Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-04-2011, n. 9298 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Avverso la sentenza depositata dal Giudice del lavoro del Tribunale di Benevento il 21.10 – 11.11.2005, con la quale era stato rigettato il ricorso proposto da M.E., nella qualità di legale rappresentante dell’omonima ditta inteso ad ottenere il riconoscimento della inesistenza del suo obbligo contributivo verso l’INPS, ai sensi della L. n. 341 del 1995, art. 29 per complessivi Euro 101.119,15, proponeva appello la parte soccombente, con atto depositato l’11.11.2006. Deduceva l’appellante l’infondatezza nel merito della pretesa creditoria avanzata dall’INPS, accolta in primo grado in virtù di erronea interpretazione della L. n 341 del 1995, art. 29 ed evidenziava la ingiustificata mancata ammissione dei mezzi di prova dedotti, volti ad accertare i periodi lavorati, cui rapportare i conteggi per la determinazione del reale debito contributivo e per la verifica della cause di esenzione contemplate dalla disciplina legale; rilevava, altresì, l’erronea interpretazione della fonte collettiva richiamata dalla norma di cui alla L. n. 341 del 1995, art. 29 atteso che l’orario normale di lavoro, determinato in base ai criteri stabiliti dalla norma suddetta, avrebbe potuto costituire al più una presunzione di prova a favore dell’istituto, superabile dal contribuente a mezzo di prova contraria; infine, evidenziava profili di incostituzionalità della norma in esame in relazione ai precetti costituzionali di cui agli artt. 3, 23 e 53. Sulla base di tali rilievi e deduzioni, chiedeva che, in totale riforma dell’impugnata sentenza, previo accertamento delle effettive modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, fosse riconosciuto il diritto di esso appellante a commisurare la contribuzione previdenziale a quanto erogato per l’attività lavorativa effettivamente prestata dai suoi dipendenti, dichiarando che nulla era ancora dovuto, oltre la contribuzione già versata, con vittoria delle spese di lite del doppio grado.

Ricostituitosi il contraddittorio, l’INPS contestava la fondatezza dei motivi di gravame, chiedendone la reiezione.

Con sentenza del 18 maggio – 23 giugno 2009, l’adita Corte d’appello di Napoli, ritenuto che, in base ad una corretta interpretazione della L. n. 341 del 1995, art. 29 l’obbligo contributivo andava adempiuto non in corrispondenza delle ore e delle giornate effettive di lavoro prestato -come sostenuto dal F. – ma con riferimento al c.d. minimale contributivo, rigettava il gravame. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre Mastrocinque Costruzioni srl nella quale è confluita la ditta individuale M.E., con tre motivi. L’INPS resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la società ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 29 convertito nella L. 8 agosto 1995, n. 341, della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 in relazione al D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 convertito nella L. 7 dicembre 1989, n. 389, della L. n. 77 del 1963, art. 1 in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 14 assume che la norma dell’art. 29 e l’ivi previsto obbligo di rispetto del minimale contributivo non può trovare applicazione nei casi di sospensione consensuale del rapporto di lavoro determinata dal carattere discontinuo dell’attività di impresa e per effetto della quale, nei periodi e nelle giornate indicate dall’azienda, non sia dovuta alcuna prestazione lavorativa, nè, conseguentemente alcuna retribuzione – corrispettivo.

2. Con il secondo motivo contesta alla sentenza impugnata vizio di omessa o carente motivazione, nonchè violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che della L. n. 341 del 1995, art. 29 e dell’art. 420 c.p.c., comma 5, per non aver esaminato la documentazione allegata al fascicolo di primo grado (e nuovamente prodotta in appello) e per non aver ammesso la prova testimoniale intesa a dimostrare la causa di sospensione dell’obbligo retributivo.

3. Con il terzo motivo si solleva eccezione di incostituzionalità del D.Lgs. n. 341 del 1995, art. 29 in relazione agli artt. 3, 23 e 53 Cost.

4. Esaminando congiuntamente i motivi osserva la Corte, richiamando le sue più recenti decisioni (Cass. n. 12604 del 2008, n. 21700 del 2009, 16601 del 2010 e numerose successive conformi), che la normativa vigente in materia va interpretata nei sensi di cui al seguente principio di diritto (espresso, in particolare, da Cass. n. 21700 del 2009): "In tema di contribuzione dovuta dai datori di lavoro esercenti attività edile, il D.L. n. 244 del 1995, art. 29 convertito nella L. n. 341 del 1995, nel determinare la misura dell’obbligo contributivo previdenziale ed assistenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, prevede l’esclusione dall’obbligo contributivo di una varietà di assenze, tra di loro accomunate dal fatto che vengono in considerazione situazioni in cui è la legge ad imporre al datore di lavoro di sospendere il rapporto. Ne consegue che, ove la sospensione del rapporto derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, continua a permanere intatto l’obbligo retributivo (recte:

contributivo), dovendosi escludere, attesa l’assenza di una identità di ratio tra le situazioni considerate, la possibilità di una interpretazione estensiva o, comunque, analogica e ciò tanto più che la disposizione ha natura eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi d’esonero da contribuzione, che può essere effettuato esclusivamente mediante decreti interministeriali". 5. L’eccezione di contrasto del D.Lgs. n. 341 del 1995, art. 29 con gli artt. 3, 23 e 53 Cost. è manifestamente infondata, poichè:

– l’art. 3 Cost. non impone di parificare situazioni diverse, come quelle delle imprese operanti in settori differenti, ossia variamente caratterizzate nei costi, nei ricavi, e quindi nella capacità contributiva;

la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. non vieta al legislatore di lasciare la determinazione della prestazione patrimoniale all’ente impositivo con atti amministrativi, purchè attraverso criteri limitativi idonei ad evitare l’arbitrio (ex multis, Corte cost., n. 4 del 1957, n. 88 del 1986, n. 190 del 2007); – la capacità contributiva del singolo non deve essere necessariamente misurata di volta in volta ma può essere desunta da indici presuntivi.

6. La sentenza impugnata è pervenuta ad identiche conclusioni ermeneutiche della citata e condivisa giurisprudenza di legittimità, sicchè non merita le censure che le vengono rivolte sia sotto il profilo della violazione di legge, sia sotto il profilo (denunciato nel secondo motivo di ricorso) dell’omesso esame di materiale probatorio, essendo quest’ultimo diretto a dimostrare che l’esistenza di un accordo con i dipendenti per la riduzione della prestazione lavorativa, una circostanza cioè che, per le ragioni sopra indicate, è priva di decisività, non comportando l’accordo in questione esonero dall’obbligo del rispetto del minimale contributivo.

7. In conclusione, il ricorso va rigettato.

8. Si compensano le spese del giudizio di cassazione tra la società ricorrente e l’INPS in considerazione del recente consolidarsi della giurisprudenza sulla questione oggetto di causa.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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