Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-02-2011) 02-03-2011, n. 8295 Lesioni colpose

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o del Foro di Viareggio che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenza del 9 ottobre 2009 il Giudice di Pace di Viareggio dichiarava F.G. e F.N. colpevoli del delitto di lesioni colpose commesso in danno di G.C. e li condannava alla pena di Euro 1000 di multa ciascuno, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separato giudizio, riconoscendo alla stessa una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 3000, oltre alla rifusione delle spese di giudizio che liquidava in complessivi Euro 3000, oltre accessori di legge.

A F.G. e a F.N. era stato contestato il reato di cui all’art. 590 c.p., comma 2, perchè, in (OMISSIS), nella qualità di titolari e gestori dell’omonima officina sita in (OMISSIS) per l’installazione di impianti a gas metano su autovettura, per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia nella installazione di un impianto a gas sull’autovettura di proprietà di G.C., cagionavano a costui lesioni consistite in profonde ustioni di primo e secondo grado al volto e ad altre parti del corpo, dalle quali derivava una malattia e uno stato di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre quaranta giorni, a causa di un incendio sviluppatosi all’interno della sopra indicata autovettura, in conseguenza della cattiva installazione dell’impianto.

In particolare, la consulenza tecnica svolta in fase di indagini preliminari accertava che la causa dell’incendio sviluppatosi all’interno dell’autovettura era riconducibile ad una fuoriuscita di metano dal riduttore di pressione (a causa di olio idraulico presente all’interno) dell’impianto ubicato nel cofano motore, infiltrandosi successivamente attraverso l’unico collegamento esistente con l’abitacolo sigillato, ma successivamente alterato dal passaggio del cavo elettrico necessario per il completamento dell’impianto e non nuovamente coibentato dall’installatore.

Avverso la decisione del Giudice di Pace di Viareggio ha proposto appello il difensore dell’imputato. Il tribunale di Lucca-Sezione distaccata di Viareggio, in sede di appello, in data 8.04.2010, con la sentenza oggetto del presente ricorso, confermava la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Viareggio e condannava gli imputati al pagamento delle spese processuali del grado, nonchè delle ulteriori spese sostenute dalla parte civile liquidate in Euro 800, oltre spese, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Avverso la predetta sentenza F.G. e F.N., a mezzo dei loro difensori, proponevano ricorso per Cassazione chiedendone l’annullamento con ogni conseguenza di legge.
Motivi della decisione

I ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) Nullità/inutilizzabilità dell’accertamento tecnico irripetibile disposto dal PM ex art. 360 c.p.p. con conseguente invalidità della testimonianza resa dal consulente e relativo vizio di motivazione.

In particolare i ricorrenti in sede di appello avevano denunciato la violazione degli artt. 185, 191 e 507 c.p.p., perchè il giudice di Pace aveva disposto l’esame dell’ing. D.C., consulente del Pubblico Ministero nella fase delle indagini, al fine di riferire in merito ad una relazione peritale che doveva considerarsi nulla ai sensi dell’art. 360 c.p.p.. Secondo gli imputati, infatti, si trattava di un accertamento tecnico non ripetibile, che era stato compiuto senza darne avviso agli indagati ed ai loro difensori, omettendo di eseguire gli avvisi prescritti dal sopraindicato articolo di legge, non potendosi ritenere, come sostiene la sentenza impugnata, che la nota dei Carabinieri di Massarosa datata 3.05.2003, con cui si ritrasmettevano alla Procura le comunicazioni ex art. 369 bis c.p.p. ed i verbali di identificazione dei due indagati, avesse comprovato la effettività dei sopra indicati avvisi.

Secondo i ricorrenti la natura di atto irripetibile della disposta consulenza del Pubblico Ministero si desumerebbe dal fatto che il consulente nominato ha provveduto a smontare l’impianto a metano oggetto di indagine, inficiando in tal modo la possibilità di verificare la fabbricazione e l’assemblaggio originario dell’impianto (causa prima del sinistro secondo l’accusa), nonchè impedendo ulteriori verifiche e riscontri da parte dei tecnici della difesa.

Per tali motivi gli odierni ricorrenti si erano opposti, da un lato, alla trasmigrazione dell’elaborato peritale redatto dall’ing. D. C. dal fascicolo del P.M. a quello del dibattimento e, dall’altro, all’assunzione testimoniale del consulente del P.M.. Il giudice di Pace, invece, aveva disposto ex officio l’esame del consulente del Pubblico Ministero e aveva utilizzato le dichiarazioni testimoniali dell’ing. D.C., mai indicato, nè nell’atto di citazione a giudizio, nè in alcuna lista testimoniale, al fine della decisione.

2) Mancata assunzione di prova decisiva ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto i giudici di merito, nonostante le reiterate richieste della difesa, non avevano disposto alcuna perizia di ufficio sull’impianto a metano che si ipotizzava essere la causa del sinistro di cui è processo.

3) Mancanza e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 192 c.p.p., comma 1, in punto di affermazione di responsabilità. Secondo il ricorrente la sentenza impugnata non avrebbe motivato con riferimento alle lacune e alle dimenticanze emerse nel corso dell’esame testimoniale dell’ing. D. C., soprattutto se raffrontate alle precise contestazioni mosse dal consulente della difesa ing. Ce..

I proposti motivi di ricorso sono infondati.

Non rileva la questione della eventuale nullità degli avvisi ai sensi dell’art. 360 c.p.p..

Correttamente il giudice di merito ha ritenuto atto ripetibile la consulenza del Pubblico Ministero, che si deve quindi ritenere effettuata ai sensi dell’art. 359 c.p.p., e non già dell’art. 360 c.p.p..

La situazione di non ripetibilità dell’atto si desume infatti non da una assoluta impossibilità di descrizione delle situazioni modificabili, bensì dalla perdita di informazioni che deriva dalla possibilità di mutamento dello stato di luoghi, cose o persone che non renderebbe possibile, in caso di necessità, la ripetizione dell’atto.

Nella situazione di cui è processo, come correttamente rileva il tribunale nell’ordinanza datata 8 aprile 2010, si doveva soltanto verificare la regolarità della costruzione dell’impianto, previo smontaggio di parti dello stesso, in relazione al quale, peraltro, nessuno dei consulenti escussi in qualità di testi ha sottolineato la non ripetibilità. Correttamente quindi il primo giudice ha ammesso, ex officio, a testimoniare il consulente del Pubblico Ministero ing. D.C., che è stato esaminato nel contraddittorio delle parti, e ha utilizzato le sue dichiarazioni ai fini della decisione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, (cfr.

Cass., Sez. 3, Sent. n. 22268 del 24.04.2008, Rv. 240258) l’accertamento effettuato in sede di consulenza tecnica non garantita disposta dal P.M. ai sensi dell’art. 359 c.p.p., può essere utilizzato solo per le determinazioni che l’organo dell’accusa assume nella fase delle indagini preliminari; lo stesso, quindi, non può di regola, assumere valore probatorio al dibattimento, salve restando le ipotesi di consenso delle parti in tal senso, di sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’accertamento e di escussione in dibattimento del consulente nella piena dialettica del contraddittorio e dell’esame incrociato, situazione quest’ultima che si è appunto verificata nella fattispecie di cui è processo.

Infondato è poi il secondo motivo di ricorso, in quanto la perizia sull’impianto a metano richiesta dalla difesa non può mai essere ritenuta un mezzo istruttorio con carattere di decisività, essendo, all’evidenza, un mezzo "neutro".

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, (cfr. Cass., Sez. 6, Sent. n. 37173 dell’11.06.2008, Rv 241009), la mancata assunzione di una prova può essere dedotta in sede di legittimità, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto si tratti di una" prova decisiva", ossia di un elemento probatorio suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da quella assunta, ma non quando i risultati che la parte si propone di ottenere possono condurre, confrontati con le ragioni poste a sostegno della decisione, solo ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale.

Anche il terzo motivo è infondato.

La sentenza impugnata, infatti, con congrua e logica motivazione indica le ragioni per cui ha ritenuto sussistente la responsabilità degli odierni ricorrenti in ordine al reato loro ascritto, dal momento che il propagarsi delle fiamme all’interno della vettura del G., che hanno provocato allo stesso le lesioni indicate nel capo di imputazione, deve ritenersi riconducibile non solo a difetti di fabbricazione, ma anche di manutenzione dell’impianto a metano collocato sull’autovettura dai fratelli F., che non avevano osservato le necessarie norme di perizia, diligenza e cautela nella installazione e successiva manutenzione dello stesso, pur avendo proceduto ad una verifica soltanto pochi giorni prima, su richiesta del G., che ne aveva constatato un difettoso funzionamento. I ricorsi devono essere pertanto rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese le processuali e alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2500 oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2500 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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