T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 28-02-2011, n. 1811 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La D. s.p.a. agisce avverso il provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato che, ad esito del procedimento PS/20, ha ritenuto la società responsabile di due pratiche commerciali scorrette, per l’effetto vietandone l’ulteriore diffusione e comminando le sanzioni pecuniarie pari a Euro 250.000,00 per la prima e Euro 50.000,00 per la seconda.

La prima pratica, per la quale l’Autorità ha applicato gli artt. 20, 21, comma 1, lett. b) e c), e 22, commi 1, 2 e 3 del codice del consumo, consiste nelle varie pubblicità in cui si è articolata la campagna promozionale del prodotto Danacol, per tutto il 2008 e fino all’aprile 2009.

La seconda pratica, per la quale l’Autorità ha applicato gli artt. 20 e 21, comma 1, lett. b) del codice del consumo, consiste nella campagna promozionale denominata "Mese del Cuore", nel settembre 2008.

Illustrati i passaggi salienti del procedimento che ha condotto alle descritte misure, la società muove le seguenti censure:

1) incompetenza dell’Autorità procedente.

La doglianza muove dal presupposto che la materia è soggetta ad una specifica regolamentazione di settore, nonché ad altra normativa di settore a carattere generale, di talchè non residuerebbe spazio per l’applicazione del codice del consumo, anche tenendo conto di quanto disposto dal considerando n. 10 della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, e dall’art. 3, comma 4 della direttiva 2005/29/CE, trasposta nell’art. 19, comma 3 del codice del consumo. La fattispecie sfuggirebbe ai poteri dell’Autorità procedente anche alla luce del parere del Consiglio di Stato reso nell’adunanza della Sezione I, in data 3 dicembre 2008;

2) violazione e falsa applicazione dei principi del giusto procedimento e del contraddittorio, dell’art. 27, comma 11 del d. lgs. 206/2005, dell’art. 6 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette adottato con delibera 15 novembre 2007, degli artt. 24 e 111 Cost, dell’art. 6 CEDU.

La società osserva che l’oggetto del procedimento come definito nell’atto di avvio e il più ampio oggetto dell’atto finale non coincidono, in violazione dei principi della concinnitas, del contraddittorio e del giusto processo;

3) mancata comunicazione delle risultanze istruttorie – violazione e falsa applicazione dell’art. 27, comma 11 del d. lgs. 206/2005, dell’art. 16 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, dei principi di buon andamento, pubblicità e trasparenza, dell’art. 97 Cost, dell’art. 1 della l. 241/90, dei principi del giusto processo e del contraddittorio.

E’ mancata nel procedimento la comunicazione delle risultanze istruttorie, inadempimento che la società ritiene particolarmente grave anche tenendo conto della mancata interlocuzione sulla nuova contestazione introdotta nel corso del procedimento;

4) travisamento delle risultanze istruttorie, con riferimento al contenuto della comunicazione pubblicitaria Danacol – contraddittorietà della motivazione.

La società sostiene che la parte del provvedimento relativa alla comunicazione pubblicitaria Danacol, ove si rileva che essa è nel suo complesso incentrata sulle proprietà salutistiche del prodotto in rapporto al colesterolo quale fattore di rischio delle malattie cardiovascolari (VI.1) è errata in punto di fatto, nonché contraddittoria rispetto a quanto affermato in altra parte del provvedimento (III.2.A);

5) violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma 2 del d. lgs. 206/2005 in relazione all’art. 2 del d. lgs. 109/92 e agli artt. 13 e 14 del reg. CE n. 1924/2006.

Manca, per la società, una delle coordinate identificative essenziali della pratica commerciale scorretta, ovvero la contrarietà della condotta dell’operatore commerciale alla diligenza professionale;

6) travisamento delle risultanze istruttorie – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – illogicità manifesta – violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 3 del d. lgs. 206/2005.

Sostiene la società che la capacità di Danacol di ridurre comunque i livelli di colesterolo nel sangue nell’arco di tre settimane (intorno al 10 % del livello di partenza) è esplicitamente riconosciuta dal provvedimento impugnato, sulla base della documentazione e dei pareri acquisiti al procedimento, di talchè lo stesso erra quando afferma che il prodotto può avere efficacia in abbinamento ad una modifica dell’alimentazione e ad un cambiamento delle abitudini di vita, in caso di ipercolesterolomia lieve, e che il suo utilizzo può essere suggerito in associazione ad una terapia farmacologia, in caso di ipercolesterolomia grave.

7) travisamento delle risultanze istruttorie – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – illogicità manifesta – violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del reg. n. 1924/06.

Secondo la società non è vero che l’utilizzazione nella comunicazione pubblicitaria Danacol del logo di un importante associazione di medici, accompagnato dalla menzione di iniziative congiunte sulla corretta alimentazione, possa indurre il consumatore a credere che il prodotto sia rimedio per il colesterolo suggerito e avallato in ambito medico;

8) violazione e falsa applicazione dell’art. 22, commi 1 e 3 del d. lgs. 206/2005 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – illogicità manifesta.

Parte ricorrente ritiene che l’omissione, sempre nelle pubblicità Danacol, dei riferimenti bibliografici ai test ed agli studi menzionati non è sanzionabile, atteso che non è credibile che essi siano rilevanti ai fini della decisione del consumatore. Parte ricorrente sostiene altresì che, poiché le delle avvertenze di cui al reg. CE n. 608/1924, ovvero delle indicazioni obbligatorie nell’etichettatura dei prodotti addizionati di fitosteroli, sono presenti nell’etichettatura del prodotto, le stesse devono considerarsi anche riportate nella comunicazione pubblicitaria, che rimanda alla confezione;

9) violazione e falsa applicazione dell’art. 27, comma 9, d. lgs. 206/2005, in relazione all’art. 11, l. 689/1981 – travisamento delle risultanze istruttorie – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – illogicità manifesta.

La finale censura si appunta avverso l’importo delle sanzioni comminate.

Si sono costituite in giudizio le intimate amministrazioni, che hanno sostenuto l’infondatezza delle censure interposte, domandando il rigetto del ricorso.

La controversia è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 24 novembre 2010.
Motivi della decisione

1. Si controverte intorno alle misure inibitorie e sanzionatorie adottate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato avverso due comunicazioni pubblicitarie della società D. s.p.a., ritenute pratiche commerciali scorrette.

La prima pratica, per la quale l’Autorità ha applicato gli artt. 20, 21, comma 1, lett. b) e c), e 22, commi 1, 2 e 3 del codice del consumo, comminando la sanzione pecuniaria di Euro 250.000,00, consiste nella variegata campagna pubblicitaria del prodotto Danacol, per tutto il 2008 e fino all’aprile 2009.

La seconda, per la quale l’Autorità ha applicato gli artt. 20 e 21, comma 1, lett. b) del codice del consumo, comminando la sanzione pecuniaria di Euro 50.000,00, consiste nelle modalità con le quali è stata articolata e promossa la campagna promozionale denominata "Mese del Cuore", nel settembre 2008.

