Sulla utilizzabilità delle registrazioni di colloqui privati in assenza di decreto autorizzativo. Corte di Cassazione penale, Sezione II, ‘8 marzo 2010 n. 9132.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA IN FATTO

La Corte di appello di Ancona, con sentenza in data 28/4/2009, confermava la sentenza del Tribunale di Ancona, in data 25/10/2006, appellata da XXX, condannato, con le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di anni sei di reclusione e € 1200 di multa, con le pene accessorie di legge, in quanto ritenuto colpevole di estorsione aggravata e continuata, in concorso con YYY, per aver simulato un episodio di molestie sessuali da parte del parroco della chiesa di San Francesco di Assisi in Jesi in danno di ZZZ, madre di YYY, con una apparente casuale, quanto repentina, irruzione sul luogo del fatto, chiedendo poi, al parroco, la somma complessiva di € 10.000 per non denunciare l’episodio all’autorità giudiziaria.
Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’ imputato, deducendo i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 606, comma primo lettera c) c.p.p., per l’inutilizzabilità della registrazione eseguita dalla polizia giudiziaria durante le indagini preliminari aventi per oggetto una conversazione tra presenti, ascoltata dai pubblici ufficiali operanti, per carenza assoluta del decreto autorizzativo, in violazione degli articoli 271 e 266 c.p.c, trattandosi di intercettazione ambientale;
b) violazione dell’art. 606, comma primo lettera b) c.p.p., e 133 c.p. per la carente motivazione sulla quantificazione della pena, ritenuta eccessiva stante l’incensuratezza dell’imputata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
1)Con riferimento al primo motivo, nella sentenza, peraltro, si dà atto della legittimità, quale elemento di prova, della registrazione di una conversazione telefonica da parte di uno degli interlocutori.
Questa Corte, rifacendosi a un indirizzo giurisprudenziale condiviso, ritiene utilizzabile, anche senza che vi sia stato un provvedimento dell’autorità giudiziaria, il contenuto di colloqui privati registrati da uno degli interlocutori, a nulla rilevando né che la registrazione sia stata da lui effettuata su richiesta della polizia giudiziaria, né che egli stesso agisca utilizzando materiale da questa fornito ovvero addirittura appartenga alla polizia giudiziaria, sempre che il partecipante si limiti solo a registrare, come ipotizzato nella fattispecie, la conversazione, senza utilizzare apparecchi mediante i quali terzi estranei e, in particolare, la polizia possano captarne il contenuto durante il suo svolgimento e procedere all’ascolto diretto, perché in tal caso sussisterebbe una vera e propria intromissione nella sfera di segretezza e libertà delle comunicazioni costituzionalmente presidiata e si realizzerebbe indirettamente una intercettazione ambientale senza la previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria (Sez. 1, Sentenza n. 30082 del 23/01/2002 Ud. (dep. 27/08/2002 ) Rv. 222085)
Peraltro anche la registrazione ad opera della polizia giudiziaria dei colloqui con le persone informate sui fatti non costituisce attività d’intercettazione in senso tecnico, perché proviene da uno dei soggetti che ha partecipato alla conversazione, ma integra una legittima modalità di documentazione fonica, che non lede alcun principio costituzionale pur quando è realizzata in modo occulto, in quanto la Costituzione tutela la libertà e la segretezza delle comunicazioni, non la loro riservatezza (Sez. 2, Sentenza n. 2829 del 15/2/2005 Ud. (dep. 24/01/2006 ) Rv. 233331 )
2) Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Correttamente la Corte ha ritenuto valida la motivazione del giudice di primo grado in relazione alla determinazione della pena, considerata l’obiettiva gravità dei fatti e l’assenza di qualsivoglia accenno di resipiscenza da parte dell’imputata, ancorché la stessa, dopo essersi resa latitante, si sia costituita, evidenziando il ruolo primario svolto dalla stessa che ha condotto le trattative e ha preso in consegna le somme versate dalla parte lesa (pag. 6 e 7 sentenza).
In proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio -condiviso dal Collegio- che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004 Ud. – dep. 26/10/2004 – Rv. 230278).
A fronte di quanto sopra il ricorrente contrappone solo contestazioni, che non tengono conto delle argomentazioni del Corte di appello.
In proposito questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Cosi deliberato in camera di consiglio, il 24.2.2010
DEPOSITATO IN CANCELLERIA L’8 MARZO 2010

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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