Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-04-2011, n. 9346 Malattia, infortuni, gravidanza e puerperio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.A., dipendente delle Poste Italiane s.p.a. presso il Centro di meccanizzazione Postale di Lamezia Terme con la qualifica di operatore di gestione, adiva il locale Tribunale esponendo che: in data 21 aprile 2000 il datore di lavoro gli comunicava che aveva superato il periodo di comporto, di cui all’art. 18 c.c.n.l., per malattia sofferta nei periodi dal 25 marzo 1999 al 6 giugno 1999, dal 27 luglio 1999 al 30 settembre 1999, il 1 ottobre 1999, il 13 ottobre 1999, dall’11 gennaio 2000 al 5 febbraio 2000, dal 15 marzo 2000 al 16 marzo 2000, per complessivi mesi tre e giorni ventuno;

contestualmente veniva invitato a regolarizzare la sua posizione producendo una istanza tendente ad essere considerato in aspettativa senza diritto alla retribuzione ed all’anzianità di servizio ai sensi dell’art. 18, comma 3 del CCNL; che non aveva aderito a tale invito facendo rilevare che le assenze erano anche imputabili ad inidoneità alle mansioni cui era adibito; che il datore di lavoro dava comunque corso alla sospensione dello stipendio per un periodo di mesi tre e giorni ventuno, illegittimamente sia perchè avrebbe dovuto adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute, sia perchè l’applicazione della norma contrattuale citata era subordinata alla domanda dell’interessato, nella specie mancante.

Chiedeva pertanto la condanna delle Poste Italiane s.p.a., alla restituzione delle somme trattenute e quantificate in mesi tre e giorni ventuno di retribuzione, oltre interessi e rivalutazione, e al risarcimento del danno ex art. 2043 e art. 2087, del danno biologico e di tutti i danni patrimoniali subiti.

Si costituiva la società Poste Italiane chiedendo il rigetto del ricorso, assumendo di avere applicato l’art. 18 c.c.n.l. al solo fine di evitare il licenziamento del dipendente a cui avrebbe dovuto dare corso, avendo egli superato il periodo di comporto previsto dal medesimo contratto collettivo. Il Tribunale di Lamezia Terme, in funzione di giudice del lavoro, rigettava la domanda, con sentenza del 9 maggio 2002 avverso la quale G. proponeva appello. Si costituiva la società Poste resistendo al gravame. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 177/06, accoglieva parzialmente il gravame, dichiarando il diritto del G. alla retribuzione per il periodo 15 aprile – 4 giugno 1999 (data quest’ultima della comunicazione dell’esito della seconda visita), condannando la società alla restituzione delle corrispondenti retribuzioni trattenute, con gli accessori di legge dal 25 maggio 2000.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il G., affidato a cinque motivi.

Resiste la società Poste con controricorso, contenente ricorso incidentale.
Motivi della decisione

1.- I ricorsi proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ. Con primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2110 e 2727 cod. civ., ( art. 360 c.p.c., n. 3) e per insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5). Si duoleva in particolare il G. che la corte di merito aveva erroneamente qualificato come malattia computabile nel periodo di comporto l’assenza dal 15 ottobre 1998 al 14 aprile 1999, con valutazione meramente presuntiva e prescindendo dalla valutazione di permanente inidoneità certificata in data 7 gennaio 1999.

Sosteneva in particolare che quest’ultima non poteva rientrare nel concetto di malattia, che presuppone un’impossibilità solo temporanea.

2. – Con secondo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 18 del c.c.n.l., art. 2094 cod. civ. e art. 116 c.p.c., ( art. 360 c.p.c., n. 3) e per insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Lamenta il G. che allorquando gli venne comunicato (21 aprile 2000) il superamento del periodo di comporto, con invito a presentare richiesta di aspettativa, egli aveva già ripreso a lavorare da ben 11 mesi. Che la società Poste non poteva comunque disporre la sua aspettativa, in mancanza di richiesta, come previsto dall’art. 18 del c.c.n.l.

3. – Con terzo motivo il G. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1217 cod. civ. e dell’art. 116 c.p.c., ( art. 360 c.p.c., n. 3) e per insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Lamenta in particolare che la corte di merito non ritenne sussistere nella specie una valida offerta delle prestazioni lavorative, che invece poteva essere presunta quale ragionevole conseguenza dell’interesse del lavoratore alla continuità del rapporto e della retribuzione (Cass. n. 2232 del 1997), tanto più che nella specie era pacifico che egli aveva offerto la sua prestazione al responsabile delle risorse umane ( D.M.), che tuttavia le aveva rifiutate.

