Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-04-2011, n. 9051 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Torino, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda avanzata da A.F., proposta nei confronti della società Il Mottino, avente ad oggetto, previo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato con detta società, la condanna di quest’ultima al pagamento delle differenze retributive conseguenti al suo corretto inquadramento nel 5 livello del CCNL pubblici esercizi, nonchè la declaratoria d’inefficacia del licenziamento intimatogli oralmente.

A fondamento della decisione la Corte di appello, dopo aver accertato, sulla base della espletata istruttoria, la natura subordinata del rapporto di lavoro,poneva il rilievo, per un verso che per le mansioni svolte l’ A. doveva essere inquadrato nel reclamato 5^ livello, e dall’altro che, risultando provato il licenziamento orale ne andava dichiarata l’inefficacia.

Avverso questa sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso l’ A. che, tra l’altro, deduce l’inammissibilità dell’impugnazione per violazione degli artt. 366 e 366 bis c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo motivo la società, deducendo violazione dell’art. 2094, 2967 e seg. c.c. nonchè art. 116 c.p.c., formula, ex art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti di diritto: 1."Accerti la Suprema Corte se vi sia stata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2094 c.c.";

2. "Accerti la Suprema Corte se vi sia stata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e ss.";

3. "Accerti la Suprema Corte se vi sia stata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.".

Con la seconda censura la società, allegando vizio di motivazione, indica, ex art. 366 bis c.p.c.,che "non si comprende, per i motivi su esposti, quale sia stato il percorso logico-giuridico che ha condotto la Corte territoriale a ritenere provata la volontà di parte datoriale di non proseguire nel rapporto, emergendo sul punto il carattere contraddittorio della motivazione de qua".

Con il terzo motivo la società, denunciando violazione dell’art. 1363 c.c. in relazione all’art. 274 c.c.n.l. turismo-settore pubblici esercizi ed art. 112 c.p.c., prospetta, in base al richiamato art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti di diritto: 1."Accerti la Suprema Corte se vi sia stata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1363 c.c. in relazione all’art. 274 c.c.n.l. turismo-settore pubblici esercizi";

2. "Accerti la Suprema Corte se vi sìa stata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.".

Le censure per come sono formulati i quesiti di diritto e per come è indicato il fatto controverso sono inammissibili per violazione del citato art. 366 bis c.p.c..

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha chiarito che il quesito di diritto, previsto dalla richiamata norma di rito, nel caso di denuncia di violazione di legge ha lo scopo precipuo di porre in condizione la Cassazione, sulla base della lettura del solo quesito, di valutare immediatamente il fondamento della dedotta violazione (Cass. 8 marzo 2007 n. 5353) ed, a tal fine, è imposto al ricorrente di indicare, nel quesito, anche l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759), in modo tale che dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in maniera univoca l’accoglimento od il rigetto del ricorso (Cass. S.U. 28 settembre 2007 n. 20360).

In tale prospettiva questa Corte ha affermato che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759 cit.).

L’affermazione di un principio di diritto da parte di questa Corte, del resto, non è fine a sè stessa, ma è necessariamente strumentale, pur nella funzione nomofilattica, alla idoneità o meno del principio da asserire a determinare la cassazione della sentenza impugnata.

Relativamente poi, all’onere della specifica indicazione, nel caso di denuncia di vizio di motivazione, del fatto controverso questa Corte ha precisato che detta indicazione va intesa quale sintesi – omologa al quesito di diritto – delle ragioni per le quali vi sarebbe il dedotto difetto della motivazione e non mera affermazione di una diverso percorso logico o di contraddittorietà della argomentazione (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063).

Alla luce di tali principi il ricorso in esame va dichiarato inammissibile in quanto, relativamente alla denunciate violazioni di legge, nella formulazione dei quesiti di diritto, difetta del tutto l’indicazione, come si desume dalla su riportata trascrizione degli stessi, non solo della diversa regola iuris posta a base della sentenza impugnata, ma anche di quella che secondo il ricorrente sarebbe corretta, sicchè non è consentito a questa Corte di valutare, sulla base del solo quesito, se dall’accoglimento del motivo possa o meno derivare l’annullamento della sentenza impugnata.

Relativamente, poi, al dedotto vizio di motivazione, la contraddittorietà o insufficienza della motivazione è meramente affermata essendo del tutto assente qualsiasi riferimento alle ragioni che rendono, in caso d’insufficienza, inidonea la motivazione a giustificare la decisione, in caso di omissione, decisivo il difetto di motivazione e in caso di contraddittorietà, non coerente la motivazione.

Peraltro, pur a voler superare la lacunosità della indicazione del fatto controverso, devesi rilevare che la censura in parola si traduce, sostanzialmente, nel proporre una diversa lettura delle risultanze processuali – tra l’altro nemmeno trascritte, in adempimento dell’onere di autosufficienza, nel ricorso – come tale inammissibile dinanzi al giudice di legittimità al quale non è conferito il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito (Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 2049).

Il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 21,00 per esborsi, oltre Euro 3.000,00 per onorario, spese generali, IVA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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