Sulla non configurabilità della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca. Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza del 12 marzo 2010 n. 10164.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza del 19.2.2009 la Corte d’appello di Salerno confermava la sentenza dei tribunale della stessa città in data 9.2:2007, che -per quanto rileva in questa sede- aveva dichiarato XXX e YYY colpevoli del reato di cui all’art. 595 co. 3 c.p. e, per l’effetto, aveva condannato il primo alla pena di € 1.500,00# di multa, il secondo alla pena di € 700,00# di multa ed entrambi in solido al pagamento alla persona offesa, a titolo di riparazione pecuniaria, della somma di € 3.5OO,O0#, nonché al risarcimento, in favore della parte civile costituita, dei danni, liquidati equitativamente in € 7.000,00#.
Al XXX ed al YYY era stato contestato di avere, il primo, quale autore dell’articolo, ed il secondo, quale autore delle espressioni riportate tra virgolette sta nel titolo che nel corpo dello stesso articolo, offeso la reputazione della dott/ssa ZZZ, direttrice dell’istituto penitenziario di Arienzo, mediante la pubblicazione di un articolo sul quotidiano "Corriere di Caserta" del 14.6.2002 con il titolo "Carcere, per dirigerlo serve un uomo", il cui occhiello a tutta pagina recitava "Arienzo un sindacalista della CISL in campo dopo che l’ex numero uno e due agenti di polizia penitenziaria sono stati sospesi: la ZZZ nel mirino".
Avverso la sopra citata sentenza della Corte d’appello di Salerno il XXX ed il YYY proponevano, per mezzo dei rispettivi difensori, separati ricorsi per cassazione.
Il difensore del XXX deduceva violazione della legge penale (art. 595 co. 3 c.p.p) e vizio di motivazione, con riferimento alla conferma della responsabilità dell’imputato e, segnatamente, al mancato riconoscimento della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, quanto meno sotto il profilo putativo.
I giudici di merito avrebbero disatteso i principi della giurisprudenza di legittimità in materia di intervista, poiché il XXX, nell’articolo in questione, si sarebbe limitato a riportare tra virgolette le testuali dichiarazioni rese dal YYY nell’intervista rilasciatagli. L’imputato, quindi, avrebbe svolto "‘un ruolo asettico", esercitando legittimamente il diritto di cronaca, in quanto il fatto in sé dell’intervista, in considerazione della qualità dei soggetti coinvolti e della materia oggetto di discussione, avrebbe presentato profili di interesse pubblico all’informazione.
In ogni caso, ricorrerebbe, nella specie, l’esimente putativa dell’esercizio del diritto di cronaca, essendo la fonte interpellata dal giornalista di sicura qualità ed affidabilità, in relazione sia al contesto che all’argomento trattato.
Il difensore del YYY deduceva:
1) Violazione di legge (artt. 51, 595 co. 3 c.p., 522 c.p.p.) e difetto di motivazione, con riferimento alla conferma della responsabilità dell’imputato ed in particolare al mancato riconoscimento della scriminante dell’esercizio del diritto di critica sindacale.
Il YYY, nella veste di sindacalista della Cisl Fps provinciale di Caserta, si sarebbe limitato a riferire al giornalista, nel corso di un colloquio telefonico durato pochissimi minuti, fatti incontestabilmente veri e di sicuro interesse pubblico sulle gravi carenze strutturali e sulla gestione del carcere di Arienzo, nonché sui difficili rapporti sindacali con la dott/ssa ZZZ, direttrice di tale carcere.
In ordine alla frase attribuita nell’articolo al YYY "sarebbe meglio una gestione al maschile" vi sarebbe stato un chiaro difetto di comprensione da parte del giornalista e del titolista, i quali avrebbero equivocato l’espressione come riferita alla ZZZ e come riguardante una discriminazione di carattere sessuale e vi sarebbe stato, altresì, un evidente travisamento dei fatti da parte dei giudici di merito. Comunque, questa parte dell’articolo non sarebbe stata contenuta nella contestazione mossa all’imputato con conseguente difetto della stessa contestazione.
Un’attenta lettura dell’articolo dimostrerebbe inequivocabilmente che in nessun passaggio delle frasi attribuite al YYY, le quali sarebbero esclusivamente quelle riportate nelle prime due colonne, sarebbe rinvenibile una condotta diffamatoria.
Comunque, le modalità di "confezionamento" del pezzo giornalistico e la stesura del titolo, spesso non preparato nemmeno dall’articolista, non potrebbero certo essere imputate al YYY.
In ogni caso, sussisterebbe, in favore di quest’ultimo, la scriminante dell’esercizio del diritto di critica, di cui ricorrerebbero i requisiti.
2) Violazione di legge (art. 62 bis c.p.) e difetto di motivazione con riferimento alla mancata applicazione delle attenuanti generiche nella massima estensione.
3) Violazione di legge (art. 133 c.p.) e difetto di motivazione con riferimento alla quantificazione della pena, che avrebbe dovuto essere contenuta nel minimo edittale.
Il ricorso proposto nell’interesse del XXX deve essere rigettato, essendo le suaccennate censure infondate.
I giudici di merito, nelle sentenze di primo e di secondo grado, hanno giustificato la responsabilità del XXX con motivazione ineccepibile ed aderente ai principi della giurisprudenza di legittimità.
Questa Corte Suprema, nella sua massima composizione, ha affermato:
In tema dì diffamazione a mezzo stampa, la condotta del giornalista che, pubblicando il testo di un intervista, vi riporti, anche se "alla lettera", dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell’altrui reputazione, non è scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca, in quanto al giornalista stesso incombe pur sempre il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza delle espressioni riferite. Tuttavia, essa è da ritenere penalmente lecita, quando il fatto in sé dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione ed al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all’informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l’esercizio del diritto di cronaca, l’individuazione dei cui presupposti è riservata alla valutazione del giudice di merito, che, se sorretta da adeguata e logica motivazione, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. Pen. SS.UU., 30.5.2001/16.10.200l,n. 37140, CED 219651).
Nel caso in esame, come ha correttamente rimarcato la corte territoriale, "la notizia pubblicata non consiste in alcun modo nel fatto stesso dell’intervista dell’imputato YYY", essendo più propriamente la situazione della struttura carceraria di Arienzo.
D’altra parte, nell’articolo de quo, oltre alle dichiarazioni di altri sindacalisti (AAA, BBB e CCC), sono riportati argomenti, frutto esclusivo della penna del XXX, quali la protesta inscenata dai detenuti nell’agosto dei 2000 ed una lettera scritta da alcuni detenuti, che avrebbe rappresentato le "condizioni disumane" dei detenuti stessi, ricollegandone la permanenza alla gestione della dott/ssa ZZZ.
I giudici di merito, quindi, correttamente, non hanno riconosciuto al XXX l’invocata scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca.
Essa non sussiste neppure sotto il profilo putativo, non risultando l’imputato avere svolto alcuna verifica sulla notizia pubblicata. Ed invero la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca è configurabile quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto l’onere di esaminare, controllare e verificare la notizia, in modo da superare ogni dubbio, non essendo, a tal fine, sufficiente l’affidamento ritenuto in buona fede sulla fonte (Cass. Pen. Sez. V, 11.3.2005, n. 15643, CED 232134).
Il ricorso interposto nell’interesse del YYY deve, parimenti, essere rigettato.
Con il primo motivo, il ricorrente, sostanzialmente, da un lato, deduce che non vi sarebbe diffamazione nel contenuto delle dichiarazioni rese dal YYY e riportate nell’articolo e che, in ogni caso, il reato sarebbe scriminato, essendo stato esercitato il diritto di critica sindacale, dall’altro lato, prospetta che non sarebbe stato rispettato il principio dì correlazione tra contestazione e sentenza.
In ordine alla pretesa violazione dei detto principio, sancito dall’art. 521 c.p.p., deve essere rilevato che la questione sarebbe stata posta tardivamente, in quanto la conseguente nullità ex art. 522 c.p.p., rientrante tra quelle a regime intermedio (Cass. Pen. Sez. II, 29.1.2008. n. 9171. CED 239545), non è stata eccepita con i motivi di appello.
Nella specie, tuttavia, non sussiste violazione del surripetuto principio, fondato sulla salvaguardia del diritto di difesa, e, quindi, non ricorre alcuna nullità, poiché tutto il contesto dell’articolo incriminato è stato oggetto di contestazione e l’imputato è stato posto concretamente in condizione di difendersi (cfr. Cass. Pen. SS.UU., 19.6.1996 / 22.10.1996 n. 16, CED 205619).
Per quanto riguarda la dedotta esclusione della natura diffamatoria delle dichiarazioni del YYY e l’invocata esimente dell’esercizio del diritto di critica, in primo luogo, deve essere osservato che ogni questione sollevata circa l’attribuzione allo stesso YYY delle espressioni virgolettate non è proponibile in questa sede, trattandosi di questioni di merito e non di diritto.
In secondo luogo, deve essere rilevato che i giudici di merito hanno correttamente ritenuto che la frase "‘sarebbe meglio una gestione al maschile", attribuita al YYY, "è oggettivamente diffamatoria ed è, da sola, idonea ad affermare la responsabilità sia dell’intervistato che dell’intervistatore". Invero, "si tratta di una dichiarazione che è certamente lesiva della reputazione della ZZZ, trattandosi di un suggerimento assolutamente gratuito, sganciato dai fatti e che costituisce una mera valutazione, ripresa a caratteri cubitali nel titolo, nel quale si puntualizza proprio la necessità (sottolineata dal verbo "servire") di affidare la direzione del carcere comunque ad "un uomo " ".
I giudici di merito hanno, quindi, ritenuto insussistente l’invocata scriminante dell’esercizio del diritto di critica sindacale con argomentazioni congrue ed immuni da vizi logici e giuridici, rimarcando che "nella sostanza la censura che viene mossa alla ZZZ è sganciata da ogni dato gestionale ed è riferita al solo fatto di essere una "donna"…gratuito apprezzamento…contrario alla dignità della persona perché ancorato al profilo, ritenuto decisivo, che deriva dal dato biologico dell’appartenenza all’uno o all’altro sesso".
Il secondo ed il terzo motivo sono privi di fondamento, avendo i giudici di merito motivato, adeguatamente e correttamente, il trattamento sanzionatorio, adottato nei confronti del YYY.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile costituita, liquidate in complessivi € 1.700,00# oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 4.11.2009.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 12 MARZO 2010

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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