Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-11-2010) 25-02-2011, n. 7218 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Messina, con sentenza del 15.3.2010, confermava la sentenza 30.10.2006 del Tribunale monocratico di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di S. V., B.A. e D.B.G. in ordine al reato di cui:

– al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), per avere realizzato – il D.B. quale legale rappresentante della s.r.l. "Service Costruzioni", società committente, il B. quale direttore dei lavori e lo S. quale titolare dell’impresa costruttrice – un fabbricato a due corpi in totale difformità dalla relativa concessione edilizia, per l’incremento di n. 3 unità immobiliari al piano originariamente destinato a seminterrato non abitativo e di ulteriori n. 3 unità immobiliari al piano previsto come portico di uso comune – acc. in (OMISSIS) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, aveva condannato ciascuno alla pena complessiva – condizionalmente sospesa (con ulteriore concessione di indulto) – di mesi 4 di arresto ed Euro 10.000,00 di ammenda, ordinando la demolizione delle opere abusivamente realizzate.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, il quale ha eccepito:

– la estinzione dei reati ai sensi della L.R. n. 37 del 1985, art. 13;

– la intervenuta prescrizione dei reati medesimi.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

1. D riferimento contenuto nell’atto di gravame al L.R. n. 37 del 1985, art. 13, è errato, poichè tale norma disciplina la costruzione di opere di sostegno e di contenimento in zone vincolate.

Il richiamo corretto, invece, è alla Legge Statale n. 47 del 1985, art. 13, applicabile nella Regione Siciliana ai sensi della L.R. 10 agosto 1985, n. 37, art. 1.

Nel caso in esame, però, non risulta rilasciata concessione in sanatoria a seguito dell’accertamento di conformità già previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 13, ed attualmente dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 36: la relativa richiesta è stata presentata in data 22.6.2005 e, ai sensi del 3 comma della norma medesima, non essendo intervenuta pronuncia entro i 60 giorni successivi alla presentazione, detta richiesta deve intendersi "rifiutate".

L’Amministrazione comunale non ha certamente perduto il potere di provvedere in merito all’istanza, poichè questo può essere legittimamente esercitato anche una volta formatosi il silenzio- rifiuto, ma allo stato non si ravvisa la causa estintiva del reato prevista dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 45.

Il parere (favorevole ma subordinato a prescrizioni) espresso sull’istanza anzidetta dalla Commissione edilizia comunale è privo di propria autonomia funzionale e strutturale e non ha, nè formalmente nè sostanzialmente, valore provvedimentale di atto di assentimento del richiesto provvedimento sanante.

2. Il reato non era prescritto al momento della pronuncia della sentenza impugnata. L’ultimo accertamento risale al 30.6.2004 – allorquando i lavori erano ancora in corso – e la scadenza del termine ultimo di prescrizione coinciderebbe, pertanto, con il 30.12.2008.

Va computata, però (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese) una sospensione del corso della prescrizione per complessivi anni 2 e mesi 1, in seguito a rinvii disposti su richiesta del difensore dal 15.2.2008 al 15.3.2010, non per esigenze di acquisizione della prova nè a causa del riconoscimento di termini a difesa.

Il termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 30.1.2011. 3. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "le parti abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè, per ciascun ricorrente, quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Visti gli arti 607,615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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