2. Com’è d’uopo va prioritariamente esaminata la censura di incompetenza dell’Autorità procedente.

Questo l’iter logico seguito dalla doglianza.

La materia è soggetta, come riconosce lo stesso provvedimento impugnato, ad una specifica regolamentazione di settore ((reg. (CE) 1924/06 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari; art. 2, d. lgs. 109/92 di recepimento di direttive comunitarie concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, quale risultante, da ultimo, dal recepimento della direttiva 2000/13/CE, per quanto riguarda il contenuto della comunicazione pubblicitaria), pacchetto normativo presidiato dall’art. 18 del d. lgs. 109/92, che istituisce poteri ispettivi, inibitori e sanzionatori, attribuendoli alla regione ed alla provincia autonoma competenti per territorio, nonché ad altra normativa a carattere generale ( reg. (CE) 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare e reg. (CE) 882/2004, che stabilisce un sistema di controlli).

Non residuerebbe quindi spazio per l’applicazione del codice del consumo, anche tenendo conto di quanto disposto dal considerando n. 10 della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali (recepita con d. lgs. 146/07, che ha modificato il codice del consumo), che prevede che la direttiva stessa si applichi solo qualora non esistano norme comunitarie specifiche che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore.

Rileverebbe, poi, anche l’art. 3, comma 4 della direttiva 2005/29/CE, trasposta nell’art. 19, comma 3 del codice del consumo, che stabilisce che, nel contrasto tra le disposizioni della direttiva ed altre norme comunitarie che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime.

La fattispecie, infine, sfuggirebbe ai poteri dell’Autorità procedente anche alla luce del parere del Consiglio di Stato reso nell’adunanza della Sezione I, in data 3 dicembre 2008.

2.1. La questione proposta, frutto di una lettura riduttiva del contesto normativo comunitario e nazionale di riferimento, non è fondata.

2.2. L’art. 3 della direttiva 29/2005/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno, per quanto qui di interesse, dopo aver esposto, al paragrafo 1, il proprio campo generale di applicazione (pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto), chiarisce, al paragrafo 4, che le altre norme comunitarie che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali prevalgono e si applicano a tali aspetti specifici solo a condizione di un contrasto con le disposizioni della direttiva stessa.

Il decimo considerando della direttiva 29/2005/CE, enuncia che "…la presente direttiva si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore…" ma dopo aver chiarito, nell’incipit, che "È necessario garantire un rapporto coerente tra la presente direttiva e il diritto comunitario esistente, soprattutto per quanto concerne le disposizioni dettagliate in materia di pratiche commerciali sleali applicabili a settori specifici", obiettivo che l’art. 3, paragrafo 4, della direttiva stessa realizza nei sensi sopra chiariti.

Esso art. 3, paragrafo 4, è stato trasposto nell’articolo 19, comma 3 del codice del consumo di cui al d.lgs. 206/2005, ai sensi del quale "in caso di contrasto le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici".

Alla luce del chiaro disposto delle descritte norme, resta, pertanto, sconfessato il presupposto da cui muove l’intera censura, ovvero quello di una congenita e generale natura residuale delle disciplina comunitaria di tutela del consumatore.

2.3. Venendo all’invocato parere reso dal Consiglio di Stato (I, 3 dicembre 2008, n. 3999), esso ha affrontato con grande ampiezza la questione dei rapporti tra la disciplina generale del codice del consumo e le altre discipline che possono incidere su aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette (con specifico riferimento al settore dei servizi finanziari), dando conto delle norme comunitarie e nazionali appena citate, nonché del principio di specialità di cui all’art. 9 della l. n. 689 del 1981. In tale ambito, si è propeso"…per la conclusione che non si possano irrogare, per la medesima condotta valutata sotto il medesimo profilo (la scorrettezza, informativa e/o di condotta, nella prestazione di servizi finanziari), due sanzioni aventi medesima natura (pecuniaria), l’una comminata dall’organo con competenza speciale di settore (la CONSOB) e l’altra dall’organo con competenza generale (l’Autorità garante della concorrenza e del mercato)".

Al contempo, il parere non ha mancato di elencare gli strumenti di garanzia che l’ordinamento nazionale, pur in difetto, allo stato della legislazione, di un dispositivo superiore di risoluzione dell’eventuale conflitto tra autorità di regolazione, offre contro il pericolo di una duplicazione di sanzioni, ovvero:

– l’art. 27, comma 14, del codice del consumo, riproduttivo di quanto già previsto dall’art. 7, comma 12, del d. lgs. n. 74 del 1992 in materia di pubblicità ingannevole ("Ove la pratica commerciale sia stata assentita con provvedimento amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non scorretto della stessa, la tutela dei soggetti e delle organizzazioni che vi abbiano interesse, è esperibile in via giurisdizionale con ricorso al giudice amministrativo avverso il predetto provvedimento"), che va letto, al di là del richiamo alla tutela giudiziale, ex post, nel senso di ritenere, in via preventiva, che la competenza generale dell’AGCM nell’applicazione del codice del consumo è comunque derogata laddove sia intervenuto un provvedimento amministrativo di altra amministrazione, preordinato anche alla verifica del carattere non scorretto della pratica commerciale assentita;

– le previsioni normative che impongono un previo coordinamento procedimentale delle autorità di regolazione, quando sia immaginabile un loro concorso (in stretta materia antitrust, l’art. 20, l. 10 ottobre 1990, n. 287, per il quale se l’intesa, l’abuso di posizione dominante o la concentrazione riguardano imprese operanti in settori sottoposti alla vigilanza di più autorità, ciascuna può adottare i provvedimenti di propria competenza; nel caso di operazioni che coinvolgano imprese assicurative, i provvedimenti dell’AGCM sono adottati sentito il parere dell’ISVAP; l’art. 27, comma 6, del codice del consumo, che stabilisce che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nell’inibire una pratica commerciale che è oggetto di diffusione con la stampa periodica o quotidiana o per via radiofonica o televisiva o altro mezzo di telecomunicazione, prima di provvedere, deve richiedere il parere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni);

– il coordinamento spontaneo delle Autorità, sulla base delle leggi che definiscono i rispettivi settori.

Tanto premesso, il parere n 3999 del 2008 ha sì riconosciuto che il principio di specialità è canone generale immanente all’obiettivo della razionalità dell’ordinamento, e da sempre considerato prioritario per risolvere in sede applicativa i casi contraddittori e di duplicazione di fattispecie, sostanziali come procedurali, tra cui quelli riguardanti l’intervento pubblico (in toto iure genus per speciem derogatur), ma ha, altresì, sottolineato, nel complesso vigente quadro ordinamentale delle regolazioni di settore, ed al fine di evitare, nella sua applicazione, frammentarietà operative, e realizzare una migliore sua migliore messa a punto, la necessità di confrontare non le strumentazioni operative, bensì i due ordinamenti di settore (e ciò ricordando che tale metodologia era già rinvenibile in C. Stato, VI, 16 ottobre 2002, n. 5640).

