenziati.

7 – Da ultimo la difesa censurava la sentenza per violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b, c ed e er avere escluso la concessione delle attenuanti generiche, richiamando gli artt. 163 e 133 c.p..

A riguardo rilevava carenza della motivazione.

Per tali motivi chiedeva infine l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La Corte rileva che i motivi di impugnazione si rivelano destituiti di fondamento. Invero va evidenziato, in riferimento alle censure espresse con il primo motivo, che la sentenza offre una descrizione esauriente delle risultanze processuali, desunte sia dall’esito di indagini di pg. che da dichiarazioni rese da collaboratori compiendo un’attenta analisi della concretezza degli elementi a carico dell’attuale ricorrente, la cui esistenza oggettiva non viene in alcun modo smentita dai rilievi della difesa.

D’altra parte deve evidenziarsi che-pur essendo legittimo il richiamo della motivazione resa dal primo Giudice, la presente sentenza contiene la manifestazione dell’apprezzamento effettuato dal giudice del gravame in ordine alle risultanze richiamate, onde resta privo di sostegno il motivo di ricorso che adduce una pretesa carenza della motivazione, che si presenta adeguata e coerente con specifici elementi di provarne attengono alla configurabilità dell’ipotesi di reato associativo, come ritenuta dai giudici di merito, in perfetta sintonia con i canoni della giurisprudenza di legittimità in materia di concorso nell’associazione per delinquere.

Peraltro si ritengono prive di fondamento le censure relative alla pretesa contraddittorietà degli elementi di prova, risultando pienamente coerenti i motivi resi dalla Corte che ha correttamente analizzato i dati processuali nella loro globale consistenza accusatoria, senza incorrere in contrastanti ed illogiche argomentazioni.

Diversamente restano meramente generiche e dunque al limite della inammissibilità le censure difensive attinenti alla pretesa inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboranti, atteso che, peraltro, la sentenza ha stigmatizzato i connotati del ruolo assunto dall’imputato, in qualità di concorrente esterno.

2 – Parimenti va evidenziato che resta infondata la censura formulata per violazione dell’art. 443, comma 3 e dell’art. 580 c.p.p. per la dedotta inammissibilità dell’appello del PM. Al riguardo va citata giurisprudenza di questa Corte, Sez. 4^, 11 luglio 2007 – 26 ottobre 2007, n. 39618 CED 237986 – sub art. 443, nonchè Sez. 2^, 23 aprile 2007-11.5.2007 n. 18253 – CED 236404, sub art.443 citato, che consentono la conversione del mezzo di impugnazione formulato dal PM. Peraltro resta ugualmente infondata la censura inerente al limite di cognizione che avrebbe la Corte di appello, in caso di conversione dell’atto di impugnazione (ricorso) del PM. Alla stregua di quanto stabilito con la sentenza di questa Corte – Sez. 1^ del 14 febbraio 2006, n. 15025 – CED234039 – Conforme, Sez. 6^, 23 ottobre 2008, n. 42694 e Sez. 4^, 24.6.2008, n. 37074 – ove "In tema di giudizio abbreviato, quando l’imputato propone appello contro la sentenza di condanna, l’eventuale ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero si converte in appello in applicazione dell’art. 580 c.p.p., ma conserva la propria natura di impugnazione di legittimità. Ne consegue che la Corte di Appello deve sindacarne l’ammissibilità secondo i parametri dell’art. 606 c.p.p. ed i suoi poteri di cognizione sono limitati alle censure di legittimità.

Tuttavia, una volta che ritenga fondata una di dette censure, la Corte riprende la propria funzione di giudice di merito e può adottare le statuizioni conseguenti, senza necessariamente procedere in via formale all’annullamento della pronuncia di primo grado". 4 – Quanto alle censure formulate con il quarto motivo di ricorso, esse si ritengono articolate in riferimento alla pretesa assenza della motivazione sulle richieste di ritenere la mancanza di imputabilità del minore.

Tali doglianze, tuttavia, restano assorbite dalla esauriente motivazione attestante l’esistenza di un concreto contributo fornito dall’imputato, esaminando del predetto un comportamento protratto nel tempo, onde sarebbe stato ininfluente il dato rilevato dalla difesa appellante, circa il compimento dei quattordici anni nel mese di aprile 2000.

In secondo luogo la valutazione della capacità del minore resta valutata adeguatamente dalla Corte territoriale ove la Corte rileva che il prevenutole sin da quando era non imputabile aveva custodito armi ed aveva fatto da corriere della droga, oltre ad essere spacciatore al minuto, era qualificabile come "soggetto pronto ai comandi, disponibile ad assecondare le necessità del gruppo e a sostenere i programmi criminali" affermando in conclusione, che il G. aveva fornito "un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, che ha avuto un’effettiva rilevanza causale nell’operatività dell’associazione mafiosa e nel rafforzamento delle capacità operative della stessa dirette alla realizzazione del suo programma criminoso". 5 – Alla stregua della specifica e coerente motivazione innanzi richiamata, devono ritenersi manifestamente infondati i rilievi della difesa inerenti alla carenza di motivazione sull’elemento psicologico del reato.

6 – Quanto al sesto motivo di ricorsoci rileva che le deduzioni difensive tendenti a sostenere l’illogicità del percorso argomentativo della sentenza in relazione alla esclusione dell’aggravante L. n. 152 del 1991, ex art. 7 ed alla mancata applicazione dell’ipotesi enunciata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, appaiono ininfluenti e prive di pregio, in quanto restano ripetitive delle questioni trattate in riferimento alla capacità del minore, e superate dal contenuto della complessiva motivazione resa dalla Corte territoriale, mentre resta evidente il significativo ruolo svolto in concreto dall’imputato, dci per sè preclusivo di ritenere applicabile, anche per la fattispecie ex art. 73 citato, la diminuente contemplata dal quinto comma, che la difesa si limita ad invocare senza addurre alcun dato specifico favorevole al predetto imputato.

Deve altresì rilevarsi che la mancata applicazione di detta diminuente resta incensurabile in sede di legittimità essendo rimessa alla valutazione strettamente riservata al potere discrezionale del Giudice di merito, che ha compiutamente valutato la gravita della condotta criminosa.

7 – Da ultimo si rileva che restano inammissibili le doglianze difensive contenute nel motivo riguardante la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b, c ed e relative alla determinazione della pena ed alla mancata applicazione delle attenuanti generiche, avendo la Corte territoriale reso specifica motivazione sul diniego delle attenuanti, secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p. e stigmatizzando la mancanza di segni di resipiscenza del minore, onde deve ritenersi incensurabile tale valutazione, ritenendo in tal senso la congruità della pena inflitta in concreto.

Pertanto la Corte deve rigettare il ricorso.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *