Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-02-2011) 28-02-2011, n. 7591 Dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La CdA di Reggio Calabria, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato NDP nei confronti di C.R. – impiegata, addetta all’Ufficio protocollo della Comunità Montana Aspromonte Orientale – in ordine al reato a lei ascritto, per essere detto reato estinto per prescrizione; ha integralmente confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Locri nei confronti di R.A., segretario comunale.

I capi di imputazione cui si riferisce la predetta sentenza sono i seguenti: C. e R., capo B): concorso in falso materiale ( artt. 110 e 117 c.p., art. 476 c.p., comma 2) per avere alterato il registro protocollo dell’ente predetto, annotando al progressivo n. 202, in corrispondenza della data 2.2.1998. una missiva, contenete una proposta transattivi proveniente da S.M., pervenuta in data successiva a quella prima indicata.

Il solo R., capi C) e D): falsità ideologica (art. 479 in relaz.ne art. 476 c.p.) per avere, nella qualità sopra indicata, annotato sulla missiva di cui al capo A) il n. protocollo 202 e la data di ricezione 2.2.1998 e per avere poi sostituito detto documento con altra proposta sempre proveniente dallo S., di contenuto parzialmente difforme dalla prima, ancora annotando il n. protocollo 202 e la data sopra riportata.

I giudici del merito hanno fondato il loro convincimento essenzialmente sulle dichiarazioni – auto ed eteroaccusatorie – della C. e sul contenuto di conversazioni intercettate tra la predetta e il R.. Ricorre per cassazione il difensore del R. e deduce:

1) inosservanza di norme processuali, atteso che mancano agli atti (scil. nel fascicolo del dibattimento), come attestato dalla cancelleria della CdA; i decreti autorizzativi delle eseguite intercettazioni (al proposito, il ricorrente produce attestazione della relativa cancelleria). Orbene, in tal maniera, è stato impedito al giudice del dibattimento di sindacare la regolarità, formale e sostanziale, di tali atti autorizzativi, in mancanza dei quali, il contenuto delle telefonate intercettate deve ritenersi inutilizzabile.

2) mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al dettato dell’art. 192 c.p.p., comma 3, atteso che la CdA non ha dato minimamente conto in motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto attendibile la C.; costei, in realtà, aveva tutto l’interesse ad addossare al R. l’intera responsabilità della pretesa falsificazione. La stessa ha inoltre reso dichiarazioni incoerenti e intrinsecamente contraddittorie, atteso che non ha saputo esser precisa circa il momento in cui la falsificazione sarebbe stata consumata ("una mattina di molto successiva ai (OMISSIS)", ovvero, "alcuni giorni dopo il (OMISSIS)"). Dall’esame del registro in questione, si evince che, non solo al n. 202 è riportata una doppia iscrizione di posta pervenuta, ma anche al n. 200; ciò sta chiaramente a provare l’approssimazione e la superficialità con le quali la C. svolgeva il suo lavoro. Anche con riguardo a tale irregolare annotazione, la donna altro non ha saputo dire, a sua giustificazione, se non che era stata istigata dal R..

Nella sostanza, poi, nessuno ha contestato il contenuto veritiero della proposta transattiva dello S. (a fronte di un credito vantato verso la Comunità Montana, egli dichiarava di rinunziare agli interessi maturati); di talchè non si comprende perchè R. avrebbe dovuto apporre una data non veritiera ((OMISSIS)) su entrambi i documenti, i quali, nel loro nucleo essenziale, erano assolutamente identici. In realtà, non esiste prova alcuna che le due missive dello S. siano giunte successivamente (piuttosto che prima) della delibera di giunta che autorizzava la liquidazione.

Va anche sottolineato che il credito dello S. era esigibile, essendosi munito lo stesso di due decreti ingiuntivi, che, non essendo stati opposti, costituivano titolo esecutivo. A tutto voler concedere, infine, non si comprende perchè R. avrebbe dovuto richiedere la complicità della C., quando egli stesso avrebbe potuto operare l’annotazione sul registro. Considerato in diritto La prima censura è infondata.

Le questioni relative alla formazione del fascicolo del dibattimento, ai sensi dell’art. 491 c.p.p., comma 2, vanno proposte entro il termine indicato nel comma 1 del medesimo articolo, vale a dire subito dopo che siano state compiute, per la prima volta le attività relative all’accertamento della costituzione delle parti. Su di esse il giudice deve decidere immediatamente.

Naturalmente tale termine non deve (perchè non può) essere rispettato quando l’eventuale violazione si sia concretizzata in un momento successivo (ASN 199308602 – RV 195171). Ma ciò non può che riguardare una violazione "in positivo", vale a dire per la non consentita immissione di atti nel predetto fascicolo, non "in negativo", cioè per la mancanza di atti in esso.

Detta mancanza non può che verificarsi ab origine (tranne il caso patologico dello smarrimento o della sottrazione) e dunque è nel termine ex art. 491 c.p.p. che la parte interessata deve rappresentarla e farla valere.

Nel caso in esame, come si evince dalla lettura della sentenza impugnata (fol. 8 ne ss.), la difesa dell’imputato, nei primi due gradi di giudizio, non ha mai rilevato, nè fatto rilevare, tale mancanza, pur contestando la utilizzabilità delle eseguite intercettazioni, ma su ben altro presupposto (essere stata l’attività captativa autorizzata sulla base di irrituali dichiarazioni della C.).

D’altronde, con la censura sub 1), il ricorrente non assume la inesistenza del decreto autorizzativo, ma solo la sua "non presenza" in atti.

Ma tale secondo rilievo, per le ragioni sopra indicate, è intempestivo, essendo – appunto – maturata la preclusione ex art. 491 c.p.p., espressione di quel principio di "lealtà processuale", che connota (dovrebbe connotare) l’operato delle pur contrapposte parti nella realtà giudiziaria.

La seconda censura è inammissibile per manifesta infondatezza e perchè tendente a una alternativa ricostruzione "in fatto" dell’accaduto.

La attendibilità della C. (la quale, non si dimentichi, ha accusato il R., ma ha accusato anche sè stessa) è affermata dalla CdA (cfr. fol. 9), in ragione della esattezza e precisione delle sue dichiarazioni dibattimentali e predibattimentali. Queste ultime furono valutate dai giudici del merito come del tutto congruenti con il contenuto dei burrascosi colloqui che la stessa ebbe con il R., colloqui intercettati e, per quel che si è detto, perfettamente utilizzabili ai fini del decidere.

Dunque il R. è accusato con piena consapevolezza dalla C. (nelle dichiarazioni rese agli inquirenti), ma è accusato dalla stessa – in una dimensione, per c.d. interpersonale – anche quando ella non poteva immaginare che le sue parole sarebbero stata ascoltate e utilizzate contro il coimputato.

Che la doppia iscrizione (al n. 202) esista non è contestato da alcuno e la CdA non manca di rilevare la irregolarità e la intrinseca contraddizione dell’avere attribuito il medesimo numero di protocollo a due missive "in entrata". Di tale singolare circostanza la C. da una spiegazione, che i giudici di merito, con ragionamento certo non illogico, mostrano di condividere e che considerano riscontrata sulla base delle acquisite conversazioni intercettate.

Il fatto che quella per cui è processo non sia l’unica irregolarità di registrazione, poi, è circostanza che, nella sua ambiguità, non rileva, atteso che le altre eventuali falsità tanto potrebbero essere addebitate alla eventuale disinvolta gestione e dalla C., quanto alle illecite pressioni del R.; nè ha pregio l’argomento in base al quale il secondo avrebbe potuto operare egli stesso la (seconda) annotazione in corrispondenza del n. 202, atteso che ciò avrebbe aggiunto, evidentemente, singolarità a singolarità, anche perchè la sua grafia già appare su entrambe le lettere fatte pervenire dallo S..

Infine, irrilevante è l’argomento del cui prodest, atteso che, come è noto, per la sussistenza dei delitti di falso (materiale e ideologico) in atto pubblico è pacificamente sufficiente il dolo generico, vale a dire la consapevolezza della immutatio veri, con la conseguenza che l’elemento psicologico va escluso solo quando la falsità risulti essere oltre o contro la volontà dell’agente, come quando risulti dovuta soltanto ad una leggerezza o negligenza di costui (tra le tante, ASN 199903004 – RV 212939). E che tale non sia il caso in esame la sentenza lo dimostra, sia pure per implicito, in maniera incontestabile, anche sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate.

Conclusivamente il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del grado.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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