Cons. Stato Sez. V, Sent., 28-02-2011, n. 1265 Comune

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La V. s.r.l. che svolge l’attività industriale di rigenerazione degli scarti di lavorazione di polipropilene e polietilene in un’area del territorio del Comune di Pombia, impugnava davanti al Tar Piemonte il Regolamento comunale di Polizia Urbana nella parte in cui era stabilito che "Ai fini della salvaguardia della salute pubblica: a)…; b) Le attività produttive ubicate sul territorio comunale posto ad est della linea ferroviaria "Arona – Alessandria" anche quando rientrino nei limiti di legge, salvo deroghe alle fasce orarie sotto riportate concesse dall’Amministrazione Comunale per un periodo limitato e per motivi eccezionali, potranno essere esercitate esclusivamente dalle ore 06.00 alle ore 22.00" (art. 24, comma 1, del titolo V del regolamento "Quiete pubblica").

Con sentenza n. 2971/06, il Tar accoglieva il ricorso, rilevando:

a) che in materia di inquinamento acustico il Comune ha una competenza solo attuativa della legge quadro statale n. 447/95, non potendo vietare in alcune fasce orarie attività rientranti nei limiti di legge;

b) la disparità di trattamento derivante dal divieto in questione, limitato ad una determinata area del territorio comunale;

c) il difetto di istruttoria.

Il comune di Pombia ha proposto ricorso in appello per i motivi che saranno di seguito esaminati.

La s.r.l. V. si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla contestazione da parte di una impresa, operante nel settore della rigenerazione degli scarti di lavorazione, della limitazione, introdotta con regolamento dal comune di Pombia, dell’esercizio di attività produttive nella fascia oraria tra le 22.00 e le 06.00.

In via preliminare, si rileva l’infondatezza delle due prime censure, con cui l’appellante sostiene l’inammissibilità del ricorso di primo grado per l’omessa notificazione ad almeno un controinteressato e per la carenza di interesse a contestare un atto regolamentare, che non produce una lesione caratterizzata dall’attualità.

Infatti, la contestazione del limite all’esercizio delle attività produttive riguarda un atto di natura regolamentare rispetto al quale non sussistono posizioni di diretto controinteresse al ricorso, pur essendo evidente la lesione immediata provocata alle imprese, che, come la ricorrente, subiscono un fermo della propria attività nella fascia oraria in questione (vi possono, quindi, essere altre posizioni di cointeresse all’impugnativa di primo grado).

Parimenti, infondata è l’eccezione sollevata dalla società V. di inammissibilità dell’appello per genericità, avendo la ricorrente compiutamente contestato tutti i profili della sentenza del Tar.

3. Con un ulteriore motivo il Comune appellante contesta la statuizione dell’impugnata sentenza nella parte in cui è stata negata la sua competenza ad introdurre limitazioni del tipo indicato.

La censura è fondata.

La giurisprudenza ha chiarito che, in tema di inquinamento acustico, l’art. 6, comma 3, l. quadro 26 ottobre 1995 n. 447 consente ai comuni, il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico – ambientale e turistico, di attuare una più specifica regolamentazione dell’emissione ed immissione dei rumori, e, in questo ambito, di disciplinare l’esercizio di professioni, mestieri ed attività rumorose anche con l’istituzione di fasce orarie in cui soltanto possano essere espletati, e di prendere così in considerazione, oltre al dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità, anche gli effetti negativi di quest’ultima sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata (Cassazione civile, sez. I, 9 ottobre 2003, n. 15081).

Pur non potendo, quindi, gli enti locali introdurre, nell’esercizio della propria potestà regolamentare, limiti alle immissioni sonore diversi e comunque inferiori a quelli previsti dalla l. n. 447 del 1995, i Comuni possono dettare disposizioni particolari, anche presidiate da sanzione amministrativa, che vietino non già le immissioni sonore che superino una soglia acustica prestabilita, ma tutte quelle che comunque nuocciano alla quiete e alla tranquillità pubblica o privata, quale che sia il loro livello acustico (Cassazione civile, sez. I, 1 settembre 2006, n. 18953).

