T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 28-02-2011, n. 367 Condominio di edifici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 20 e 21 maggio 2010, depositato il 4 giugno 2010, la sig.ra P.E., proprietaria di un immobile sito in Salerno alla via dei Mille n. 36, interessato da lavori edilizi di cui alla DIA presentata il 30112009 (prot. n. 213089) proponeva ricorso giurisdizionale avverso l’ordinanza di sospensione dei lavori disposta nei suoi confronti con atto n. 32 del 1342010.

Con articolata prospettazione lamentava: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 22 e 23 del dpr n. 380/2001 in combinato disposto con gli artt. 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990 – carenza di potere in concreto – travisamento dei fatti – difetto di motivazione – eccesso di potere – contraddittorietà – illegittimità manifesta; 2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. in combinato disposto con gli artt. 11, 23 del dpr n. 380/2001 – difetto di motivazione – eccesso di potere ed illegittimità manifesta.

Con successivo atto di motivi aggiunti, notificato il 3 e 5 agosto 2010, depositato il 12 agosto 2010, la sig.ra P. impugnava l’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi relativa all’apertura della nuova finestra, nelle more adottata dal Comune con atto n. 60 del 972010.

Lamentava: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 33, 22, 23 del dpr n. 380/2001 in combinato disposto con gli artt. 21 quinquies e 21 nonies l. n. 241/1990 – carenza di potere in concreto- travisamento dei fatti – difetto di istruttoria e motivazione – eccesso di potere – contraddittorietà – illegittimità manifesta; 2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. in combinato disposto con gli artt. 11, 23 dpr n. 380/2001 – difetto di motivazione – eccesso di potere – illegittimità manifesta; 3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 33 e 3 del dpr n. 380/2001 – difetto di motivazione – illogicità manifesta – travisamento dei fatti- difetto di istruttoria.

Instauratosi il contraddittorio, il Comune intimato si costituiva in giudizio, rilevando l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

La causa veniva discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 1212011.
Motivi della decisione

Il ricorso originario, proposto avverso l’ordinanza di sospensione dei lavori n. 32 del 1342010 è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Invero, tale provvedimento risulta essere stato adottato ai sensi dell’art. 27, comma 3, del dpr n. 380/2001, norma che ne limita l’efficacia temporale a 45 giorni, termine che ad oggi risulta ampiamente decorso.

A parte la rilevata estinzione degli effetti del provvedimento, deve, poi, essere evidenziato che l’Amministrazione ha adottato un provvedimento sanzionatorio definitivo, con l’ordinanza n. 60 del 972010, che ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi relativamente all’apertura della nuova finestra.

Di conseguenza, alcuna utilità potrebbe trarre parte ricorrente da una decisione di merito del Tribunale, considerato che – da una parte – l’atto di sospensione ha perduto efficacia allo spirare del termine di legge e – dall’altra – che la lesione alla sua sfera giuridica, in relazione all’ulteriore svolgersi dell’azione amministrativa, origina nell’attualità dalla sopravvenuta ordinanza di ripristino, la quale ha sostituito, quale definitiva determinazione sanzionatoria, la misura meramente cautelare della sospensione.

Ciò posto, può passarsi all’esame del ricorso per motivi aggiunti, con il quale è stata gravata l’ordinanza del Dirigente del Servizio Trasformazioni Urbanistiche n. 60 del 972010, la quale ha disposto il ripristino dello stato dei luoghi relativamente all’apertura della nuova finestra.

La lettura del provvedimento, in uno ai richiamati rapporti istruttori ed alla precedente ordinanza di sospensione dei lavori, evidenziano le ragioni del disposto ripristino, individuato nella mancanza di idoneo atto di consenso condominiale, ritenuto necessario in relazione alla circostanza che l’apertura della finestra avveniva sul muro perimetrale esterno del fabbricato, da ritenersi bene condominiale.

