Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-04-2011, n. 8973 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ricorso.
Svolgimento del processo

Con ricorso del 19 settembre 2008 F.G. proponeva reclamo avverso il decreto con cui il Tribunale di Catania aveva dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza dall’azione, la domanda di risarcimento danni, dallo stesso proposta ai sensi della L. n. 117 del 1988 nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di B.G., C.C. e R.F.. Le ragioni del reclamo consistevano in una censura d’incostituzionalità del "filtro d’ammissibilità" previsto dalla legge citata che veniva a determinare una disparità di trattamento a beneficio del cittadino- magistrato rispetto agli altri cittadini, nella deduzione della nullità del provvedimento per non essere stato esso reclamante "ascoltato" in primo grado, nell’insussistenza della dichiarata decadenza. La Corte di Appello di Catania con ordinanza depositata in data 12 gennaio 2009 rigettava il reclamo e condannava il reclamante alla rifusione delle spese. Avverso la detta ordinanza il F. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.

Resiste con controricorso il B.. Il ricorrente ha infine depositato memoria difensiva a norma dell’art. 378 del c.p.c..
Motivi della decisione

Giova evidenziare in via preliminare che il ricorso proposito dal F., in data 10.2.2009, è stato ritualmente notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, presso l’Avvocatura dello Stato, che la rappresenta ope legis, e che, nello stesso giorno, il ricorso risulta altresì depositato presso la cancelleria della Corte di Appello di Catania.

Passando all’esame del ricorso, va rilevato che, con la prima doglianza, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato la L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2 "travisato ed erroneamente interpretato dal Collegio del reclamo, il tutto in forza dell’art. 360 c.p.c., punto 1 e 5".

Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia la seconda doglianza, senza alcuna indicazione delle norme di legge che sarebbero state violate – sussisterebbe la "violazione del silenzio serbato dal dott. B.G., Procuratore della Repubblica di Caltanisetta, per aver esso Magistrato taciuto alla Corte di Appello di Catania, che aveva iniziato azioni penali in Catania nei confronti del resistente, il Magistrato agi nelle veste Istituzionali e non da semplice cittadino".

Il ricorrente ha quindi concluso i motivi di impugnazione con il seguente quesito di diritto: "La Corte d’appello di Catania doveva pronunciarsi sull’ammissibilità della domanda risarcitoria nei confronti del dott. B. e la Presidenza del Consiglio dei Ministri in quanto la L. n. 111 del 1998, art. 4, comma 2 così espone: L’azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinar di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommar, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno, il ricorrente esercitò provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. nel mese di maggio 2007, non sono previsti nell’ordinamento processuale altri rimedi. Dunque la norma è chiara nel senso che la domanda si propone nell’ambito dove si è verificato il fatto che ha cagionato 11 danno dunque l’ambito circoscritto è il Tribunale di Termini Imerese e non certamente Caltanisetta dove il dott. B.G. svolge la sua attività ed è inconferente senza alcun presupposto giuridico la tesi della Corte di Appello di Catania, che nell’azione di impugnazione del 2007 non era presente il dott. B.G.".

Sia l’una che l’altra censura sono inammissibili. E ciò, per svariate considerazioni. In primo luogo, deve rilevarsi come nel caso di specie il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., non sia stato formulato correttamente, nel senso che quello formulato dal ricorrente, peraltro cumulativamente, non consente assolutamente l’individuazione dei principi di diritto posti alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, dei diversi principi la cui applicazione ad opera della Corte di cassazione possa condurre a una decisione di segno diverso. Inoltre, il quesito è scritto in maniera confusa come risulta di ovvia evidenza dal rilievo che il ricorrente, dopo aver riportato il contenuto dell’art. 4, comma 2 a proposito dei termini di decadenza relativi alla proponibilità dell’azione, accenna alla diversa questione della competenza territoriale.

