La difesa di un responsabile del servizio che si approfitta della fragilità della sua sottoposta per costringerla a subire atti sessuali. Cassazione penale, sez. III, 04 novembre 2009, n. 42314.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pronunciata il 18 settembre 2008 la Corte di Appello di Brescia, decidendo sull’appello proposto dal Procuratore Generale della Repubblica di Brescia avverso la sentenza pronunciata, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo che aveva assolto l’imputato, dichiarava E.A. colpevole: del reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv. e 609 bis c.p. e art. 61 c.p., n. 9 in quanto, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, mediante abuso dell’autorità di responsabile del servizio di polizia municipale di (OMISSIS), agendo di sorpresa, aveva costretto la dipendente L.D., agente di polizia municipale di (OMISSIS), a subire i seguenti atti sessuali:
essere abbracciata, avvicinata e, a forza, quasi baciata (il (OMISSIS)) essere abbracciata, presa di spalle a baciata sul collo (il (OMISSIS) circa);
essere abbracciata, presa di spalle e costretta a subire il contatto col pene eretto (qualche tempo dopo) (in (OMISSIS)) e condannava l’imputato alla pena di un anno e mesi sei di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali con le pene accessorie.
Ha proposto ricorso per cassazione l’ E. chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per i motivi che saranno nel prosieguo analiticamente esaminati.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni della parte offesa che non era stata in grado di collocare temporalmente i tre episodi denunciati ed era stata smentita dai testi oculari, la cui deposizione era stata invece travisata dalla Corte Territoriale in modo pregiudizievole ad esso ricorrente.
In particolare il vicesindaco B.L. aveva fornito una descrizione dei fatti che smentiva le dichiarazioni della parte offesa.
Il teste aveva infatti affermato che, nel corso dell’episodio del (OMISSIS), al termine dell’incontro, si era intrattenuto con il Sindaco di (OMISSIS), era uscito alle 20 insieme con il Sindaco, quando gli altri si erano già allontanati, che la porta dell’ufficio era sempre rimasta aperta sicchè egli aveva potuto notare che nell’ufficio di fronte si erano attardati il segretario comunale di (OMISSIS) e quello del comune di (OMISSIS) e non altre persone.
Deduce inoltre il ricorrente che tutti i testi lo avevano visto allontanarsi dal Municipio e la persona offesa non aveva fatto alcun cenno al fatto di essere rientrata negli uffici comunali per parlare dei suoi problemi personali con lui.
Inoltre la difesa aveva depositato una serie di documenti da cui risultava che il (OMISSIS) lui e la parte lesa non si erano mai trovati nella stessa stanza.
Per quel che attiene all’episodio dell'(OMISSIS) nella denuncia querela del 15 maggio 2000 la persona offesa non solo non era stata in grado di collocare temporalmente il fatto ma neppure di raccontarlo e precisarlo così bene come aveva fatto successivamente, benchè l’episodio fosse avvenuto soltanto pochi giorni prima della denuncia.
Secondo l’imputato la Corte di merito aveva omesso un controllo di credibilità delle parole della persona offesa nonostante fossero sorti elementi che potessero far propendere per un intento calunniatorio della donna ed in particolare la circostanza che la L. aveva ricevuto lettere di richiamo da parte dei superiori perchè non eseguiva correttamente le mansioni che le venivano affidate. In proposito, nel verbale di denuncia querela del 15 maggio 2000, la persona offesa era tornata più volte su tale circostanza, ostentando una ossessione nei confronti del superiore.
Inoltre i testi non avevano confermato le dichiarazioni della L. in ordine all’episodio del (OMISSIS) e le persone sentite nel corso delle indagini avevano parlato di comportamenti preoccupanti della parte lesa che aveva gravi problemi di famiglia e spesso uno sguardo perso nel vuoto. Inoltre, per quel che attiene all’invito rivolto dalla parte lesa ai colleghi perchè aprissero senza bussare la porta della stanza quando lei si trovava sola con l’imputato, doveva rilevarsi che l’invito era stato rivolto alla sola dipendente comunale D.B. che svolgeva attività di bibliotecaria in luogo staccato dal Municipio e che quindi difficilmente avrebbe potuto aderire alla richiesta.
Rileva il Collegio che il motivo è infondato.
Come ha precisato questa Corte (v. per tutte Cass. pen. sent. 21 giugno 2005, n. 30422., rv 232018) "ai fini della formazione del libero convincimento del giudice ben può tenersi conto delle dichiarazioni della parte offesa la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, sulla quale può essere, anche esclusivamente, fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata. E ciò vale, in particolare, proprio in tema di reati sessuali, l’accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità dall’esterno, all’una o all’altra tesi".
