Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-04-2011, n. 9080

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’arch. B.S. promosse la costituzione di collegio arbitrale per ottenere dal Comune di Imperia, dal quale aveva avuto incarico in data 19.10.1989 di redigere il Piano Urbano Parcheggi della città, il pagamento, ai sensi dell’art. 2041 c.c., dell’indennizzo per le prestazioni ulteriori effettuate (e sulle quali il Comune negava o l’incarico o, comunque, il riconoscimento dell’utilitas). Il Collegio arbitrale, costituito ai sensi dell’art. 5 del disciplinare d’incarico, con Delib. 7 luglio 2000, ritenuto nullo il contratto per difetto di forma scritta, riconobbe il diritto all’indennizzo ex art. 2041 c.c., con riguardo alle prestazioni di progettazione di quattro parcheggi per i quali vi era stata approvazione regionale e pertanto liquidò al professionista la somma di L. 261.000.000.

Il Comune di Imperia propose impugnazione deducendo: la nullità del lodo per violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità dello stesso per avere ignorato che il contratto si era concluso con la fattispecie della accettazione della proposta contenuta nella Delib. 19 ottobre 1989 e affermato erroneamente che la nota dell’assessore avesse ampliato il contenuto progettuale dell’incarico, la invalidità per avere affermato che vi era stato riconoscimento della utilitas e per indebito riferimento alle tariffe professionali. Con sentenza del 16.4.2005 la Corte di Appello di Genova adita ha rigettato l’impugnazione affermando che:

1. la questione posta al Collegio arbitrale ed oggetto di controversia tra le parti era l’ambito dell’incarico progettuale, discutendosi se quello afferente i parcheggi in disamina fosse o meno compreso nell’originario incarico, e dal B. postulandosi che in difetto dell’incarico il suo credito nascesse dall’arricchimento ingiustificato: era pertanto compreso nel thema decidendi che gli arbitri valutassero la validità dell’accordo sottoposto, e che si affermava essere non comprensivo dell’attività ulteriore, ed era pertanto valida e non viziata ex art. 112 c.p.c., la decisione di ritenere quell’accordo nullo perchè difettante della forma scritta;

2. in ordine alla questione dell’erronea esclusione di un contratto scritto, ravvisabile di contro nell’avere la delibera fatto riferimento ad una proposta dell’archi. B., a parte la inesistenza agli atti di detta proposta, è certo che essa non sussisteva posto che il Comune, lungi dall’accettarla, aveva richiesto di predisporre integrazioni ai progetti di massima (si da controproporre e non accettare);

3. quanto alla pretesa assenza di riconoscimento di utilitas, gli arbitri la avevano ravvisata nella Delib. 19 febbraio 1990 della G.M. di adozione del P.U.P. e quanto alla errata applicazione in sede di indennizzo ex art. 2041 c.c., delle tariffe professionali il lodo aveva utilizzato tali tariffe solo come parametro, ma riducendolo ed integrandolo con valutazione insindacabile;

4. con riguardo, infine, al computo ed alla decorrenza degli accessori sul credito, il lodo aveva rettamente applicato la giurisprudenza di legittimità sui crediti di valore.

Per la cassazione dì tale sentenza il Comune di Imperia ha proposto ricorso il 28.9.2005 con cinque motivi, ai quali ha resistito il B. con controricorso 7.11.2005 contenente ricorso incidentale condizionato contenente un motivo (relativo al fatto che non sia stato ritenuto assorbente il rilievo di esso appellato per il quale tutte le censure in impugnazione del Comune erano in fatto), resistito a sua volta dal controricorso 16.12.2005 del Comune.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ed i difensori hanno discusso oralmente la causa.
Motivi della decisione

Riuniti i ricorsi ex art. 335 c.p.c., ritiene il Collegio che, non condivisibili essendo tutte le censure esposte nel ricorso principale, detto ricorso debba essere rigettato con conseguente assorbimento della impugnazione incidentale condizionata.

Giova preliminarmente rilevare che nè innanzi agli arbitri nè in sede di impugnazione nè, tampoco, nel ricorso a questa Corte (che in materia non può provvedere ex officio) è stata posta l’assorbente questione della improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c., rivolta all’Ente locale per progettazioni commissionate senza alcun previo impegno di spesa nè copertura finanziaria, come imposto nella specie dal previgente del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, comma 4, convertito nella L. n. 144 del 1989 (norme infine approdate nel D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 191 e 194), improponibilità derivante dal fatto che le norme, impositive di sole azioni dirette nei confronti del funzionario deliberante, avrebbero fatto venir meno la necessaria residualità dell’azione nei riguardi dell’Ente locale (in tal senso, e tra le ultime, Cass. n. 12880 e n. 21242 del 2010).

Nel quadro imposto dalla formazione del giudicato interno si esaminano dunque i motivi del ricorso principale.

Con il primo motivo, che mira ad impedire l’applicazione dell’azione ex art. 2041 c.c., sul rilievo della mancata prospettazione della questione di nullità (necessaria premessa della azione residuale), ci si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 1421 c.c.:

posto che – infatti – il thema decidendi sottoposto agli arbitri era solo quello dell’indennizzabilità ex art. 2041 c.c., delle prestazioni rese fuori dell’incarico conferito con Delib. G.M. n. 2253 del 1989, pacifica essendo la riconduzione a tal delibera delle altre prestazioni, avrebbero errato gli arbitri a ritenere l’intero contratto nullo ed avrebbe errato la Corte di Appello a condividere tale iniziativa, e pertanto a condividere la riconduzione ad indennizzabilità dell’intero complesso delle prestazioni.

