T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 28-02-2011, n. 1785

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato alle Amministrazioni in epigrafe in data 24 gennaio 2006 e depositato il 31 gennaio successivo, i ricorrenti, cittadini filippini, espongono di avere richiesto il visto per recarsi in Italia a trovare le figlie titolari di altrettanti permessi di soggiorno nella stessa Nazione, ma di avere ricevuto il diniego opposto.

Avverso tale provvedimento deducono: violazione dell’art. 4 del T.U. di cui al d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, mancanza assoluta di motivazione, eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria.

Concludono chiedendo l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio, rassegnando conclusioni opposte a quelle dei ricorrenti.

Alla Camera di Consiglio del 16 marzo 2006 la richiesta cautelare è stata accolta ai fini del riesame.

In assenza di ogni utile notizia offerta dai difensori dei ricorrenti o dall’Amministrazione circa l’esito del disposto riesame, il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 20 gennaio 2011.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.

Con esso i ricorrenti, cittadini filippini, impugnano il diniego di visto per turismo loro opposto dall’Amministrazione degli esteri, stringatamente motivato in base all’art. 4, commi 2 e 3 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, sostanzialmente, lamentando che dalla documentazione allegata alla domanda emerge che nulla ostava al rilascio del visto che, invece, è stato rigettato inopinatamente pur sussistendo tutti i requisiti, in particolare per il visto per turismo: infatti lo scopo era quello di recarsi in visita alle figlie residenti in Roma e con l’occasione vedere anche la città. Insistono che la deroga al generale obbligo di motivazione recata dalla norma sopra riportata non può tradursi in un atteggiamento arbitrario, come peraltro stigmatizzato dal TAR in altre analoghe occasioni (sentenza n. 1778 del 2005).

La posizione non può che essere condivisa ed in assenza di ogni diversa contestazione da parte dell’Amministrazione, che non ha reso noto al Collegio l’esito del riesame, il provvedimento impugnato non può che essere annullato.

La norma menzionata nella motivazione del provvedimento dispone che il diniego è disposto dall’autorità consolare, qualora non sussistano i requisiti in capo all’interessato e che l’ingresso nel territorio italiano è consentito allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza.

I ricorrenti hanno documentato l’esigenza di recarsi in visita presso le tre figlie residenti in Italia, tutte regolarmente dotate di permesso di soggiorno, producendo la attestazione di ospitalità di una delle tre signore, la polizza sanitaria e la copia del passaporto.

L’Amministrazione, nella pristina memoria di costituzione, ha rappresentato che i ricorrenti già avevano in precedenza richiesto il visto per motivi turistici, mentre in realtà avevano documentato l’esigenza di effettuare cure mediche in Italia presso la cattedra di otrorinolaringoiatria dell’Ospedale Sant’Andrea in Roma (nota dell’Università di Roma "La Sapienza" – Seconda Facoltà di Medicina e Chirurgia in data 22 marzo 2005) da parte del ricorrente, affetto da una otite cronica e già visitato in precedenza presso quella struttura. In conseguenza di quest’ultima affermazione e non risultando che l’interessato fosse mai entrato in Italia, la richiesta di visto era stata negata, non essendo motivata con le vere ragioni per le quali era stata presentata. Ha sostenuto ancora l’Amministrazione che, sulla base di tale presupposto, dunque, anche la seconda richiesta era stata negata col provvedimento esaminato, dal momento che, a causa del precedente specifico, non si poteva ritenere senza dubbio scongiurato il rischio migratorio e non appariva sufficientemente dimostrato l’interesse dei ricorrenti a far rientro nel proprio Paese al termine del soggiorno richiesto.

Non si può concordare con le conclusioni opposte dall’Amministrazione, stanti le considerazioni rappresentate dal TAR nella cautelare, laddove il Collegio, seppure in diversa composizione, ha osservato che il rischio immigratorio non può assumere la veste di mera clausola di stile, bensì appare idoneo a giustificare il diniego di visto unicamente nel caso in cui risulti supportato da elementi concreti, idonei a differenziare la posizione degli interessati. (TAR Lazio, sezione I quater, ord. n. 1645/2006).

E tale non può essere la presunzione adoperata dall’Amministrazione per basare su un fatto certo, ma relativo alla precedente richiesta di visto, la prova di un fatto incerto e cioè che i ricorrenti anche la seconda volta avrebbero domandato un visto per turismo, quando invece desideravano ottenere un visto per motivi di salute.

In assenza di una diversa prospettazione da parte della resistente Amministrazione degli esteri non può che condividersi l’aspetto della censura con il quale, oltre a far valere la violazione dell’art. 4, commi 2 e 3 del Testo Unico sull’immigrazione, i ricorrenti rilevano una condotta arbitraria da parte dell’Amministrazione, manchevole di ogni idonea ostensione delle ragioni atte a sostenere il diniego di visto.

Nessuna osservazione spende l’Amministrazione sulla circostanza che il ricorrente, in particolare, ha una occupazione alla quale tornare in patria, avendo dichiarato nella richiesta di visto di essere coltivatore diretto di un fondo proprio, coltivato a cocco, riso, frutta e ortaggi, mentre in base alla giurisprudenza della sezione, anche più recente, bastano a scongiurare il "rischio migratorio" "circostanze atte a comprovare che nel Paese di provenienza lo straniero abbia il centro dei suoi interessi e che proprio per questo vi farà ritorno al termine del soggiorno in Italia" (TAR Lazio, sezione I quater, 11 dicembre 2009, n. 12817).

Per le superiori considerazioni l’unica articolata censura va accolta con conseguente accoglimento anche del ricorso ed annullamento dei provvedimenti n. 2407 e 2411 del 16 dicembre 2005 con i quali la Cancelleria consolare presso l’Ambasciata d’Italia in Manila ha negato il visto ai ricorrenti.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti n. 2407 e 2411 del 16 dicembre 2005 con i quali la Cancelleria consolare presso l’Ambasciata d’Italia in Manila ha negato il visto ai ricorrenti.

Condanna il Ministero degli Affari Esteri al pagamento di Euro 1.000,00 (Euro 500,00 cadauno) per spese di giudizio a favore dei ricorrenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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