Nel caso in esame la corte Territoriale ha rilevato che la deposizione della parte offesa era sicuramente attendibile nel suo complesso per una serie di indici oggettivi. La donna non coloriva il racconto con spirito di rivalsa verso il suo molestatore, (non era nemmeno parte civile), ed aveva teso fin dall’inizio a sminuire la portata del secondo degli episodi, connotandolo generosamente da possibili intenti affettuosi, aveva denunciato i fatti già nel maggio, durante il delicato periodo di prova lavorativa e proprio in prossimità del periodo in cui l’imputato stesso avrebbe dovuto redigere e sottoporre agli organi comunali la relazione per la definitiva assunzione della donna.
La Corte di merito ha anche precisato che le dichiarazioni dei testi non avevano smentito le dichiarazioni della parte lesa, neppure con riferimento all’episodio del (OMISSIS). La circostanza che l’ E. era presente alla riunione svoltasi quella sera era stata confermata dai testi ed il fatto che la riunione si fosse conclusa con un’uscita collettiva non impediva di ritenere che l’ E. si fosse trattenuto con la L. senza essere notato dagli altri partecipanti alla riunione che si affrettavano al rientro serale.
La Corte di merito ha anche evidenziato come il racconto della donna si raccordasse con il contesto interpersonale in cui gli episodi si erano verificati, contraddistinti dall’intento dell’imputato di approfittare della situazione di fragilità della sua sottoposta.
I giudici di merito hanno inoltre rilevato che la richiesta di aiuto della parte lesa ai colleghi era stata confermata dalla teste D. B. e da altre in fase di indagini, anche per quel che attiene all’invito rivolto dalla parte lesa ai colleghi di aprire la porta della stanza dell’ufficio quando lei si fosse trovata sola con l’imputato,ed ha precisato che nemmeno il Sindaco, quando aveva dichiarato di non aver avuto notizie dalla L. delle avances dell’ E., poteva ritenersi più attendibile della parte offesa poichè l’aver saputo di tali episodi commessi in ambito lavorativo, avrebbe dovuto indurre la maggiore autorità comunale ad interventi di carattere ufficiale che, nel caso in esame, sarebbero stati omessi.
Alla luce dell’adeguata, logica e congrua motivazione della Corte Territoriale trova quindi applicazione il principio affermato da questa Corte (v Cass. pen. sent. 22 gennaio 2008, n. 8382), rv.
239342 secondo cui "in tema di prove la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può essere rivalutata in sede di legittimità a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni".
Con il secondo motivo il ricorrente deduce lamenta la violazione degli artt. 132 e 133 c.p. rilevando che il giudicante, nell’esercizio del potere discrezionale nell’applicazione della pena, deve aver riguardo sia ai criteri soggettivi che a quelli oggettivi stabiliti dalla fattispecie giuridica in esame.
Nel caso in esame la Corte di Appello di Brescia aveva erroneamente omesso di prendere in considerazione la modesta gravità del danno, i precedenti penali e giudiziari del reo, la condotta di vita del reo antecedente e susseguente al reato ed il tempo decorso dai fatti e non aveva contenuto la pena entro i limiti di maggiore congruità riconoscendogli le circostanze attenuanti generiche con adeguata applicazione dell’art. 62 bis c.p..
Rileva il Collegio che anche il secondo motivo è infondato.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità (v. per tutte Cass. pen. sez. 4^, sent. 20 settembre 2004, n. 41702, rv 230278) "la determinazione della misura della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p.. Anzi non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale".
Come ha inoltre specificato questa Corte (v. per tutte Cass. pen. sez. 4^, sent. 4 luglio 2006, n. 32290) "ai fini della concessione o del diniego delle circostanza attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p. quello, (o quelli), che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile, in sede di legittimità, se congruamente motivato.
Ciò vale a fortiori anche per il giudice d’appello il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione".
Va aggiunto che secondo consolidata giurisprudenza di legittimità (v. per tutte Cass. Pen. sez. 3^, sent. 8 novembre 2007, n. 1192, rv 238551) "in tema di reati sessuali all’applicazione della circostanza attenuante speciale prevista dall’art. 609 bis c.p., comma 3 non consegue automaticamente l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche".
Nel caso in esame la Corte di merito ha adeguatamente ed esaustivamente motivato in ordine all’entità della pena rilevando che pur potendo essere i fatti valutati di minor gravità ai sensi dell’art. 609 bis c.p., attenuante che prevaleva sull’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, non si ravvisavano elementi nè oggettivi nè soggettivi che potessero essere valorizzati ai fini di ritenere attenuanti generiche, posto che la sola condizione di incensurato non appariva sufficiente, se doverosamente valutata alla luce degli elementi di segno opposto acquisiti al processo ed in particolare tenuto conto della situazione personale della vittima, della quale E. aveva approfittato con abuso di autorità e delle modalità insidiose della condotta dell’imputato. Doveva quindi ritenersi congrua la pena irrogata tenuto conto dei criteri indicati nell’art. 133 c.p..
Alla luce della congrua motivazione della Corte Territoriale, conforme ai principi di diritto sopra enunciati, va respinto anche il secondo motivo di ricorso.
Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2009

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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