Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-01-2011) 01-03-2011, n. 7963 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gip presso il Tribunale di Roma, con sentenza del 24/2/09, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava D.B.M., C. F., F.T. e A.V. colpevoli di diversi episodi di reato di cui all’art. 110 c.p e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; il solo D.B. del delitto di cui all’art. 81 cpv c.p., artt. 110, 628 c.p., commi 1 e 3, prima e terza ipotesi, nonchè di quello di cui all’art. 110 c.p., L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14, e art. 61 c.p., n. 2; e del reato di cui agli artt. 110, 648 c.p., e art. 61 c.p., n. 2. Condannava il D.B. e il F. alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 24.000,00 di multa ciascuno; il C. alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione ed Euro 24.000,00 di multa. Dichiarava, altresì l’ A. responsabile del reato sub a), nonchè di favoreggiamento personale, così qualificata la condotta di cui al capo b 1) e lo condannava alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa, assolvendolo dai reati sub b2) e sub b3). per non avere commesso il fatto, con interdizione in perpetuo dai pp.uu. per D. B. e F. e per la durata di anni 5 per il C..

La Corte di Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi sugli appelli avanzati dagli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, con sentenza del 2/11/09, in riforma della decisione di prime cure, ha assolto l’ A. dal delitto di favoreggiamento personale perchè il fatto non sussiste, rideterminando la pena in ordine al residuo reato di cui al capo a) ad anni 4 di reclusione ed Euro 20.000.00 di multa;

con conferma nel resto. Propongono autonomi ricorsi per cassazione le difese degli imputati, con i seguenti motivi:

– per D.B. e A.: non può ritenersi conseguita la prova di responsabilità di natura indiziaria, per come preteso dalla disciplina dettata dall’art. 192 c.p.p.; in particolare per il D. B. la affermata colpevolezza per il reato di rapina è desunta solo da indizi, carenti di qualsivoglia requisito di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2;

– per F.: il giudice di merito ha errato nel ravvisare la sussistenza di elementi comprovanti la responsabilità del prevenuto in ordine ai reati ad esso ascritti;

– peraltro la Corte distrettuale ha omesso di fornire il dovuto riscontro ai motivi di appello, nulla argomentando sulle condotte contestate, in specie in relazione alla partecipazione del F. ai reati ascrittigli ed al contributo che lo stesso avrebbe fornito agli altri coimputati;

– omessa motivazione a sostegno del diniego della diminuzione della pena con il riconoscimento delle circostanze attenuanti prevalenti sulle aggravanti contestate;

– per C.: a livello probatorio e correlativamente motivazionale non c’è un riscontro di carattere oggettivo o deduttivo alla ipotesi accusatola; la Corte di Appello ha utilizzato il principio del libero convincimento immotivato, giacchè superare e travolgere dati di carattere oggettivo, indicati nell’assegno protestato del F., che temporalmente precede di oltre due settimane la pretesa dazione di stupefacenti, le lamentele ante facta e il percorso che l’imputato avrebbe effettuato per raggiungere il fratello, all’epoca agli arresti domiciliari presso una comunità terapeutica, in loc. (OMISSIS), per cedere a quest’ultimo gr. 2,3 di cocaina, attribuendo a questi elementi una interpretazione del tutto distorta, significa travolgere il sistema processuale.

In via integrativa dei motivi depositati, la difesa del C., ha eccepito la totale mancanza di motivazione in ordine alla richiesta relativa restituzione delle somme di cui è stata disposta la confisca.
Motivi della decisione

I ricorsi sono manifestamente infondati e vanno dichiarati inammissibili.

La argomentazione motivazionale, adottata dalla Corte di Appello, a sostegno del decisimi, si palesa logica, corretta ed esaustiva.

Il giudice di merito ha evidenziato come tutto ruoti e tragga origine dalla rapina posta in essere l'(OMISSIS):

due individui, di cui uno armato di pistola, facevano irruzione nei locali della Grillo Autotrasporti s.r.l. e minacciavano i dipendenti ivi presenti, anche esplodendo alcuni colpi di arma da fuoco. La rapina non dava i frutti sperati, perchè nei locali non veniva rinvenuto denaro.