Per l’effetto, il parere afferma che il riferimento al principio di specialità va disancorato dal riferimento prevalentemente soggettivo (tipo di operatore interessato o di soggetto tutelato) e orientato verso la valutazione dell’oggetto dell’intervento, ovvero verso l’interesse generale perseguito mediante l’intervento stesso ("competenza per effetti" o "per mercati").

In questa prospettiva, il parere in argomento ha riconosciuto che, ai fini dell’applicazione del principio di specialità, diviene dominante il tipo di comportamento, la situazione contestuale verso cui l’intervento correttivo o sanzionatorio è diretto, la materia su cui i due possibili interventi vanno ad incidere, vale a dire il settore su cui l’intervento si dispiega.

Tale orientamento è proprio anche della Sezione (per tutte, Tar Lazio, I, 3 giugno 2010, n. 14857; 16 gennaio 2010, n. 314; 4 maggio 2009, n. 4490).

2.4. E allora, in applicazione delle richiamate conclusioni al caso di specie, si deve innanzitutto riconoscere che l’oggetto dell’istruttoria che ha condotto al provvedimento per cui è causa concerneva l’apprezzamento della condotta della società in tema di informazioni rese ai consumatori alla luce degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b) e c), e 22, commi 1, 2 e 3 del codice del consumo.

Ed è vero che, nel corso del procedimento, l’AGCM ha tenuto conto, richiamandolo anche nel provvedimento finale, del pacchetto normativo settoriale invocato dalla società, reg. (CE) n. 1924/06 e d. lgs. 109/92, ma ciò al fine di ricostruire il quadro normativo di riferimento (pagg. 5 e ss.), e di delineare il paradigma della diligenza professionale astrattamente richiesta alla società (pagg. 29 e ss.).

Del resto, l’ambito finalistico delineato dalle previsioni settoriali in parola attiene alla sicurezza della salute umana, ed è pertanto del tutto estraneo a quello preso in considerazione dal codice del consumo, incentrato alla protezione del consumatore e degli interessi concorrenziali delle imprese, di talchè deve riconoscersi che le prime si pongono in rapporto di complementarietà, e non di alternatività, con il codice del consumo, in ragione della diversità degli interessi pubblici sottostanti.

Difetta, quindi, in concreto sia una ipotesi di potenziale conflitto tra distinti apparati normativi, sia una qualsiasi valutazione dell’AGCM sulla verifica del perseguimento delle specifiche finalità delle norme di settore.

Ne consegue che la tangenziale considerazione effettuata nel procedimento in esame delle richiamate norme settoriali risulta del tutto insuscettibile di inverare un limite di applicazione della disciplina relativa alle pratiche commerciali scorrette dettate dal codice del consumo, ed a sottrarre all’Autorità procedente le potestà sue proprie.

Deve convenirsi con la difesa erariale, poi, quando ritiene del tutto in conferenti i richiami ricorsuali al reg. 178/2002, che reca i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare, e al reg. 882/2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali.

2.5. In linea generale, poi, con rilevanti effetti nel tema in esame, va escluso che, come pure lasciato intravedere nello sfondo dalla censura in trattazione, la direttiva 2005/29/CE possa essere invocata al fine di attestare una diminuzione del grado di tutela legislativa riconosciuta al consumatore, sbilanciandone il baricentro e la visuale prospettica verso le normative settoriali.

Sul punto, basti ricordare che la Sezione è granitica nel riconoscere che la normativa nazionale, di derivazione europea, posta a tutela del consumatore e della concorrenza, ha trovato un decisivo arricchimento a seguito dei decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2007, rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori, che hanno recepito proprio la direttiva n. 2005/29/CE.

In particolare, si è osservato che il d.lgs. 146/2007, intervenuto direttamente sul codice del consumo, con la sostituzione degli artt. 1827 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 e l’introduzione di una normativa generale sulle pratiche commerciali scorrette, ha abbandonato il precedente, specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa, per giungere ad abbracciare una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, ivi compresa la pubblicità, posta in essere da un professionista prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto (artt. 18 e 19 del codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.

Quanto, invece, all’ambito di applicazione soggettivo, le pratiche commerciali rilevanti ai fini della normativa in esame sono solo quelle poste in essere tra professionisti e consumatori: rimangono, pertanto, escluse quelle condotte connesse ad un rapporto tra soli professionisti, cui, viceversa, fa precipuo riferimento il parallelo d.lgs. n. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa.

Di talchè, la Sezione non ha mai dubitato che il recepimento nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2005/29/CE ha rafforzato il ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza, limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa.

Per tale ragione, si è anche rilevato, il d.lgs. n. 146/2007 ha, correlativamente e contestualmente, ampliato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.

La Sezione ha, indi, concluso che il quadro di tutela offerta dal novellato codice del consumo si aggiunge non solo ai normali strumenti di tutela contrattuale, ma anche a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione (Tar Lazio, I, 8 settembre 2009, n. 8400; 3 luglio 2009, n. 6446; 15 giugno 2009, nn. 5625, 5627, 5628, 5629).

3. Può quindi passarsi all’esame delle doglianze di merito.

4. Il secondo ed il terzo motivo di gravame introducono censure di carattere procedimentale.

4.1. In particolare:

– con il secondo motivo la società lamenta che l’oggetto del procedimento, come definito nell’atto di avvio in relazione al prodotto Danacol (comunicazione pubblicitaria diffusa nel periodo settembre 2007/novembre 2008) e in relazione al quale la società ha svolto le proprie difese, non coincide con l’oggetto dell’atto finale, che ha preso in considerazione anche l’ultima campagna promozionale svolta nel corso del procedimento, attraverso diversi mezzi di comunicazione, a partire dall’8 febbraio 2009, per la quale non è mai stata comunicata l’apertura del procedimento, in violazione dei principi della concinnitas, del contraddittorio e del giusto processo;

– con il terzo motivo la società lamenta la mancata comunicazione delle risultanze istruttorie, ritenuta lesiva dei principi di buon andamento, pubblicità e trasparenza, nonché dei canoni del giusto processo e del contraddittorio.

4.2. La doglianza relativa all’indebita estensione dell’oggetto della sanzione fonda sull’assunto che la campagna svolta nel corso del procedimento, che non ha formato oggetto di alcuna comunicazione preventiva, sia nuova e diversa rispetto alla campagna considerata nell’atto di avvio del procedimento.

Tale affermazione, però, non viene assolutamente comprovata dalla società, restando un mero portato assertivo.

Laddove, invece, l’Autorità nega che trattasi di una diversa pubblicità, e ciò sulla scorta dell’osservazione che essa contiene le medesime affermazioni e i medesimi claim della precedente, e comprova che tale ultima campagna è stata introdotta nel procedimento dalla stessa ricorrente, in sede di audizione (doc. 9, pag. 1).