Vi è, invero, richiamo al rapporto prot. 66339 del 3132010, nel quale si afferma che il verbale dell’assemblea condominiale del 1232010 "appariva insufficiente ai fini della legittimazione della DIA ed inficiante l’inizio dei lavori" e si richiede "la sospensione dei lavori al fine di regolarizzare la DIA con l’esibizione di idoneo atto di consenso condominiale".

Vi è, poi, riferimento all’ordinanza di sospensione dei lavori n. 32 del 1342010 ed al successivo rapporto dello Sportello Unico per l’Edilizia – Servizio Trasformazioni edilizie prot. n. 137331 dell’872010, con il quale viene comunicato "che non risulta ad oggi depositato alcun ulteriore documento utile condominiale per cui si propone l’adozione di ordinanza dirigenziale per il ripristino dello stato dei luoghi relativamente all’apertura della nuova finestra".

La lettura della motivazione del provvedimento di ripristino, dunque, riconduce la mancata legittimazione alla esecuzione dei lavori edilizi, oggetto di DIA, e, dunque, la sostanziale abusività degli stessi alla mancanza del consenso condominiale all’apertura della finestra sulla parete esterna del fabbricato.

Di conseguenza, il punto centrale della presente controversia – che ha ad oggetto la legittimità del provvedimento amministrativo, da esaminarsi in relazione al suo contenuto dispositivo e motivazionale ed ai motivi di ricorso proposti dal privato – consiste nello stabilire se, ai fini della legittimazione all’intervento edilizio di apertura di una finestra, da realizzarsi in corrispondenza ed a servizio dell’appartamento di proprietà esclusiva del singolo condomino, nel muro esterno di un fabbricato sia necessario ovvero non sia dovuto l’assenso del condominio.

Ritiene il Tribunale che la suddetta questione, con riferimento alla fattispecie concreta oggetto del presente giudizio, vada risolta in senso negativo, ritenendosi non necessario l’assenso condominiale ai fini della legittimazione del singolo condomino alla realizzazione dell’intervento.

A fondamento di tale conclusione sovvengono i principi enunciati dalla giurisprudenza in materia.

E’ stato in generale affermato (cfr. Cons. Stato, IV, 452010, n. 2546; IV, 10122007, n. 6332) che in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, ma a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra condomini.

Di conseguenza, il preventivo assenso condominiale è stato ritenuto non necessario tutte le volte in cui tali limiti non siano ictu oculi superati, nel caso in cui l’intervento edilizio si risolva nell’esercizio legittimo della facoltà d’uso della cosa comune, riservata al singolo comproprietario/condomino.

In particolare, poi, la giurisprudenza amministrativa ritiene che, in caso di realizzazione di un’opera da parte di un singolo sulle parti comuni dell’edificio, ma strettamente pertinenziale alla propria unità immobiliare, l’ente locale non è tenuto a richiedere il previo assenso del condominio interessato ovvero degli altri condomini (cfr. TAR Liguria, I, 2412002, n. 63; 652010, n. 2295), assumendosi che il singolo condomino ha facoltà di eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni dell’edificio, siano strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare, sotto i profili funzionale e spaziale, con la conseguenza che egli va considerato come soggetto avente titolo per ottenere il provvedimento abilitativo e che il mancato assenso del condominio concerne esclusivamente tematiche privatistiche, cui resta estranea l’amministrazione (cfr. Cons. Stato, VI, 922009, n. 717).

Il suddetto principio costituisce evidentemente applicazione della norma contenuta nell’articolo 1102 c.c., in base al quale "ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto".