Deve, quindi, riconoscersi ai Comuni la competenza ad adottare misure di contenimento dell’inquinamento acustico, anche introducendo fasce orarie, non direttamente collegate con il superamento dei limiti fissati per le immissioni sonore; nel caso di specie, proprio tale potere è stato esercitato dall’appellante comune.

4. Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso anche per due profili, che attengono non alla sussistenza del potere sotto il profilo della competenza, ma al suo concreto esercizio (disparità di trattamento e difetto di istruttoria).

Le censure, con cui l’appellante contesta entrambe le statuizioni, sono fondate.

La disparità di trattamento non sussiste, applicandosi l’ordinanza su gran parte del territorio comunale con la sola eccezione della zona posta oltre la linea ferroviaria "Arona – Alessandria", che non solo ha destinazione esclusivamente industriale, ma è in gran parte non interessata da immobili adibiti a residenza.

Vi è, quindi, una differenza tra la zona esclusa dal regolamento e quella in cui ricade lo stabilimento della società appellata, che, benché ubicata in area destinata a insediamenti produttivi, riguarda una parte del territorio comunale, caratterizzata da immobili destinati anche a residenza.

Con riguardo alla accolta censura di difetto di istruttoria, si rileva, che pur non essendovi ultrapetizione, il vizio riscontrato dal Tar non sussiste, non dovendo l’adozione della norma regolamentare essere preceduta da un accertamento sul superamento dei limiti, non essendo la misura diretta ad evitare detto superamento, come in precedenza chiarito.

5. Devono a questo punto essere esaminati i motivi, assorbiti dal Tar e riproposti dalla società appellata, che attengono al vizio di illogicità e irragionevolezza e ad una contraddittorietà interna ed esterna del regolamento.

Le censure sono prive di fondamento.

L’irragionevolezza e l’illogicità deriverebbero, secondo l’appellata, dall’aver vietato una attività che non produce rumore, come dimostra l’introduzione del limite a prescindere dal superamento dei limiti.

La tesi si fonda su una erronea equivalenza tra rispetto dei limiti e assenza di rumore, mentre, nel caso di specie, il potere esercitato è diretto proprio a mitigare emissioni sonore, che, pur rientrando nei limiti, possano arrecare disturbo alla quiete e le contestazioni mosse nel passato all’attività della ricorrente dimostrano la concretezza di tale rischio.

Non vi è, quindi, alcuna contraddittorietà interna tra il limite introdotto al fine della salvaguardia della salute e la sua applicabilità ad attività autorizzate, rientranti nei limiti di legge.

Non sussiste, infine, una contraddittorietà "esterna" tra la norma regolamentare e i precedenti atti adottati dal Comune per far rientrare la società appellata nei limiti, costringendola ad effettuare opere di insonorizzazione.

Tali atti, peraltro vincolati, attengono ad un profilo diverso (rispetto dei limiti), che non ammette deroghe; l’adozione di atti diretti a riportare le emissioni acustiche nei limiti non precludeva al Comune la valutazione, anche sulla base dei casi concreti esaminati, di intervenire con norme regolamentari di portata generale, dirette a garantire una maggiore salvaguardia della quiete pubblica nella fascia notturna.

Tali misure si applicano sia a chi diligentemente ha insonorizzato i propri impianti fin dall’origine, sia a chi lo ha fatto, come la ricorrente di primo grado, solo a seguito di diffida del Comune; l’aver superato i limiti ed essersi poi adeguato agli stessi non garantisce una posizione di intangibilità, rispetto all’esercizio di un potere, che – come dimostrato – rientra nelle competenze dei Comuni.

Si deve, dunque, ritenere che l’impugnato regolamento sia privo dei vizi di legittimità denunciati.

6. In conclusione, il ricorso in appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza del Tar, va respinto il ricorso di primo grado.

Tenuto conto della peculiarità in fatto della vicenda e della soccombenza del comune sulle prime censure, ricorrono i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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