Di talchè, da un lato, deve convenirsi con l’amministrazione che la ricorrente non poteva non essere consapevole che anche la campagna svolta nel corso del procedimento avrebbe potuto formare oggetto di apprezzamento da parte dell’Autorità.

E deve, dall’altro, osservarsi che, a fronte della sostanziale identità delle pratiche, la comunicazione di avvio del procedimento riporta gli elementi essenziali per consentire un efficace e completo contraddittorio, e, quindi, per un pieno esercizio del diritto di difesa in relazione ai profili della pratica commerciale ritenuti scorretti, che sono stati identificati con precisione nell’atto di avvio del procedimento, e che sono presenti in tutte le condotte fatte oggetto di sanzione, ciò che ha consentito all’operatore pubblicitario di poter proficuamente partecipare all’istruttoria.

Infatti, come indicato nel paragrafo del provvedimento dedicato alle risultanze dell’istruttoria, risulta che la società è intervenuta nel procedimento, formulando deduzioni di merito pertinenti al suo oggetto, come anche risultante dal provvedimento finale, il che attesta la totale intelligibilità della originaria comunicazione di avvio del procedimento quanto alla difesa da espletare in sede amministrativa.

4.3. Quanto alla mancata la comunicazione delle risultanze istruttorie, la società ritiene che tale inadempimento sia particolarmente grave, anche tenendo conto della mancata interlocuzione in relazione alla nuova contestazione introdotta nel corso del procedimento, di cui appena sopra

Al riguardo, dovendosi escludere, in forza di quanto sopra rilevato, che nel corso del procedimento sia intervenuta una nuova contestazione, si osserva che il regolamento di procedura dell’Autorità in materia di pratiche commerciali scorrette, adottato con delibera 15 novembre 2007, agli artt. 6 e 16, a differenza di quanto disposto dal regolamento della medesima Autorità sulle procedure in materia di tutela della concorrenza, non prevede la comunicazione delle risultanze istruttorie, ma solo la comunicazione della data di conclusione della fase istruttoria, che nella specie, riferisce la stessa ricorrente, è stata effettuata.

E la Sezione ha ritenuto che siffatta differenziazione è pienamente compatibile con la natura dei due diversi procedimenti.

Le norme del regolamento in materia di pratiche commerciali scorrette, infatti, assicurano comunque una piena garanzia del contraddittorio, riconoscendo alle parti un’ampia facoltà di presentare scritti difensivi e documentazione a supporto delle argomentazioni proposte, sicché il procedimento è del tutto conforme ai principi sottesi alla l. 241/1990, mentre, nei procedimenti antitrust, la previsione della comunicazione delle risultanze istruttorie è da ricondurre alle peculiarità tipiche dei relativi procedimenti, caratterizzati dalla particolare complessità degli accertamenti istruttori (Tar Lazio, I, 9 dicembre 2009, n. 12593; 20 luglio 2009, n. 7122; 6 aprile 2009, n. 3701).

4.4. Entrambe le censure vanno pertanto respinte.

5. Prima di affrontare l’esame delle ulteriori censure, che si appuntano avverso la correttezza del ragionamento seguito dall’Autorità, non possono non riportarsi i passaggi salienti dell’atto impugnato.

Con l’avvertenza che, quanto alla puntuale descrizione delle campagne pubblicitarie di cui trattasi, molto articolate nonchè diffuse mediante l’utilizzo di numerosi mezzi di comunicazione, può rimandarsi alle pagg. da 8 a 12 del provvedimento.

E’ bene sul punto riferire che il procedimento culminato con l’atto impugnato è stato avviato su segnalazione dell’Agenzia italiana del farmacoAIFA, e che nel corso del procedimento è stato acquisito il parere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai sensi dell’art. 27, comma 6 del codice del consumo. L’AGCM ha ritenuto la pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), c) e d), 22, commi 1, 2 e 3, 23, comma 1, lett. d), g), s) e v), e 26, comma 1, lett. h) del codice.

5.1. Il provvedimento impugnato rileva che l’istruttoria procedimentale, e, segnatamente, le relazioni tecniche acquisite, hanno dimostrato che i prodotti addizionati di steroli, come il Danacol, possono avere efficacia contro il colesterolo lieve, se complementari ad una radicale modifica dell’alimentazione e delle abitudini di vita, e contro il colesterolo grave, se associati ad una terapia farmacologia e sotto controllo medico.

Il provvedimento rileva, altresì, che sussiste un generale divieto di attribuire ai prodotti alimentari proprietà medicamentose, d. lgs. 109/92 e reg. 1924/06, potendo le indicazioni sulla salute essere utilizzate solo a seguito di specifica autorizzazione, e che lo stesso regolamento stabilisce che l’impiego di indicazioni salutistiche non deve comunque essere falso, ambiguo e fuorviante o incoraggiare un consumo eccessivo di un elemento, ovvero suscitare o sfruttare timori nel consumatore (art. 3) così come deve permettere al consumatore medio di comprendere gli effetti benefici secondo la formulazione dell’indicazione (art. 5, comma 2).

Ciò posto, il provvedimento impugnato espone che la campagna Danacol, incentrata sull’alterazione fisiologica del livello di colesterolo e sul conseguente rischio cardiovascolare al fine di indurre nei consumatori consapevolezza e allarme su tale fattore di rischio, crea un bisogno e presenta Danacol come soluzione efficace, senza rappresentarne la limitatezza e la parzialità, così inducendo un affidamento sulle proprietà del prodotto e delle sue possibilità d’impiego eccessivo e ingiustificato.

Prosegue l’Autorità rilevando che in tutte le comunicazioni pubblicitarie non vi sono indicazioni che consentano al consumatore di comprendere in quale situazione e quale tipologie di persone possono trovare giovamento ricorrendo al consumo del prodotto e in quale misura lo stesso può avere effetto, laddove l’incidenza positiva che il prodotto può avere sui livelli plasmatici del colesterolo si attesta intorno al 10%, valore non assoluto perché dipendente dal grado di assorbimento individuale del colesterolo dietetico, cosa che induce l’Istituto superiore di sanità a suggerire che sia il medico a valutare l’opportunità di consigliare l’utilizzo di queste preparazioni sulla base delle caratteristiche metaboliche dei pazienti.

Di talchè i messaggi sono ritenuti "omissivi e fuorvianti" poiché non offrono al consumatore parametri oggettivi o informazioni più esaurienti che gli consentano di comprendere la reale efficacia del prodotto, avvalorando, invece, il falso convincimento che il prodotto costituisca soluzione della problematica colesterolo e di conseguenza elimini il rischio cardiovascolare, nonché insufficienti a chiarire l’azione ausiliaria del prodotto, e ciò tenendo conto anche dell’effettivo target dei consumatori.

La stessa funzione del prodotto quale coadiuvante di una dieta equilibrata viene ritenuta segnalata in modo non adeguato a bilanciare l’enfasi assertiva della comunicazione sull’efficacia, perché affidata ad incisi, a laconiche affermazioni ovvero inserita nelle scritte a fondo schermo di scarsa leggibilità, ciò che induce a ritenere che per prevenire e ridurre il colesterolo e conseguentemente il rischio cardiovascolare, occorre evitare eccessi alimentari (laddove ciò non basta per l’ipercolestolemia, che richiede vere e proprie restrizioni dietetiche), e assumere Danacol quale soluzione facile, naturale ed efficace.

L’Autorità segnala altresì l’equivoco: di presentare il problema colesterolo come affrontabile e risolvibile mediante strategie e soluzioni derivanti da un’autonoma elaborazione del consumatore o da suggerimenti di conoscenti; di suggerire che la riduzione del colesterolo derivante dall’uso del prodotto non sia temporanea ma definitiva; di suggerire che per ridurlo o anche cautelativamente per prevenirlo sia sufficiente evitare eccessi alimentari e bere Danacol.

Ulteriore scorrettezza viene rilevata nell’utilizzo del logo relativo ad un importante associazione di medici, accompagnata dalla menzione di iniziative congiunte sulla corretta alimentazione, con il chiaro intento di dare credibilità al prodotto e rafforzarne il vanto di efficacia ("scientificamente dimostrata"), in quanto il consumatore percepisce l’inserimento del prodotto nella dieta quale rimedio per il colesterolo suggerito ed avallato in ambito medico.

Per le medesime ragioni, l’Autorità stigmatizza la scorrettezza delle modalità delle schede recanti i suggerimenti sulle abitudini alimentari e sullo stile di vita da seguire in caso di ipercolesterolemia, inserite nel sito, frutto della collaborazione con la predetta associazione, che mescolano elementi informativi di impronta medicoscientifica con la volontà promozionale, apparendo scorretta in particolar modo la parte in cui si prospetta un esempio di dieta prevedente l’assunzione di un Danacol al giorno, o comunque di un alimento addizionato di steroliDanacol, così inducendo il convincimento che il consumo giornaliero del prodotto sia raccomandato in ambito medico.

Altre scorrettezze vengono rinvenute:

– nelle modalità incomplete con le quali le pratiche citano tests e studi per suffragare la scientificità degli assunti sull’efficacia del prodotto, mai accompagnate da riferimenti bibliografici che consentano una verifica diretta delle asserzioni, né da una sintesi degli stessi, condotta che l’Autorità non rileva giustificata dalla limitatezza del mezzo, con riferimento al sito;

– nella mancata evidenziazione o nell’assenza, negli spot, delle specifiche indicazioni di cui al reg. CE 608/2004 per l’etichettatura dei prodotti addizionati di fitosteroli, che servono anche a evidenziare alcune cautele nel loro utilizzo, quali l’indicazione che il quantitativo di steroli non deve superare i 3 g. al giorno, che il prodotto è destinato esclusivamente a chi intende ridurre i livelli di colesterolo nel sangue, che i pazienti che seguono un trattamento ipocolesterolemizzante devono consumare il prodotto solo sotto controllo medico, che lo stesso potrebbe risultare inadeguato sotto il profilo nutrizionale per le donne in stato di gravidanza e in allattamento e per i bambini al di sotto dei 5 anni, e che l’assunzione del prodotto va prevista nel quadro di una dieta varia e bilanciata che prevede un consumo regolare di frutta e verdura, per contribuire a mantenere i livelli di carotenoidi. E pur tenendo conto delle restrizioni imposte dal mezzo che avrebbero giustificato il rinvio alla confezione, l’Autorità valuta che il messaggio sia scorretto in quanto solo alcune delle avvertenze e il rinvio alla confezione sono riportate in super, redatto con caratteri di scarsa visibilità, che compare sulla parte bassa dello schermo, mentre la scena inevitabilmente monopolizza l’attenzione del consumatore.

Infine, l’Autorità riconosce che trattasi di requisiti per l’etichettatura del prodotto che si trovano puntualmente nella confezione di Danacol, ma rileva che la citazione delle condizioni e delle limitazioni d’uso dello stesso sia essenziale anche nelle comunicazioni commerciali, che rappresentano il primo momento di aggancio del consumatore e di sollecitazione della domanda.

6. Occorre riferire a questo punto che, nelle more del giudizio, come risulta dal reg. UE n. 384/2010, pubblicato su GUCE il 6 maggio 2010, versato in atti dalla ricorrente, la società D. France è stata autorizzata, ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. a) del reg. (CE) n. 1924/2006 all’uso di indicazioni relative alla riduzione del rischio di malattie relativamente al prodotto Danacol.

Come risulta dal relativo allegato, l’indicazione approvata è riferita alla "dimostrazione che gli steroli vegetali e gli esteri di steroli vegetali riducono il colesterolo nel sangue. L’ ipercolesterolemia costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiache coronariche".

Le condizioni d’uso consistono nell’informare "il consumatore che l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione quotidiana di almeno 1,52,4 di steroli/stanoli vegetali. Si può fare riferimento alla portata dell’effetto solo per alimenti delle categorie seguenti: margarine spalmabili, prodotti lattierocaseari, maionese e salsa da insalata. Quando si fa riferimento alla portata dell’effetto, si deve indicare al consumatore l’intera fascia da 7 a 10% nonché il tempo necessario ad ottenere l’effetto in 23 settimane".

6.1. E’ d’uopo riferire, altresì, che la difesa erariale chiarisce che alla data di adozione del provvedimento nessuna autorizzazione preventiva da parte della Commissione risultava essere stata rilasciata per l’etichettatura e la comunicazione promozionale del prodotto Danacol.

Sul punto, però, occorre osservare che l’Autorità non ignorava la pendenza del relativo procedimento (pag. 8 dell’atto impugnato)

7. Ritornando all’esame delle censure interposte avverso il provvedimento, con il quarto motivo di gravame, relativo alla campagna Danacol, la società, premesso che l’informazione pubblicitaria ha rappresentato, e non sempre, il cuore, ma non come organo, bensì come sede dell’irrazionalità e dei sentimenti, lamenta l’erroneità in punto di fatto dell’affermazione contenuta all’inizio delle valutazioni conclusive dell’Autorità (VI.1), ove si rileva che la pratica "è nel suo complesso incentrata sulle proprietà salutistiche del prodotto in rapporto al colesterolo quale fattore di rischio delle malattie cardiovascolari". L’assunto risulterebbe confortato dalla descrizione delle pratiche come risultante da altra parte del provvedimento (III.2.A).

7.1. L’argomentazione è irrilevante.

Invero, l’affermazione è di carattere palesemente descrittivoriassuntivo, e, in quanto tale, non risulta neanche errata, atteso che, come si rileva dalla puntuale descrizione della campagna Danacol, in essa sono anche presenti messaggi attinenti al cuore, quali:

– il messaggio pubblicato a tutta pagina su quotidiani e periodici da settembre 2007 a ottobre 2008 è incentrato su una dicitura di grandi dimensioni "Contro il Colesterolo il cuore dice Danacol. La ragione pure" Sotto tale dicitura compare la raffigurazione del prodotto all’interno di un cuore. Nella parte inferiore della pagina, con caratteri minori, si afferma, tra altro, che "Danacol mette d’accordo cuore e ragione, poiché aiuta a ridurre il colesterolo in modo naturale già dopo 3 settimane…";

– il messaggio in occasione della ricorrenza di S. Valentino 2008, caratterizzato dalla dicitura principale: "A S. Valentino fai un regalo al tuo cuore. Prova Danacol’;

– il sito internet www.danacol.it nelle pagine dedicate a trattare tematiche generali connesse con il colesterolo, del quale si illustrano i processi di formazione, la funzione svolta nell’organismo e l’incidenza dello stesso sulle malattie cardiovascolari delle quali rappresenta uno dei fattori di rischio. Una specifica sezione del sito reca una scheda frutto della collaborazione tra SIMG e Danacol nella quale vengono enunciati consigli sullo stile di vita da adottare per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, già in parte trattati nella sezione del sito "Proteggi il tuo cuore";

– alcuni cartelloni o vestizioni di ascensori presso ospedali contengono, tra altro, la dicitura "Contro il Colesterolo il cuore dice Danacol’.

Di talchè, se anche è vero quanto sostenuto dalla parte ricorrente che tutti i messaggi erano incentrati sulla capacità del prodotto di ridurre il colesterolo, ma che non tutti contenevano un riferimento al cuore, è altresì vero che alcuni di essi lo contenevano.

Ma, soprattutto, ciò che più rileva ai fini di escludere la conducenza della censura è che la piana lettura delle pagg. da 30 a 35 del provvedimento dimostra che, al di là dell’affermazione in parola, ciò che è stato stigmatizzato dal provvedimento non è il richiamo effettuato nelle campagne Danacol alle malattie cardiovascolari, ma l’assenza di una serie di indicazioni, avvertenze e precisazioni indispensabili al fine di fornire ai consumatori una precisa percezione dell’efficacia del prodotto contro il colesterolo e dei confini della sua utilizzabilità.

8. Con la quinta censura la società afferma che mancherebbe, nella specie, una delle coordinate identificative essenziali della pratica commerciale scorretta, ovvero la contrarietà della condotta dell’operatore commerciale alla diligenza professionale.

Con la sesta censura la società lamenta che, poiché la capacità di Danacol di ridurre comunque i livelli di colesterolo nel sangue nell’arco di tre settimane (intorno al 10 % del livello di partenza) è esplicitamente riconosciuta dal provvedimento impugnato, sulla base della documentazione e dei pareri acquisiti al procedimento, tra cui il rapporto ed il parere dell’Istituto Superiore di Sanità, erra l’Autorità quando afferma, in riferimento a Danacol, che i prodotti possono avere una loro efficacia in abbinamento ad una modifica dell’alimentazione e ad un cambiamento delle abitudini di vita, in caso di ipercolesterolomia lieve, e che il loro utilizzo può essere suggerito in associazione ad una terapia farmacologia, in caso di ipercolesterolomia grave, distinzione che, per quanto sopra, non attiene all’efficacia del prodotto.

Inoltre, per un verso, il provvedimento attribuirebbe alla campagna Danacol affermazioni o rivendicazioni che nella stessa non compaiono (efficacia del prodotto nella eliminazione del rischio cardiovascolare), e, per altro verso, ometterebbe di prendere in considerazione i numerosi punti in cui i vari messaggi promozionali sottolineano la necessità, in caso di colesterolo in eccesso, di seguire una dieta ed uno stile di vita equilibrato, indicando il prodotto solo come coadiuvante nella riduzione dello stesso.

8.2. I due mezzi meritano una trattazione congiunta, e risultano fondati nei sensi di cui in seguito.

8.3. Come riferito al precedente punto 5, l’Autorità è partita dal presupposto, ritenuto accertato nel corso dell’istruttoria procedimentale, per effetto dei pareri tecnici acquisiti, che i prodotti addizionati di steroli, come il Danacol, possono avere efficacia contro il colesterolo lieve, se complementari ad una radicale modifica dell’alimentazione e delle abitudini di vita, e contro il colesterolo grave, se associati ad una terapia farmacologia e sotto controllo medico.

Ma una tale evidenza, che riferisce delle due diverse condizioni che devono sussistere, secondo l’Autorità, per apprezzare l’efficacia del prodotto, non emerge, però, dai paragrafi del provvedimento dedicati agli studi scientifici acquisiti al procedimento.

Trattasi, in particolare, sia di sperimentazioni e pareri medici prodotti dalla società, sia di rapporti e pareri resi dall’Istituto superiore di sanità, riassunti nel provvedimento alle pagg. 1318, e, sul punto, così ulteriormente sintetizzabili:

– i tre studi scientifici prodotti dalla società riferiscono che, nei soggetti con moderata ipercolesterolemia, il fitosterolo (componente di Danacol) ha dimostrato la capacità di ridurre i livelli di colesterolo nel sangue nell’arco di tre settimane, secondo le percentuali ivi riportate;

– le relazioni dei due nutrizionisti interpellati dalla società riferiscono che l’assunzione sistematica di un prodotto arricchito di fitosteroli consente di ottenere una riduzione del colesterolo intorno al 10%, obiettivo ritenuto sufficiente nei casi di ipercolesterolomia lieve, e che l’assunzione di fitosteroli produce risultati importanti anche in pazienti con rischio cardiovascolare elevato già in trattamento con statine, in quanto l’effetto degli steroli si somma a quello delle statine;

– il rapporto dell’Istituto superiore di sanità del 2007 rileva che recenti indicazioni nutrizionali inducono ad incoraggiare il consumo di prodotti addizionati con fitosteroli, poiché numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato che gli stessi esercitano una significativa azione ipocolesterolemizzante e potrebbero pertanto rappresentare un ulteriore strumento per la riduzione del rischio cardiovascolare;

– lo stesso rapporto riferisce che nel caso di ipercolesterolemie severe si va affermando una strategia terapeutica che abbina la terapia farmacologia ad un adeguato stile di vita nell’ambito del quale viene suggerita l’assunzione di prodotti contenenti fitosteroli, poichè gli effetti benefici causati dall’assunzione contemporanea di statine e steroli nella riduzione del colesterolo si sommano, e avverte che particolarmente utile può risultare l’associazione dei fitosteroli alle statine nel caso di soggetti con ipercolesterolemie severe;

– il parere dell’Istituto superiore di sanità acquisito con specifico riferimento al procedimento in parola afferma che, come riportato in letteratura scientifica, la dose giornaliera di steroli efficace per il sopra menzionato effetto di circa il 10% di riduzione dei livelli plasmatici iniziali di colesterolo è compresa tra 1,5 -3,0 gr/die, dose verosimilmente efficace.