La portata applicativa della disposizione risulta ben delineata dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., II, 2772006, n. 17099), che ha rilevato quanto segue: "In materia questa Corte ha avuto modo di affermare più volte (Cass. 10008/1991; Cass. 3368 e 7752/1995; Cass. 1554/1997), che, a differenza delle innovazioni – configurate dalle nuove opere le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto ne rendono impossibile l’utilizzazione secondo la funzione originaria e che debbono pertanto essere deliberate dall’assemblea ( art. 1120 c.c., comma 1) nell’interesse di tutti i partecipi alla comunione – le modifiche alle parti comuni (contemplate dall’art. 1102, comma 1) possono essere apportate dal singolo condomino nel proprio interesse ed a proprie spese al fine di conseguire un’utilità maggiore e più intensa: sempre che non alterino la normale destinazione della cosa comune e non ne impediscano l’altrui pari uso (sentt. cit. nonché Cass. 10453/2001; 12569/2002; 8830/2003). In applicazione di tali principi è stato pertanto coerentemente affermato (Cass. 1498/1998) che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può aprire su di esso degli abbaini e delle finestre per dare aria e luce alla sua proprietà. Invero, tali opere – ove eseguite a regola d’arte e tali da non pregiudicare la funzione di copertura propria del tetto né da impedire l’esercizio da parte degli altri condomini dei propri diritti sulla cosa comune – costituiscono soltanto modifiche e non innovazioni della cosa comune e, pertanto, non necessitano, come invece, le innovazioni vere e proprie, della previa approvazione dell’assemblea dell’edificio in condominio ex artt. 1120 e 1336 c.c.".

Osserva il Tribunale che la realizzazione di opere, ancorché incidenti su parti comuni dell’edificio, strettamente pertinenti alla unità immobiliare del singolo condomino sotto i profili funzionale e spaziale è vicenda evidentemente inquadrabile nella categoria delle modifiche consentite ex art. 1102 c.c., atteso che trattasi di interventi che, per consistenza ed ubicazione, non alterano la normale destinazione della cosa comune e non impediscono l’esercizio da parte degli altri condomini dei propri diritti sulla cosa comune.

Questo è quanto si verifica, in analogia all’ipotesi di realizzazione di abbaini e finestre sul tetto comune, nel caso di apertura di una finestra sul muro perimetrale dell’edificio condominiale.

Con particolare riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio depongono per la sussumibilità del’opera nell’ambito di operatività dell’articolo 1102, comma 1, c.c. le seguenti circostanze:

la finestra, come si evince dalla documentazione fotografica versata in atti, ha dimensioni ridotte ed è stata aperta in corrispondenza dell’appartamento di proprietà esclusiva della ricorrente;

essa, pertanto, ha una collocazione tale (muro perimetrale verticale e sua ordinaria non praticabilità in relazione al fatto che trattasi di piano sopraelevato, corrispondenza alla proprietà esclusiva di parte ricorrente) da non pregiudicare l’utilizzo che della parte comune interessata possano fare gli altri condomini;

la funzione di protezione del muro esterno risulta comunque assicurata, attese le ridotte dimensioni della finestra e considerato che la stessa costituisce comunque un elemento di chiusura, anche se destinato a dare aria e luce alla unità immobiliare corrispondente;

non risulta che l’opera – per le sue ridotte dimensioni e per la presumibile considerazione (in relazione all’epoca del fabbricato ed alle modalità costruttive dello stesso quali emergenti dalla documentazione in atti) della sua realizzazione in una tompagnatura esterna non portante – sia tale da pregiudicare la stabilità del fabbricato;

sotto il profilo estetico, essa non costituisce elemento connotato da carattere di "novità", considerato che al piano sottostante, in perfetta corrispondenza ad essa, e già presente altra finestra di identica forma e dimensioni, rispetto alla quale l’opera realizzata dalla ricorrente si pone in immediata continuità verticale.

Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, deve ritenersi la fondatezza del secondo motivo di ricorso, con conseguente annullamento dell’ordinanza di ripristino in questa sede gravata.

Resta assorbito l’esame dei residui motivi di ricorso.

Le spese del giudizio, in relazione alla peculiarità della controversia, possono essere integralmente compensate tra le parti costituite.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

dichiara il ricorso originario improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse;

accoglie il ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla l’ordinanza n. 60 del 972010, di ripristino dello stato dei luoghi.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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