Il motivo è infondato perchè la Corte di merito ha premesso che era inclusa nella res litigiosa proprio la verifica della conformità a contratto delle prestazioni rese (il Comune infatti sostenendo, contro l’attore, che non vi erano incarichi fuori della delibera e che questa fosse quindi parte del momento negoziale) si che, venendo in applicazione proprio il "contratto" (cfr. Cass. n. 16621 del 2008), la cui "latitudine" era la premessa per ammettere, od escludere,l’azione di ingiustificato arricchimento, ben se ne poteva rilevare ex art. 1421 c.c., la nullità per difetto della necessaria forma e quindi procedere a determinare l’indennizzo, ovviamente per le sole prestazioni ab origine dedotte in causa.

Il secondo motivo tende ad escludere la nullità per inosservanza della appena detta forma e mira pertanto a conservare validità all’intera pattuizione (ed al suo compenso previsto, per l’intero, in L. 10.000); si censura quindi la decisione di non ritenere sussistente il contratto attraverso la giustapposizioone della Delib.

GM n. 2253 del 1989 alla precedente proposta del B., neanche tenendo conto che la delibera di approvazione del PUP era inclusiva della dichiarazione di p.u. dell’opera e quindi presupponeva un progetto compiuto: pertanto gli elementi documentali e quelli di prova orale ad avviso del Comune avrebbero dovuto far convergere verso la considerazione per la quale anche gli interventi localizzati implicavano il conferimento dell’incarico della progettazione di massima, imposta dalla L. n. 122 del 1989; l’incarico quindi, afferente le sole progettazioni di massima, mai avrebbe giustificato il ricorso all’indennizzo ex art. 2041 c.c., nè tampoco la liquidazione dell’importo effettuato.

Il motivo è infondato per l’assorbente rilievo, ben notato dalla Corte territoriale, della inesistenza di equipollenti ad una compiuta e formale convenzione contrattuale. Il B. era un professionista, esterno all’Amministrazione comunale, chiamato a svolgere incarico di progettazione e che al Comune doveva pertanto essere legato, per l’espletamento dell’incarico stesso, da una convenzione contrattuale. E la rilevanza di siffatta convenzione e della forma ad substantiam che, per legge, è imposta è altrettanto evidente, come indiscutibile è la impossibilità di ritenerla surrogata dall’interazione di atti dell’amministrazione con accettazioni per facta concludenza. E’ stato infatti affermato che:

Ai fini della conclusione di un contratto d’opera professionale, che, quando ne sia parte la pubblica amministrazione, va redatto, a pena di nullità, in forma scritta, è irrilevante l’esistenza di una deliberazione dell’organo collegiale dell’ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico al professionista, richiamando ed approvando anche lo schema del disciplinare, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in atto contrattuale, sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente stesso e dal professionista. Detta deliberazione non costituisce, infatti, una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all’ente pubblico, avente per destinatario il diverso organo dell’ente legittimato ad esprimere la volontà all’esterno e carattere meramente autorizzatolo (in tal senso è la massima della sentenza n. 17695 del 2003; si rammentano anche, da ultimo, Cass. n. 10299 del 2010 e, tra le altre, Cass. nn. 14570 del 2004 – 3042 del 2005 – 24296 del 2005 – 17650 del 2007 – 27407 del 2008). La Corte di merito ha applicato tale principio esattamente notando la peculiarità di un rapporto solo interlocutorio tra la nota dell’Assessore 4.11.1989 e la lettera dell’archi. B. e valutandola come estranea allo schema della convenzione, motivazione logicamente ineccepibile e neanche validamente contestata.

Con il terzo motivo si lamenta la indebita affermazione del riconoscimento della utilitas, posto che i progetti di massima non erano stati proficuamente utilizzati dato che solo per uno di essi era pervenuto il finanziamento regionale e che la sola approvazione del PUP sulla loro base, con Delib. n. 398 del 1990, non avrebbe determinato alcun arricchimento della P.A. Il motivo è del tutto infondato. La motivazione sul riconoscimento è corretta ed in diritto conforme a Cass. 3322 e 24646 del 2010 (al seguito di S.U. n. 1025 del 1996) e si fonda sul rilievo, di totale evidenza logica, per il quale l’approvazione di un P.U.P., e cioè di un primario strumento urbanistico dell’Ente locale, rappresenta un oggettivo rilevante beneficio per l’Amministrazione comunale.

Con il quarto motivo ci si duole dei criteri di liquidazione dell’indennizzo da parte del Collegio, accettati dalla Corte di Appello e sfociati in una somma di ammontare esagerato. Il motivo è una inammissibile valutazione di fatto che neanche esamina i corretti passaggi della Corte di Appello, che ha rettamente escluso la legittimità di una diretta applicazione della tariffa professionale in sede di liquidazione dell’indennizzo (al seguito di Cass. n. 3905 del 2010 e n. 21292 del 2007) ed ha invece convalidato la sua assunzione, da parte del Collegio, come parametro della liquidazione, alla quale sono state applicate idonee decurtazioni.

Con il quinto motivo, infine, ci si duole della fissazione della decorrenza degli accessori al dì dell’illecito in luogo della data della domanda: la tesi è inconsistente, detti accessori spettando dalla data del commesso illecito, come ben affermato dalla Corte di Genova al seguito dell’indirizzo di questa Corte (Cass. n. 5278 e n. 10884 del 2007). Le spese si regolano secondo soccombenza.
P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, condanna il ricorrente Comune a corrispondere al controricorrente le spese, determinate in Euro 4.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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