Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-01-2011) 01-03-2011, n. 7975 Determinazione

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza del 29/10/07, dichiarava L. S.A. colpevole del reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, perchè coltivava n. 2 arbusti di canapa indiana, nonchè deteneva svariati semi di marijuana 0.9 grammi di hashish. 2,6 grammi di marijuana e 0,7 grammi di quest’ultima sostanza separatamente custoditi, e lo condannava alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 900,00 di multa, disponendo la confisca della somma di denaro in sequestro.

La Corte di Appello di Catanzaro. pronunciandosi sull’appello avanzato dal prevenuto, con sentenza del 21/4/2010, ha confermato il decisimi di prime cure.

Propone ricorso per cassazione il difensore del L.S., con i seguenti motivi:

– violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, vizio di motivazione in ordine alla sussistenza, in capo all’imputato, del reato contestatogli, in particolare sulla offensività della condotta ascritta allo stesso, nonchè sulla destinazione dello stupefacente, sulla natura del denaro, sottoposti a sequestro, nonchè sulla mancata restituzione dello stesso.

Peraltro il giudice è incorso in evidente travisamento della prova, visto che le risultanze della perizia disposta permettono di ritenere che le piante non possedevano principio attivo drogante;

– la Corte distrettuale omette di argomentare in ordine alla quantificazione della pena ed erra nella applicazione del dettato dell’art. 133 c.p.;

– vizio di motivazione in ordine alla mancata restituzione della somma sequestrata.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La argomentazione motivazionale, adottata dalla Corte territoriale, si palesa del tutto logica e corretta.

Quanto al primo motivo di impugnazione, con cui si contesta la offensività della condotta posta in essere dal prevenuto, si rileva che questa Corte ha avuto modo di affermare che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività, non autorizzata, di coltivazione di sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (Cass. S.U. 24/4/2008, n. 28605).

Il Supremo Collegio ha rilevato che i beni oggetto della tutela penale da parte delle fattispecie incriminatici previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, sono individuabili, oltre che nella salute pubblica, anche nella sicurezza e nell’ordine pubblico, nonchè nella salvaguardia delle giovani generazioni, e può, sicuramente, affermarsi che l’implemento del mercato degli stupefacenti costituisce causa di turbativa per l’ordine pubblico e di allarme sociale.

Di poi, evidenziasi che la condotta di "coltivazione", anche dopo l’intervento normativo del 2006, non è stata richiamata nell’art. 73, comma 1 bis, nè nell’art. 75, comma 1, ma solo nel novellato D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 e ciò perchè il legislatore ha voluto attribuire a tale condotta, comunque e sempre, una rilevanza penale, quali che siano le caratteristiche della coltivazione e quale che sia il quantitativo di principio attivo ricavabile dalle parti delle piante da stupefacenti.

La coltivazione, inoltre, presenta la peculiarità ulteriore di dare luogo ad un processo produttivo astrattamente capace di autoalimentarsi attraverso la riproduzione dei vegetali (Cass. S.U. n. 28605, citata).

In relazione alla doglianza sul trattamento sanzionatorio dal vaglio a cui è stata sottoposto il discorso giustificativo, svolto dal decidente sul punto, emerge, con netta evidenza, una compiuta valutazione degli elementi determinanti il quantum della pena inflitta. ritenuta dalla Corte di Appello, a giusta ragione, congrua, con applicazione della ipotesi di cui al art. 73, comma 5, in coerenza con i parametri di valutazione di cui all’art. 133 c.p., tenuto conto dei due precedenti penali che gravano l’imputato.

Il giudice di merito, per adempiere all’obbligo della motivazione nel determinare la pena, esercita una tipica facoltà discrezionale e perciò non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione dell’elemento o degli elementi resisi determinanti per la soluzione adottata.

Conseguentemente, anche l’uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a fare ritenere che il decidente abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al quantum della pena (Cass. 1/4/95, n. 6034).

Del pari, in applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, il giudice ha disposto, correttamente, la confisca del denaro in sequestro, siccome dimostrato provento del delitto per il quale è condanna, ritenendo non giustificabile nè la disponibilità in capo al L.S. di una tale provvista di denaro, nè plausibili le ragioni addotte da costui sulla assunta lecita provenienza dello stesso.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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