Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-04-2011, n. 9242 Trasferimento di azienda

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19.6.2006 la Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di Milano, con la quale era stato accertato il passaggio di B.C. alle dipendenze della società Starfly srl in conseguenza del trasferimento del ramo d’azienda dalla Stam srl (ora Travel Int srl) alla Starfly, con la condanna della stessa Starfly al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa della mancata corresponsione della retribuzione dal momento in cui la Stam aveva cessato di avvalersi della sua attività lavorativa non retribuendolo. Nel pervenire a tale conclusione, il giudice d’appello ha osservato che nel trasferimento d’azienda, avvenuto per la totalità del personale addetto al trasporto, non poteva non essere compreso anche il B., dovendo ritenersi l’illegittimità di accordi tra cedente e cessionario volti ad escludere il passaggio alle dipendenze dell’impresa cessionaria dei dipendenti addetti al ramo ceduto (nella specie, secondo quanto dedotto dalla Travel Int, vi sarebbe stata l’intesa di trattenere il B. presso la Stam finchè questi non avesse conseguito l’abilitazione a condurre automezzi con più di nove posti).

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Starfly srl affidandosi a due motivi cui resistono con controricorso il B. e la Travel Int srl.

La ricorrente e il B. hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e della L. n. 428 del 1990, art. 47 formulando il seguente quesito di diritto: "se, in base all’art. 2112 c.c., debba escludersi che si configuri violazione della norma medesima, allorchè, in ipotesi di cessione di ramo d’azienda, cedente e cessionario si accordino nel senso di escludere il passaggio alle dipendenze dell’impresa cessionaria di uno o più lavoratori già addetti al ramo ceduto, previo espletamento della procedura di consultazione sindacale L. n. 428 del 1990, ex art. 47 ". 2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, sul rilievo che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della volontà manifestata dalle parti nel contratto di cessione di ramo d’azienda e dal B. con il proprio comportamento concludente nel senso di escludere il passaggio del lavoratore alle dipendenze dell’impresa cessionaria.

3. – Il primo motivo è inammissibile, il secondo infondato. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia applicato un principio opposto a quello affermato dalla S.C. in tema di trasferimento di azienda (cfr. al riguardo Cass. n. 11422/2000), e cioè al principio secondo cui, in caso di trasferimento di un ramo d’azienda, la L. n. 428 del 1990, art. 47 e l’ art. 2112 c.c. garantiscono la continuazione del rapporto e la salvaguardia dei diritti acquisiti (salva la facoltà dell’alienante prevista dall’art. 47, comma 4, L. cit. di esercitare il recesso, nel rispetto della normativa sui licenziamenti), ma non il passaggio alle dipendenze dell’impresa cessionaria di tutti i dipendenti già addetti al ramo ceduto, sicchè l’esclusione di taluni lavoratori dal passaggio all’impresa cessionaria prevista nell’accordo concluso dalle imprese interessate a seguito dell’espletamento a norma di legge della procedura di consultazione sindacale, non può ritenersi lesiva dei diritti dei suddetti lavoratori. A tal proposito, la ricorrente formula il quesito di diritto sopra riportato, quesito a tenore del quale dovrebbe ritenersi accertata l’esistenza di un accordo tra l’impresa cedente e quella cessionaria tendente ad escludere il passaggio del B. alla società Starfly, previo espletamento della suddetta consultazione sindacale. Senonchè, come esattamente eccepito dal B., l’esistenza di tale accordo non è stata affatto accertata e dichiarata dal giudice del merito, sicchè, in questo caso, la censura della ricorrente avrebbe dovuto contestare, se mai, l’adeguatezza della motivazione, perchè conseguente ad un apprezzamento di merito, e non invece sostenere la violazione o disapplicazione della norma di legge di cui all’art. 2112 c.c. la cui interpretazione non è stata posta in discussione da tale apprezzamento (cfr. in una fattispecie analoga, Cass., sez. unite, n. 28536/2008). Il vizio di violazione di legge consiste, infatti, nella deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. ex multis Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 8730/2010, Cass. n. 18782/2005, Cass. n. 15499/2004). Di qui l’inammissibilità del primo motivo.

4.- Il secondo motivo è infondato. Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe travisato i fatti e giudicato in contrasto con gli elementi oggettivi emergenti dagli atti di causa, non tendo conto, in particolare, della volontà espressamente manifestata dalle parti nel contratto di cessione di ramo d’azienda (nel senso di escludere il passaggio del B. alla società cessionaria) e della volontà manifestata tacitamente, ma univocamente, dal lavoratore di continuare il rapporto di lavoro con al società Stam.

La censura, che attiene in realtà alla valutazione degli elementi di prova e all’apprezzamento dei fatti operato dal giudice d’appello, è, come si è detto, priva di fondamento. Come è stato costantemente ribadito da questa Corte, il vizio di omessa o insufficiente motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittorietà della motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr. ex multis Cass. n. 6064/2008, Cass. n. 12052/2007, Cass. n. 7972/2007).

Nella specie, la Corte territoriale, confermando la statuizione del primo giudice, ha ritenuto che, sulla base delle risultanze di causa, dovesse ritenersi provato che nel trasferimento del ramo d’azienda era compreso anche il passaggio del B. alle dipendenze dell’impresa cessionaria, non rilevando che il lavoratore avesse continuato a prestare la propria attività lavorativa ancora per qualche mese presso l’impresa cedente, essendosi trattato "solamente di trattenere il dipendente presso Stam, nell’attesa che conseguisse l’idoneità a condurre automezzi con più di nove posti (poi effettivamente conseguita in data 15.10.2002)".

Si tratta di un valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, e dunque non assoggettabile alle censure che le sono state mosse in questa sede di legittimità – anche perchè dalle deduzioni svolte dalla ricorrente nel ricorso per cassazione non risulta che sia intervenuto espressamente all’interno delle trattative con le organizzazioni sindacali un accordo sul mantenimento dell’occupazione idoneo ad escludere l’applicazione dell’art. 2112 c.c. (cfr. al riguardo Cass. n. 8292/2006) – sicchè le censure espresse rimangono confinate ad una mera contrapposizione rispetto a tale valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest’ultima.

5.- Il ricorso va quindi rigettato.

6.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 21,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali in favore di B.C. e in Euro 20,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali in favore della Travel Int srl.

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