La Polizia, di poi, individuava il luogo ove era stata parcheggiata l’auto di cui si erano serviti i malviventi, e alle ore 19.00 dello stesso giorno, arrestava il D.B., che accompagnato in auto dall’ A., si accingeva a riprendere l’autovettura predetta.

Il decidente rileva che già erano in corso indagini su un traffico di droga che interessavano il D.B., il F., il C. e l’ A..

L’analisi effettuata dalla Corte distrettuale sulle emergenze istruttorie, in specie sulle intercettazioni telefoniche, appare del tutto compiuta, infatti, nella valutazione della prova essa Corte ha preso in considerazione ogni singolo elemento ed il loro insieme, non in modo parcellizzato ed avulso dal generale contesto istruttorio, ed ha verificato che essi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, potevano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, tale da consentire, attraverso l’analisi estimativa unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, e di affermare la colpevolezza degli imputati in ordine ai reati di cui alla contestazione. La Corte territoriale ha ritenuto raggiunta la prova della responsabilità dei prevenuti in ordine ai reati ad essi ascritti, rilevando che il Gup ha interpretato il linguaggio ed il contenuto delle conversazioni intercettate secondo criteri di logica, che si sottraggono a qualsiasi censura; che gli indizi raccolti nel corso di dette intercettazioni costituiscono fonte diretta di prova della colpevolezza degli imputati e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni qualora, come nel caso in esame, siano gravi (cioè consistenti e resistenti alle obiezioni e, quindi, attendibili e convincenti), precisi e non equivoci (cioè non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto verosimile), concordanti (cioè non contrastanti tra loro e, più ancora, con altro dati o elementi certi).

Si osserva che tutti i motivi dei ricorsi tendono, principalmente, ad una rivisitazione della piattaforma probatoria, fornendo una diversa lettura della stessa.

Orbene, questa Corte ha avuto modo più volte di affermare che in tema di sindacato del vizio di motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. e), il compito della Corte di Cassazione non è di sovrapporre una propria valutazione delle risultanze processuali a quella già compiuta dai giudici di merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni, che hanno giustificato le scelte di determinate conclusioni a preferenza di altre (ex plurimis Cass. S.U. 29/1/96. n. 930); nè. peraltro la Corte di legittimità deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, dovendosi limitare a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass. 13/1/2000, n. 1004).

Per quanto attiene alla specifica censura del F. relativa alla omessa motivazione del diniego di prevalenza delle attenuanti generiche, è sufficiente rilevare che allo stesso è stata contestata la recidiva specifica reiterata infraquinquennale. per cui il dettato dell’art. 69 c.p., comma 4, rende precluso un giudizio di prevalenza delle dette attenuanti sulla aggravante ex art. 99 c.p., comma 4.

Per quanto attiene alla censura del C. sulla confisca della somma di denaro (Euro 132.000,00), con cui se ne sostiene la lecita provenienza, il discorso giustificativo, svolto in sentenza, è del pari corretto e compiuto: infatti, il giudice di merito, pur considerando che il C. svolgeva attività lavorativa, ha dato agio di rilevare che è stato, altresì, dimostrato che questi, indipendentemente dagli episodi di spaccio contestali, esercitava la illecita attività con carattere di continuità, anche attraverso legami con personaggi non identificati, di tal che non è giustificabile, in questo contesto, il possesso di una somma di denaro così consistente, se non legandola ad una attività di spaccio continuata nel tempo, legata alla necessità di disporre di denaro liquido per l’acquisto della sostanza stupefacente e di ottenere il pagamento in contanti dagli acquirenti della medesima.

Trattandosi, pertanto, di somme costituenti il provento del reato, a giusta ragione, appare legittima la confisca disposta.

Tenuto conto, poi. della sentenza del 13/6/2000, n. 183. della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il D.B., il F., il C. e l’ A. abbiano proposto i ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, ciascuno di essi, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000.00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *