Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-04-2011, n. 9252 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V.M., deducendo l’inadempimento da parte della s.p.a.

ESI dell’obbligo contrattualmente stabilito, con contratto preliminare datato 20 luglio 2001, di assumerlo non appena avesse terminato il periodo di preavviso dovuto al precedente datore di lavoro, quale dirigente, con applicazione del C.C.N.L. dirigenti industria e la determinazione dello stipendio di L. 10.000.000 nette mensili e di alcuni benefits, aveva promosso avanti al Tribunale di Savona l’azione giudiziaria diretta, secondo quanto ne riferisce la sentenza qui impugnata, all’accertamento della costituzione di fatto dal 5 novembre 2001 del rapporto di lavoro tra le parti, con la condanna della società a pagargli i compensi dovuti da tale data nonchè quelli futuri, stante la legittimità della interruzione da parte sua dell’attività lavorativa nel febbraio 2002, in ragione degli inadempimenti della società in ordine agli obblighi nascenti dal citato atto del 20 luglio 2001. E con l’ulteriore condanna al risarcimento del danno previdenziale.

La sentenza di accoglimento delle domande da parte del Tribunale di Savona è stata successivamente riformata parzialmente, su appello della società, dalla Corte d’appello di Genova, la quale, con sentenza pubblicata il 6 giugno 2006, rilevata preliminarmente la mancata impugnazione del capo della sentenza di primo grado relativo alla condanna della società a pagare al ricorrente la somma di Euro 727,11 a titolo di rimborso delle spese sostenute nel mese di gennaio 2002, ha limitato l’ulteriore condanna di questa al pagamento delle sole retribuzioni dovute al V. dal 5 novembre 2001 al 2 febbraio 2002, data di interruzione della prestazione da parte di quest’ultimo, ammontanti ad Euro 34.455,12, rigettando nel resto le domande, compensando tra le parti le spese di difesa dei due gradi di giudizio e ponendo a carico di ciascuna di esse la metà delle spese di C.T.U. effettuata in primo grado.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione V. M., con atto notificato il 2 marzo 2007, affidandolo a tre motivi.

La società intimata resiste alle domande con rituale controricorso, notificato il 3 aprile 2007.

Infine il ricorrente ha depositato una memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1. Col primo motivo, che censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1223, 2094 e 2099 cod. civ., nonchè per vizio di motivazione, il ricorrente investe gli assunti della sentenza impugnata secondo cui:

– la promessa assunzione aveva avuto regolare esecuzione seppure in via di mero fatto; ma tale affermazione, secondo il ricorrente, trascurerebbe il fatto che in realtà solo lui aveva adempiuto alle obbligazioni relative, iniziando la prestazione il 5 novembre 2001, come accertato dai giudici di merito, mentre la società si sarebbe viceversa rifiutata di formalizzare il rapporto di lavoro e non avrebbe provveduto a pagargli le retribuzioni convenute, a rimborsagli le spese sostenute nel mese di gennaio 2002 e a versare i contributi agli enti previdenziali;

– conseguentemente, avendo ritenuto che l’impegno di assunzione aveva avuto corretta esecuzione, sia pure di fatto, dal 5 novembre 2001, la Corte aveva erroneamente valutato come ingiustificata l’interruzione dell’attività lavorativa, operata dal V. ai sensi dell’art. 1460 c.c.;

– tale sospensione sarebbe infatti avvenuta, secondo la Corte territoriale, nonostante che, ancora in data 1 febbraio 2001, essendo in corso trattative tra le parti per modificare il contenuto delle intese delineate con l’atto del luglio 2001, la società avesse dichiarato la sua disponibilità a dare piena esecuzione all’impegno preso con tale ultimo atto, ove non fosse stato raggiunto un nuovo accordo; in proposito, il ricorrente sostiene che la valutazione della Corte sarebbe errata in quanto l’offerta di esecuzione contenuta nel fax del 1 febbraio 2002 sarebbe stata solo formale e sarebbe stata smentita dalla proposta allegata alla stessa, di condizioni gravemente deteriori rispetto alle precedenti (contratto di collaborazione continuativa di durata triennale e con diritto della società di risolverlo prima, accompagnata da velate minacce in ordine alla durata del rapporto di lavoro subordinato), non accettate dal ricorrente che pertanto aveva sospeso la prestazione; infine, in ordine alla affidabilità della dichiarazione della società di voler adempiere, in caso di mancata diversa intesa, a contratto preliminare i giudici dell’appello avrebbero trascurato di valutare un fatto significativo, consistente nel rifiuto da questa opposto, in sede di tentativo di conciliazione avanti al Tribunale, alla proposta del ricorrente di conciliare la causa con la sua assunzione.

Dato il reale contenuto del motivo, non appare comprensibile il riferimento alla violazione agli articoli del codice civile indicati nella rubrica. Le censure svolte sono del resto tutte riconducibili a pretesi vizi di motivazione della sentenza anche sotto il profilo di una errata o non adeguata valutazione delle risultanze istruttorie.

Sotto tale aspetto, va ricordato che, secondo la uniforme giurisprudenza di questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione, quale è quello in esame, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Da ciò consegue che alla cassazione della sentenza per vizi della motivazione si può giungere solo quando il vizio denunciato emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza e si riveli autonomamente dotato di una forza esplicativa o dimostrativa tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determinare al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., per tutte, in proposito, Cass. nn. 824/11, 15489/07, 4766/06 o 20322/05).

Ribadendo tali principi nel caso in esame, il collegio rileva che la sentenza impugnata ha fornito una ragionevole ricostruzione, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, della vicenda rappresentata in giudizio.

La Corte territoriale ha infatti accertato che effettivamente il ricorrente, in accordo con la società, aveva iniziato la propria prestazione il 5 novembre 2001, prendendo gli iniziali contatti con l’organizzazione aziendale e acquisendo gli elementi utili per lo svolgimento pieno della propria attività di direttore marketing. Le parti avevano peraltro mostrato da subito e comunque ben presto un interesse alla modifica delle condizioni contrattuali pattuite nel preliminare: da parte sua il V. aveva infatti manifestato l’interesse all’inserimento nel contratto definitivo di una clausola di garanzia di durata del rapporto, mentre la società, resasi conto che gli oneri economici pattuiti sarebbero stati troppo gravosi nel tempo, nella prospettiva di una durata consistente della collaborazione, aveva proposto di trovare una formula per diminuirne l’impatto sulle finanze societarie.

Da ciò era nata tra le parti, con l’assistenza dei propri legali, una trattativa per la rinegoziazione dell’accordo (non importa, secondo la sentenza, su iniziativa di chi, essendo chiari gli interessi divergenti da ricomporre che conducevano ad essa), sfociata infine nella lettera via fax della ESI del 1 febbraio 2002.

Sostanzialmente i giudici di merito hanno al riguardo implicitamente ritenuto che l’esistenza di una trattativa per la rinegoziazione dell’accordo giustificasse la sospensione della formalizzazione del contratto definitivo e del pagamento di una retribuzione vera e propria da parte della società, che si era limitata, senza alcuna protesta del V., a mettergli a disposizione una autovettura e a pagargli le spese di trasporto e di soggiorno presso la località in cui era situata l’azienda.

Con la lettera del 1 febbraio 2001, la società aveva proposto al ricorrente, a garanzia di durata del rapporto cui si dichiarava interessata ed insieme per non incidere pesantemente sulle finanze societarie, una diversa forma dello stesso, mediante la stipula di un contratto di collaborazione "parasubordinata", con l’inserimento di una clausola di garanzia di durata, dichiarando comunque che, in caso di mancata accettazione da parte del V., "saremmo costretti a mantenere l’impegno sottoscritto", ma con forti dubbi sulla possibilità di durata nel tempo del rapporto.

Avendo il V. reagito con una comunicazione del 2 febbraio 2002, con la quale "ha dichiarato unilateralmente di interrompere immediatamente ogni forma di collaborazione, richiedendo il pagamento delle competenze maturate dal 5 novembre 2001 e il rimborso delle spese sostenute" (questo è l’accertamento della sentenza), la Corte ha ritenuto ingiustificato tale rifiuto espresso nel momento in cui diveniva di nuovo efficace l’impegno della società alla stipulazione del contratto di lavoro secondo le condizioni pattuite nel luglio 2001, "così unilateralmente risolvendo il rapporto".

Una tale ricostruzione della vicenda non viene contestata dal ricorrente con la deduzione di fatti decisivi emersi in giudizio e non presi in considerazione dalla Corte territoriale (ad esempio riproducendo il contenuto della lettera del 2.2.02 per sostenerne un significato diverso, coerente con la invocata disciplina di cui all’art. 1460 c.c.) o con censure che investono in maniera efficace il tessuto logico delle argomentazioni che sostengono il convincimento dei giudici dell’appello.

Il V. si limita infatti a richiamare le stesse emergenze istruttorie valutate dai giudici per contrapporre alla ricostruzione della vicenda da questi operata sulla base di esse una propria diversa valutazione (riassunta nelle censure riportate in apertura di esposizione del motivo) finalizzata a fornire una rappresentazione dei fatti ritenuta meglio aderente alla realtà della vicenda medesima.

Così, omettendo ogni considerazione in ordine all’accertamento dei giudici di trattative in corso per la rinegoziazione dell’accordo, il ricorrente deduce infatti come causa della interruzione del rapporto il mancato adempimento della ESI alle obbligazione retributive e contributive per essa nascenti dall’atto del luglio 2001, che viceversa è stato valutato dalla Corte come logicamente conseguente alla sospensione dell’obbligo di stipulazione del contratto di lavoro subordinato e di quelli retributivi e contributivi, direttamente coinvolti dalla nuova trattativa.

E ancora, il ricorrente denuncia l’erronea interpretazione della offerta della ESI del 1 febbraio 2002, anche valorizzando circostanze che sarebbero state trascurate dalla Corte territoriale ma senza riuscire ad incidere sulla ragionevolezza dell’iter logico da quella seguito nella valutazione della comune intenzione delle parti.

Da tutto ciò si desume che col motivo in esame il ricorrente chiede in sostanza a questa Corte un nuovo giudizio di merito in ordine alla reale consistenza dei fatti rappresentati in giudizio, come non è ammissibile in questa sede di legittimità.

Il primo motivo di ricorso è pertanto infondato.

2 – Con secondo motivo viene dedotta la "violazione delle norme che disciplinano la responsabilità contrattuale e il danno che deve essere risarcito (ex art. 1223 c.c.) in caso di inadempimento rappresentato dalla mancata assunzione.

Al riguardo, il ricorrente sostiene che la lettera del 2.2.2002 (di cui peraltro non riproduce il contenuto) non è di dimissioni, per cui il rapporto sarebbe continuato nella perdurante situazione di inadempimento della società, cui il ricorrente ha contrapposto la sospensione della propria prestazione e la società gli dovrebbe pertanto tutte le retribuzioni a titolo di risarcimento danni.

11 motivo presuppone la qualificazione del comportamento della società come inadempimento all’impegno preliminare e l’interruzione di fatto della prestazione da parte del ricorrente come eccezione di inadempimento, qualificazioni escluse dalla sentenza ritenuta in proposito corretta in sede di analisi del primo motivo di ricorso, per cui segue la sorte di quest’ultimo.

3 – Col terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2, nonchè il vizio di motivazione della sentenza laddove aveva compensato le spese di difesa dei due gradi e posto a carico di ciascuna delle parti la metà della spese di C.T.U. nonostante la soccombenza della società.

Anche tale motivo è infondato, ben potendo il giudice compensare totalmente o parzialmente le spese di giudizio anche in caso di soccombenza di una delle parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, purchè sussistano giusti motivi, adeguatamente illustrati nella motivazione della sentenza, come sufficientemente effettuato nel caso in esame dai giudici di merito.

Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va respinto.

L’alternanza delle soluzioni adottate nei due gradi di giudizio di merito, giustifica la integrale compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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