Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-01-2011) 01-03-2011, n. 7916 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Col provvedimento indicato in epigrafe la Corte di Appello di Palermo ha confermato il decreto in data 23-11-2009, col quale il Tribunale di Palermo ha applicato nei confronti di M.B. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per la durata di anni quattro, con imposizione di una cauzione di Euro 4.000,00.

Il M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con un unico motivo violazione di legge, in relazione alla L. n. 575 del 1965, artt. 1 e 2, L. n. 1423 del 1956, art. 3, comma 1, art. 4, comma 10.

Sostiene che la Corte di Appello non ha dato risposta ai rilievi mossi con i motivi di gravame, con i quali si richiamavano gli atti giudiziari che valevano a comprovare l’insussistenza di collegamenti attuali tra il proposto e l’associazione mafiosa di presunta appartenenza. Fa presente che il M., dopo essere stato condannato in primo grado, è stato assolto in appello, con sentenza divenuta definitiva; e che nell’ambito di tale procedimento, in data 5-7-2002, la Corte di Appello di Palermo ha emesso ordinanza di revoca della custodia cautelare, riconoscendo esplicitamente l’insussistenza di collegamenti tra il M. e l’associazione mafiosa Cosa Nostra sin dal (OMISSIS), giorno in cui il ricorrente ebbe a rendere dichiarazioni eteroaccusatorie in relazione all’omicidio B., risultate decisive ai fini dell’affermazione della responsabilità di G.V. in ordine a tale delitto. Tale ordinanza, secondo il ricorrente, valeva a comprovare l’insussistenza del requisito dell’attualità della pericolosità sociale del proposto, in ragione dell’intervenuto recesso del M..
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 10, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 ter, comma 2. Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), potendosi denunciare con il ricorso solo il vizio di mancanza di motivazione, poichè qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato, imposto al giudice di appello dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 10 (Cass., Sez. 6, 17-12-2003 n. 15107; Cass. Sez. 2, 26 giugno 2002, n. 28837; Cass. Sez. 2, 6-5-1999 n. 2181; Sez. 2, 3-2-2000 n. 703). Alla mancanza di motivazione è, peraltro, equiparata l’ipotesi in cui la motivazione risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente, o comunque assolutamente inidonea a rendere comprensibile il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito (Cass., Sez. 1, 9-11-2004 n. 48494; Sez. 1, 14-11-2003-1 -2004 n. 449; Sez. 1, 6-11-2008 n. 47764).

Nel caso di specie, nel provvedimento impugnato i giudici di appello hanno ampiamente illustrato, sulla base di un’approfondita e critica valutazione degli elementi a loro disposizione, le ragioni su cui hanno fondato il giudizio di attuale pericolosità sociale dell’odierno ricorrente. In particolare, dopo aver ricordato che il M., con sentenza divenuta irrevocabile il 23-9-2002, è stato condannato alla pena di anni sette di reclusione per associazione a delinquere di tipo mafioso e per il reato di cui all’art. 513 bis c.p., commesso con metodi mafiosi ed al fine di arrecare vantaggio a "Cosa Nostra", la Corte distrettuale ha motivatamente disatteso l’assunto della difesa, secondo cui sarebbe venuto meno il requisito dell’attualità della pericolosità sociale, avendo il proposto reciso i vincoli che lo legavano alla famiglia mafiosa dell’Acquasanta, fin dal momento in cui, nell’ambito del processo sull’omicidio di B.D., aveva accusato il capo famiglia G.V. di partecipazione a tale delitto. Essa ha osservato, al riguardo, che entrambe le sentenze di merito che si sono occupate dell’omicidio B. hanno posto in risalto la strumentalità delle dichiarazioni accusatorie rivolte dal M. nei confronti del G. ed hanno evidenziato che la reale volontà del dichiarante non poteva configurarsi in una seria e convinta determinazione di recidere tutti i vincoli che lo avevano per lungo tempo avvinto al sodalizio mafioso. Tale giudizio è stato condiviso dalla Corte di Appello, la quale ha ribadito che le accuse rivolte nell’ambito dell’indicato procedimento penale dal M. nei confronti del G. non appaiono significative di un distacco definitivo del dichiarante dalla consorteria mafiosa.

E’ di tutta evidenza, pertanto, che non ci si trova in presenza di un vizio radicale di motivazione inesistente o meramente apparente; e, in realtà, il ricorrente, attraverso la formale denuncia di violazione di legge, propone sostanziali censure di merito in ordine al giudizio di pericolosità espresso nel provvedimento impugnato, invocando al riguardo una rinnovata valutazione delle risultanze processuali, esulante dai poteri di cognizione riservati a questa Corte.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della cassa per le ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *