Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-04-2011, n. 9292 Appello

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Svolgimento del processo

1. In accoglimento del ricorso dell’I.N.P.S. il Pretore di Genova, in funzione di giudice del lavoro, emetteva decreto ingiuntivo 27 novembre 1998 n. 1576, immediatamente esecutivo, nei confronti di G.M., titolare dell’Autoscuola MEMI, per il pagamento della somma complessiva di L. 237.316.000, a titolo di contributi assicurativi obbligatori asseritamente omessi nel periodo dall’1.3.1981 a 31.10.1994 e relative sanzioni civili.

Il G. proponeva opposizione, chiedendo che l’adito Pretore – previa la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo – ne dichiarasse la l’illegittimità disponendone la revoca per una pluralità di motivi.

L’I.N.P.S. si costituiva tempestivamente in giudizio, chiedendo il rigetto dell’avversa opposizione e l’integrale conferma dell’opposto decreto ingiuntivo.

Il Giudice di prime cure – diventato, dal 2.6.1999, giudice monocratico del Tribunale – all’udienza del 4.5.2004, pronunziava, nel dispositivo, sentenza non definitiva n. 1045 (la cui motivazione era poi depositata l’8.9.2004), con la quale revocava l’opposto decreto ingiuntivo e, in parziale accoglimento delle eccezioni formulate dall’opponente, dichiarava la prescrizione estintiva quinquennale dei pretesi crediti dell’Istituto, relativi al periodo fino al 31.12.1990, nonchè l’avvenuta estinzione di quelli riguardanti l’anno 1991 per intervenuta regolarizzazione contributiva da parte del G.. Lo stesso Tribunale rimetteva la causa in istruttoria per la quantificazione dei contributi per il periodo dall’1.1.1992 al 31.10.1994.

Il Giudice di prime cure, quindi, con sentenza definitiva n. 29/05 pronunziata nel dispositivo l’1.1.2005 e pubblicata il successivo 4.3.2005, dichiarava tenuto il G. "al pagamento in favore dell’INPS della complessiva somma di Euro 46.577,16, comprensiva di capitale e somme aggiuntive, oltre gli accessori di legge dal 19.10.2004 a saldo", compensando integralmente tra le parti le spese di giudizio.

2. L’Ente previdenziale, con ricorso depositato il 14.2.2006, proponeva appello avverso le sopra citate sentenze, non definitiva e definitiva, chiedendo, in via principale, il rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo opposto e, in subordino, l’accertamento della debenza delle somme indicate nello stesso decreto ingiuntivo, condannando il G. al pagamento di tali somme, eventualmente anche nella diversa misura da accertarsi in corso di causa.

Il Presidente della Corte di Appello, Sezione Lavoro, con proprio decreto del 20.2.2006, depositato in cancelleria in pari data, fissava, ai sensi dell’art. 435 c.p.c. l’udienza di discussione della causa. Tale decreto presidenziale veniva comunicato il 2.3.2006 all’I.N.P.S., che, ottenuta copia autentica del ricorso e del pedissequo decreto presidenziale lo stesso 2.3.2006, consegnava la suddetta copia agli Ufficiali Giudiziari, per ottenerne la notifica all’appellato, al domicilio da questi eletto nel giudizio di prime cure, in data 21.3.2006 e, pertanto, oltre il termine dei dieci giorni dalla comunicazione della data di deposito del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione, in violazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2.

Si costituiva in giudizio il G. con propria memoria difensiva, contenente appello incidentale tardivo condizionato, depositata il 29.12.2006, resistendo all’appello e chiedendo, tra l’altro, dichiararsene l’improcedibilità con conseguentemente passaggio in giudicato di entrambe le citate sentenze, pronunziate dal giudice di prime cure.

All’udienza del 31.10.2008, fissata per la discussione finale, il G. -rilevando che l’I.N.P.S. aveva richiesto agli Ufficiali Giudiziari la notifica del ricorso in appello e del pedissequo decreto presidenziale di fissazione di udienza in data successiva alla scadenza del termine dei dieci giorni, del quale all’art. 435 c.p.c., comma 2, – eccepiva, alla luce del recente orientamento espresso, nella sentenza 30.7.2008 n. 20604, dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’improcedibilità dell’avverso gravame.

La Corte di appello di Genova, con la sentenza 31.10 – 13.11.2008 n. 935, così decideva: "definitivamente pronunciando sull’appello avverso le sentenze n. 1045 e 29 emesse rispettivamente in data 4.5.2004 e 11.1.2005 dal Tribunale di Genova, dichiara improcedibile l’appello e compensa tra le parti le spese del grado". 3. Avverso la suddetta sentenza della Corte di appello di Genova, l’I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo.

Resiste con controricorso la parte intimata che ha depositato anche memoria.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in un unico motivo con cui l’Istituto ricorrente deduce la violazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2, nonchè degli artt. 152, 153 e 154 c.p.c., interpretati nel senso che la scadenza del termine di dieci giorni per la notifica del ricorso e del decreto presidenziale di cui all’art. 437 c.p.c. comporti decadenza dall’impugnazione per la parte che non lo abbia osservato.

In particolare l’Ente previdenziale lamenta che la Corte d’appello – interpretando il disposto dell’art. 435 c.p.c., comma 2, alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 111 Cost., comma 2, – abbia affermato che la violazione, da parte dell’Istituto appellante, di tale norma, determini la declaratoria di improcedibilità del gravame.

L’Istituto ricorrente ha quindi formulato il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. "se la violazione del termine di dieci giorni previsto dall’art. 435 c.p.c., comma 2, come accaduto nel caso di specie dove si è provveduto a notificare all’appellato il ricorso ed il pedissequo decreto presidenziale al di là dello stesso, comporti o meno una violazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e se conseguentemente il collegio adito debba o meno rigettare l’appello in quanto improcedibile". 2. Il ricorso è fondato.

Le sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 30 luglio 2008, n, 20604), operando un revirement rispetto al precedente prevalente orientamento giurisprudenziale, hanno affermato in proposito il seguente principio di diritto: «Nel rito del lavoro l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta non essendo consentito – alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata ( art. 111 Cost., comma 2) – al giudice di assegnare ex art. 421 c.p.c. all’appellante, previa fissazione di un’altra udienza di discussione, un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 c.p.c. Principio questo che deve ritenersi applicabile al procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo – per identità di ratio rispetto alle sopraindicate disposizioni di legge ed ancorchè detto procedimento debba considerarsi un ordinario processo di cognizione anzichè un mezzo di impugnazione – sicchè anche in tale procedimento la mancata notifica del ricorso in opposizione e del decreto di fissazione dell’udienza determina l’improcedibilità dell’opposizione e con essa l’esecutività del decreto ingiuntivo opposto. A fondamento di questo arresto giurisprudenziale le sezioni unite hanno sottolineato che soprattutto la rilevanza che ha assunto la costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, induce a ritenere inapplicabile anche nel rito del lavoro – e non estensibile neppure in via analogica – a fronte di una "notifica inesistente (giuridicamente o di f atto)" un sistema sanante quale quello apprestato dall’art. 291 c.p.c. e, conseguentemente, portano al superamento dell’indirizzo giurisprudenziale che – sull’assunto del perfezionamento dell’atto di impugnazione ai sensi dell’art. 435 c.p.c. con il solo deposito del ricorso nei termini previsti dalla legge nella cancelleria del giudice ad quem – ha statuito che il giudice d’appello che rilevi qualsiasi vizio della notifica o anche la sua inesistenza deve indicarlo all’appellante ex art. 421 c.p.c. e deve assegnare allo stesso, previa fissazione di un’altra udienza di discussione, un termine necessariamente perentorio per provvedere a notificare il ricorso unitamente al decreto presidenziale di fissazione di nuova udienza.

Diversa è quindi la fattispecie della notifica non inesistente, ma fatta oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 435 c.p.c., comma 2; fattispecie alla quale non si riferisce il nuovo, più rigoroso, orientamento giurisprudenziale delle sezioni unite.

In vero proprio la Corte d’appello di Genova in altra controversia – ritenendo invece che il nuovo corso giurisprudenziale riguardasse ogni caso di superamento del termine previsto dall’art. 435 c.p.c., comma 2, e quindi anche l’ipotesi della notifica effettuata tardivamente, ossia oltre dieci giorni successivi al deposito del decreto di nomina il giudice relatore e di fissazione dell’udienza di discussione dinanzi al collegio, termine decorrente dalla comunicazione del decreto stessa alla parte appellante in ragione dell’intervento della Corte costituzionale (sentenza 14 gennaio 1977, n. 15) che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in parte qua – ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 435 c.p.c., comma 2, nella parte in cui fissa all’appellante un termine per provvedere a detta notifica.

La Corte costituzionale, investita della questione, ha dichiarato le stessa manifestamente infondata per essere erroneo il presupposto interpretativo dal quale muoveva la Corte d’appello rimettente. Ed infatti – ha precisato la Corte costituzionale il nuovo corso giurisprudenziale delle sezioni unite non riguarda l’ipotesi in cui, ancorchè sia stato violato il termine di dieci giorni di cui all’art. 435 c.p.c., comma 2 sia però stato rispettato quello di venticinque giorni di cui al successivo comma 3 della stessa disposizione, che prevede appunto che tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni (Corte Cost. ord. n. 60 del 2010).

La successiva giurisprudenza di questa Corte si è mossa sulla scia della pronuncia della Corte costituzionale escludendo che in questa fattispecie – id est: notifica del ricorso e del decreto presidenziale oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 435 c.p.c., comma 2 ma nel rispetto del termine di venticinque giorni di cui al comma 3 della medesima disposizione – si determini l’improcedibilità dell’appello.

Ed infatti Cass., sez. 6^, 15 ottobre 2010, n, 21358, ha affermato che nel rito del lavoro, il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione ( art. 435 c.p.c., comma 1) non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito all’appellato uno "spatium deliberando non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione, perchè egli possa apprestare le proprie difese (conf.

Cass., sez. lav., 30 dicembre 2010 n. 26489).

3. Anche nel caso in esame il ricorso ed il decreto presidenziale sono stato notificati oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 435 c.p.c., comma 2 ma nel rispetto del termine di venticinque giorni di cui al terzo comma della medesima disposizione.

E quindi, ribadendo il principio appena affermato, il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione anche per le spese di questo giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Genova in altra composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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