Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-04-2011, n. 9052 Lavoro domestico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda proposta da M.B. nei confronti di F.H.J., poi estesa anche nei confronti di L. A., avente ad oggetto la condanna di costoro, previo riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro domestico intercorso con gli stessi, al pagamento della complessiva somma di Euro 13.260,28 a titolo di differenze retributive.

La predetta Corte poneva a base del decisum il rilievo fondante che dalle dichiarazioni del teste, escusso nel corso del procedimento di secondo grado, emergeva che la M. viveva nello stesso appartamento della L. e del F. -il cui relativo contratto di locazione risultava stipulato a nome di entrambi- e che vi era in relazione all’attività – propria della collaborazione domestica- svolta dalla M. una specifica emanazione di ordini da parte della L..

Avverso questa sentenza la L. ricorre in cassazione sulla base di un’unica censura.

Resiste con controricorso la M. che deposita memoria illustrativa.

F.H.J. non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

Con l’unica censura la ricorrente deduce omessa e, comunque, insufficiente motivazione in ordine alla eccepita carenza di legittimazione passiva di essa L..

La censura è infondata.

Invero la Corte territoriale, ancorchè non affronti in maniera autonoma la questione di. legittimazione passiva della L., tuttavia fornisce una specifica argomentazione in ordine alla sussistenza dell’eccepita carenza di legittimazione passiva della attuale ricorrente.

Tanto è, infatti, desumibile, dal riferimento, nella sentenza impugnata, e alla circostanza che il contratto di locazione dell’appartamento, presso il quale la M. aveva svolto la propria attività di domestica, risultava stipulato a nome anche della stessa L., e, soprattutto, al rilevo che quest’ultima risultava aver impartito specifici ordini in relazione all’espletamento del lavoro che doveva essere svolto dalla predetta M., come emerge dalla deposizione del teste K. sentita in sede di gravame.

Elemento quest’ultimo che, in alcun modo contestato dall’attuale ricorrente, vale, certamente, come affermato dalla Corte territoriale – laddove asserisce la sussistenza della subordinazione nei confronti di entrambi gli appellati -, ad identificare il datore di lavoro del rapporto dedotto in giudizio, e quindi, la giuridicamente corretta motivazione della ritenuta, sia pure in via implicita, infondatezza dell’eccepito difetto di legittimazione passiva.

Il ricorso in conclusione va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 28,00 per esborsi, oltre Euro 2.500,00 per onorario ed oltre spese generali, IVA, CPA. Nulla per le spese della parte rimasta intimata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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