E’ pertanto lecito dedurre, come fa la società, che la documentazione e i pareri acquisiti al procedimento fanno emergere la capacità di un prodotto che vede gli steroli tra i suoi componenti, come Danacol, di ridurre comunque i livelli di colesterolo nel sangue nell’arco di tre settimane indipendentemente dal grado di ipercolesterolemia.

E se tale riduzione, può aggiungersi, è sufficiente per il trattamento della ipercolesterolemia lieve, ma non per quella severa, ciò attiene, evidentemente, non all’efficacia del prodotto, bensì al risultato che il soggetto che intende consumare il prodotto si propone di raggiungere.

Ciò posto, è evidente che un siffatto erroneo punto di partenza non può non aver condizionato l’iter argomentativo che ha condotto l’Autorità alla valutazione di scorrettezza delle pratiche, nell’apprezzamento, cioè, del grado di scostamento dei singoli contenuti dei messaggi pubblicitari considerati, e, conseguenzialmente, della correlata contrarietà della condotta della società alla diligenza professionale.

Ci si riferisce, in particolare, tra i molteplici profili motivazionali emergenti dal provvedimento, che pervengono al giudizio di scorrettezza delle pratiche commerciali in argomento partendo da varie visuali prospettiche, a quelli nei quali l’Autorità, pur non obnubilando l’efficacia in se del prodotto, premessa che il provvedimento non solo non ignora, ma mette altresì in luce, muove specificamente alla società, ed in senso molto radicale, la critica di incompletezza e omissività dei messaggi pubblicitari che, ruotando intorno a tale evidenza, non la corredano delle indicazioni e delle limitazioni che proprio tale efficacia presuppongono, in relazione al ruolo, limitato e parziale, ovvero di coadiuvante, svolto dal prodotto stesso nell’incidere sui livelli di colesterolo in eccesso, a secondo del loro grado,.

Laddove, invece, tali argomentazioni, per quanto sopra chiarito, attengono, più propriamente, non alle qualità del prodotto, bensì all’ambito delle scelte da intraprendersi dal soggetto affetto da ipercolesterolemia ai fini del ripristino di una buona condizione di salute, in relazione alla gravità della patologia.

Pertanto, dette argomentazioni, in quanto tali, non attengono all’area di responsabilità dell’operatore commerciale, il cui obbligo di fornire ai consumatori una precisa percezione dell’efficacia del prodotto non può ritenersi talmente esteso da ricomprendervi l’orientamento verso le più sane scelte di vita.

9. Con la settima censura la società avversa l’affermazione dell’Autorità che l’utilizzo nella comunicazione pubblicitaria Danacol del logo di un importante associazione di medici, accompagnato dalla menzione di iniziative congiunte sulla corretta alimentazione, induce il consumatore a credere che il prodotto sia rimedio per il colesterolo suggerito e avallato in ambito medico.

9.1. Il motivo è infondato.

Come correttamente riferito dalla difesa erariale, non possono esservi infatti dubbi, alla luce della giurisprudenza della Sezione (Tar Lazio, I, 26 marzo 3009, n. 3149; in tema, anche 16 gennaio 2010, n. 314), che l’utilizzazione del logo in parola è idonea a indurre in errore i consumatori in ordine al fatto che il prodotto potrebbe essere approvato direttamente o indirettamente dalla classe medica.

Irrilevanti si dimostrano, in tal senso, le osservazioni che parte ricorrente ha svolto con riferimento alla circostanza che il logo sia stato contestualizzato con l’indicazione della "collaborazione finalizzata ad una corretta informazione nutrizionale nei casi di ipercolesterolemia", ciò che non muta la suscettibilità del messaggio di essere inteso quale elemento di accrescimento della connotazione qualitativa del bene, veicolato anche per il tramite di una sorta di "accreditamento" rilasciata da soggetto di particolare credibilità professionale.

Del resto, l’intendimento recettivo, che si manifesta in tutta la sua pienezza sol che si consideri che, quanto al messaggio pubblicitario pubblicato sul sito, esso era corredato da una scheda contenente una serie di consigli anche di carattere alimentare, nell’ambito dei quali vi era quello di consumare un Danacol al giorno, e che non può che essere riferito alla società, rende irrilevante quanto asserito dalla medesima che le schede siano state redatte direttamente dall’Associazione medica in questione.

Rilevato, poi, che il provvedimento richiama l’art. 12 del reg. n. 1924/06, che reca un espresso e tassativo divieto di inserire nell’etichettatura o nei messaggi pubblicitari indicazioni che fanno riferimento al parere di un singolo medico o altro operatore sanitario e altre associazioni non contemplate dall’art. 11, che rimanda alle pertinenti norme nazionali, che non sussistono, la società opina che proprio tale ultima norma evidenzierebbe la insussistenza di un divieto comunitario di far riferimento alle opinioni e agli avalli delle associazioni mediche nazionali.

La conclusione, invece, è proprio opposta: come, infatti, anche qui correttamente rilevato dalla difesa erariale, la chiara portata del citato art. 12 fa decisamente propendere per la conclusione che mancando norme nazionali e comunitarie specifiche che introducono eccezioni al divieto, esso deve considerarsi generale e non derogabile.

Ulteriormente osservato che l’art. 21 del codice del consumo prevede che "è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio… e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso" in ragione "delle caratteristiche principali del prodotto, quali… le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto", deve concludersi che legittimamente l’Autorità ha qualificato scorretta l’utilizzazione del logo in parola in alcune comunicazione pubblicitarie relative al prodotto Danacol.

10. Con l’ottava censura la società avversa la parte del provvedimento che imputa alla comunicazione pubblicitaria Danacol omissioni ingannevoli, consistenti nella omessa indicazione di riferimenti bibliografici ai test ed agli studi menzionati, senza valutare che, nella specie, non è credibile che essi siano rilevanti ai fini della decisione del consumatore.

10.1. L’affermazione non può essere seguita, essendo affetta da una intrinseca contraddittorietà, atteso che è stata proprio la società a inserire nei claim promozionali il riferimento a studi clinici attestanti l’efficacia del prodotto.

10.2. Con lo stesso mezzo la società sostiene che il provvedimento erra quando imputa alla stessa comunicazione pubblicitaria l’omissione delle avvertenze di cui al reg. CE n. 608/1924, ovvero delle indicazioni obbligatorie nell’etichettatura dei prodotti addizionati di fitosteroli, che sono effettivamente presenti nell’etichettatura del prodotto, e devono considerarsi riportate anche nella comunicazione pubblicitaria, che rimanda alla confezione.