Ancora, deve sottolinearsi come il ricorrente – e tale considerazione riguarda in modo specifico la seconda doglianza – abbia assolutamente omesso, di indicare le norme di diritto che sarebbero state violate dalla Corte territoriale e su cui si fonda la doglianza. Ora, pur aderendo all’orientamento giurisprudenziale (Cass. 26091/05) secondo cui l’indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, occorre comunque tener presente che si tratta di un elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti dell’impugnazione, ragion per cui la mancata indicazione delle disposizioni di legge fa discendere l’inammissibilità della doglianza qualora gli argomenti addotti, valutati nel loro complesso, non consentano, come nel caso di specie, di individuare le norme e i principi di diritto che si assumono violati.

In terzo luogo, l’inammissibilità deriva dal rilievo che i giudici di seconde cure hanno motivato il rigetto del reclamo sulla base dell’insegnamento della Corte Costituzionale (sent. n. 18 del 1989, sent. n. 5/90), quanto alla prima doglianza; sulla considerazione che la L. n. 117 del 1988, art. 5 non impone la comparizione personale delle parti, quanto alla seconda doglianza; sulla considerazione che il F. era decaduto dall’azione per aver notificato le citazioni oltre la scadenza del biennio dalla data in cui l’azione stessa era esperibile per effetto dell’esaurimento dei mezzi ordinari di impugnazione, quanto all’ultima doglianza.

Fatto sta che l’impugnazione, proposta dal ricorrente, non muove, nella sostanza, alcuna censura alle ragioni poste dalla Corte territoriale a supporto del provvedimento, limitandosi a ripetere i motivi di gravame già formulati con riferimento al decreto emesso in esito al giudizio di primo grado senza contrapporti alla specifica motivazione contenuta nell’ordinanza della Corte di Appello di Catania.

Ora, le ragioni di gravame, per risultare idonee a contrastare la motivazione del provvedimento che si impugna, devono correlarsi con la stesso, in modo che alle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato risultino contrapposte quelle dell’impugnante e volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, mentre nel caso di specie il ricorrente si è limitata a reiterare le medesime questioni sollevate nel ricorso di primo grado, senza muovere doglianze specifiche, atte a contrapporsi alla tesi della Corte di appello. Ma se le ragioni di gravame non si contrappongono in maniera specifica alle considerazioni svolte nel provvedimento impugnato e non sono quindi idonee ad incrinarne il fondamento logico-giuridico, la censura deve essere ritenuta inammissibile per difetto della necessaria specificità, attesa la non riferibilita ‘ della censura al provvedimento impugnato.

Ne deriva l’inammissibilità del ricorso in esame, senza che peraltro occorra provvedere sulle spese a favore del contro – ricorrente.

Ciò, alla luce del rilievo che il controricorso del B., in difetto della prescritta attestazione, non risulta depositato presso la cancelleria della Corte di Appello di Catania, e che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, "in tema di azione per la responsabilità civile del magistrato, il ricorso per cassazione proposto, ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 5 avverso il provvedimento con cui la corte d’appello dichiara inammissibile la domanda, dopo la notificazione deve essere depositato nei termini stabiliti dalla norma stessa nella cancelleria della stessa corte d’appello, la quale, una volta avvenuta la costituzione delle parti e comunque dopo la scadenza del termine per il deposito, dispone la trasmissione degli atti senza indugio alla Corte di cassazione.

Ancorchè la suddetta norma non indichi espressamente la sanzione per l’omissione o la tardività del deposito, essa si individua nella improcedibilità del ricorso, sulla base della regola generale di cui all’art. 369 cod. proc. civ. e tale sanzione è applicabile anche allorquando il ricorso, dopo la notificazione, sia stato depositato direttamente presso la cancelleria della Corte di cassazione. (Cass. n. 1104/06, n. 6255/94, n. 460/97, n. 11294/05 in tema di ricorso per cassazione; sostanzialmente conforme Cass. n. 8260/99, in tema di omesso deposito del controricorso presso la cancelleria del giudice "a quo", come nel caso di specie).
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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