10.3. Neanche tale censura può essere accolta.

Deve rammentarsi che, come rilevato dal provvedimento, le indicazioni di cui l’Autorità ha rilevato l’omissione consistono in importanti limiti di utilizzo, espressamente indicati nel provvedimento (quali l’indicazione che il quantitativo di steroli non deve superare i 3 g. al giorno, che il prodotto è destinato esclusivamente a chi intende ridurre i livelli di colesterolo nel sangue, che i pazienti che seguono un trattamento ipocolesterolemizzante devono consumare il prodotto solo sotto controllo medico, che lo stesso potrebbe risultare inadeguato sotto il profilo nutrizionale per le donne in stato di gravidanza e in allattamento e per i bambini al di sotto dei 5 anni, che l’assunzione del prodotto va prevista nel quadro di una dieta varia e bilanciata che prevede un consumo regolare di frutta e verdura, per contribuire a mantenere i livelli di carotenoidi).

L’Autorità ha espressamente riconosciuto che tali indicazioni si trovano puntualmente nella confezione di Danacol.

E purtuttavia, anche tenendo conto delle restrizioni imposte dal mezzo televisivo, che avrebbero giustificato il rinvio alla confezione, l’Autorità ha valutato, condivisibilmente, il messaggio scorretto in quanto solo alcune delle avvertenze e il rinvio alla confezione sono riportate in super, redatto con caratteri di scarsa visibilità, che compare sulla parte bassa dello schermo, mentre la scena inevitabilmente monopolizza l’attenzione del consumatore.

11. Con l’ultimo motivo di gravame la società contesta la quantificazione delle sanzioni.

11.1. Al riguardo, è bene premettere che, quanto alla campagna pubblicitaria Danacol, l’atto impugnato premette che, ai sensi dell’art. 27, comma 9 del codice del consumo, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta è disposta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 500.000 euro, avuto riguardo alla gravità e durata della violazione, specificando che nella determinazione deve tenersi conto, in quanto applicabili, dei criteri individuati dall’art. 11 l. 689/1981, in virtù del richiamo previsto dall’art. 27, comma 13 dello stesso codice.

In relazione alla gravità della violazione relativa alle pratiche commerciali predette (Danacol), l’Autorità ha fatto presente di tener conto: dell’importanza e della dimensione economica dell’operatore, società di rilevanti dimensioni con ricavi nell’ultimo esercizio pari a oltre 400 milioni di euro, che può considerarsi un importante industria nel settore alimentare molto nota presso il pubblico; della rilevata scorrettezza della condotta sotto una pluralità di profili, in un settore ove è richiesto un particolare livello di cautela, qual’è quello della pubblicità di prodotti alimentari attraverso indicazioni salutistiche; della reiterata e vasta diffusione dei messaggi censurati, che hanno raggiunto un grande numero di consumatori.

Per quanto concerne la durata della violazione, l’Autorità la ritiene superiore all’anno (almeno tutto il 2008 fino ad aprile 2009).

Considerati tali elementi, la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata è pari a Euro 250.000,00.

11.2. Sul punto, non può non riferirsi, quand’anche la censura potesse ritenersi superata da quanto in seguito, che la ricorrente contesta la rilevata ricorrenza della gravità della violazione, sulla scorta del tempo intercorso tra la segnalazione ricevuta dall’Autorità e la conclusione del procedimento, senza che l’Autorità medesima abbia dato adottato un provvedimento di sospensione ex art. 27, comma 3 del codice del consumo, che il Collegio non può accedere a tale conclusione, tenuto conto della complessità del procedimento e delle relative acquisizioni istruttorie. Inoltre, va anche rilevato che la valutazione dei presupposti per l’adozione della misura cautelare non coincide con la valutazione della gravità della condotta ai fini sanzionatori.

11.3. Peraltro, rammentato che nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione amministrativa, comprese quelle applicate dalle autorità amministrative indipendenti, il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c) del d. lgs. 104/2010, all’accertata parziale illegittimità, per quanto al precedente punto 8, del provvedimento impugnato in relazione alle campagne pubblicitarie Danacol, consegue l’esercizio da parte del Collegio del potere giurisdizionale di merito di cui al citato art. 134, lett. c) del codice del processo amministrativo.

Per l’effetto, il Collegio stima equa, con riferimento alla campagna pubblicitaria Danacol, l’irrogazione alla ricorrente di una sanzione pecuniaria complessiva pari a Euro 75.000,00 in luogo della sanzione complessiva di Euro 250.000,00 rinveniente dal provvedimento impugnato.

11.4. In riferimento alla seconda violazione pure autonomamente accertata dal provvedimento, relativa alla campagna pubblicitaria denominata "Mese del Cuore",l’Autorità, richiamate le precedenti valutazioni effettuate in relazione all’importanza dell’operatore, tiene conto dell’estensione della campagna, svolta attraverso mezzi di diffusione idonei a raggiungere un elevato numero di consumatori, come dimostrano i dati di adesione.

Per quanto concerne la durata della violazione, essa è ritenuta breve (un mese).

L’Autorità prende poi in considerazione il comportamento tenuto dal professionista, che si è adoperato per attenuare nei confronti dei consumatori l’effetto della condotta ingannevole, e perviene all’irrogazione alla società per tale seconda pratica della sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 50.000,00.

11.5. La società, asserita la lieve entità della scorrettezza rilevata a carico di detta seconda campagna, che ritiene desumibile dallo stesso provvedimento, ribadito di aver adottato misure correttive che hanno comportato anche l’esborso di una notevole somma di denaro (Euro 120.000,00), nonché richiamata la brevità della durata della stessa, contesta la rilevata gravità dell’infrazione, e, per l’effetto, la misura della sanzione, ritenuta, altresì, "singolarmente" pari alla somma per legge devoluta all’Autorità a fronte di ogni sanzione comminata (art. 9, d.l. 207/08).

11.6. In disparte i commenti extranormativi, la censura è priva di fondamento, in quanto fondata su un elemento (lievità dell’infrazione) autonomamente assunto dal ricorrente in palese contraddittorietà con la qualificazione discrezionale operata dal provvedimento (gravità dell’infrazione). Inoltre, risulta per tabulas che l’Autorità ha apprezzato espressamente sia la brevità della durata dell’infrazione, sia il ravvedimento operoso posto in essere dalla società.

12. Per tutto quanto precede, e in definitiva, il ricorso va accolto in parte, nei sensi e nei limiti indicati, e, per l’effetto, deve essere riformato il punto c) della delibera impugnata nonchè fissata in Euro 75.000,00 (settantacinquemila) la sanzione amministrativa pecuniaria da irrogare alla società ricorrente in riferimento alla campagna pubblicitaria Danacol.

Le spese di lite, considerata la parziale reciproca soccombenza, sono integralmente compensate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie in parte, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, riforma il punto c) della delibera impugnata fissando in Euro 75.000,00 (settantacinquemila) la sanzione amministrativa pecuniaria da irrogare alla società ricorrente in riferimento alla campagna pubblicitaria Danacol.

Spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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