4. – Con quarto motivo il G. censura la sentenza per omessa motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5), consistente nell’imputabilità del ritardo con cui venne accertato ((OMISSIS)) e comunicato (4 giugno 1999) l’esito della seconda visita (che lo giudicava idoneo al lavoro). Ciò sia in relazione alla errata individuazione dell’organo sanitario competente per gli accertamenti, sia quanto alla tardiva comunicazione dell’esito degli stessi.

5. I primi quattro motivi possono essere congiuntamente esaminati, risultando fondato il secondo, con assorbimento degli altri.

Ed invero, a prescindere dalla computabilità o meno di talune assenze ai fini del computo del periodo di comporto, ed a maggior ragione laddove
P.Q.M.

precluso al datore di lavoro di collocare unilateralmente il dipendente in aspettativa non retribuita, essendo ciò in contrasto sia col principio della immodificabilità unilaterale delle condizioni del contratto di lavoro, con sospensione da parte del datore di lavoro dell’obbligazione retributiva (Cass. 16 aprile 2004 n. 7300), sia, nel caso di specie, con la norma contrattuale collettiva di cui all’art. 18, comma 3, che espressamente prevede che l’aspettativa non retribuita può essere concessa solo su richiesta del lavoratore interessato.

6. – Con quinto motivo il G. censura la sentenza per omessa e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5), consistente nella prova del danno non patrimoniale richiesto, esclusa dalla corte di merito, ma invece da ritenersi, nella specie, in re ipsa. Il motivo è infondato.

Come chiarito dalle sezioni unite di questa Corte, sentenza n. 6572 del 24 marzo 2006 e successiva giurisprudenza (Cass. n. 19965 del 2006, Cass. n. 13877 del 2007, Cass. n. 29832 del 2008, Cass. n. 15915 del 2009), il danno non patrimoniale patito dal lavoratore non discende in via automatica dall’inadempimento datoriale, nel senso che è in re ipsa nella potenzialità lesiva della condotta del datore di lavoro, ma, al contrario, esso va provato dal lavoratore, il quale è tenuto, altresì, a dimostrare, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ.? l’esistenza di un nesso di causalità fra l’inadempimento e il danno ed a precisare quali, fra le molteplici forme di danno, ritenga di aver subito, fornendo, a tal proposito, ogni elemento utile per la ricostruzione della loro entità.

Se è pur vero che in materia ben può farsi ricorso alla prova presuntiva, è altrettanto vero che a tal fine è pur sempre necessario che, ai sensi dell’art. 2727 cod. civ., sia prodotta in giudizio una serie concatenata di circostanze concrete che consentono al giudice di risalire, sulla base delle nozioni di esperienza di cui all’art. 115 cod. proc. civ., all’esistenza del danno, il quale funge da presupposto indefettibile per una sua liquidazione, anche in forma equitativa.

7. – Con ricorso incidentale la società Poste denuncia la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2110 cod. civ., degli artt. 112 e 100 del cod. proc. civ. e di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Lamenta che il giudice di appello aveva riconosciuto come non imputabile a malattia il periodo 14 aprile 1999 – 4 giugno 1999, detraendolo dal periodo di comporto malgrado l’assenza di qualsiasi contestazione al riguardo in sede di gravame, confermando inoltre la sentenza di primo grado relativamente al periodo 15 ottobre 1998 – 14 dicembre 1998 pur in assenza di specifico motivo di impugnazione.

La corte territoriale aveva inoltre violato l’art. 100 c.p.c. per non aver ritenuto la carenza di interesse del ricorrente alla giuridica valutazione del periodo 14 aprile 1999 – 4 giugno 1999, in quanto successivo allo scadere del periodo di comporto.

Ed infatti, le assenze successive al 25 marzo 1999 non potevano essere detratte dal comporto perchè successive alla scadenza del medesimo, non sussistendo così alcun interesse del lavoratore al riguardo. Il ricorso incidentale risulta assorbito.

Premesso che la Corte di merito non ha ritenuto che le assenze successive al 25 marzo 1999 dovessero essere detratte dal comporto, bensì retribuite essendo ascrivibile la mancata prestazione lavorativa (e la relativa retribuzione) alla società Poste, il motivo risulta assorbito per le considerazioni svolte al punto 5, mirando comunque all’accertamento della legittimità della sospensione unilaterale del rapporto, e di fatto della sola retribuzione, da parte della società Poste.

8. – Il secondo motivo del ricorso principale deve essere quindi accolto, con cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. Alla enunciazione del principio indicato al punto 5) consegue l’accoglimento della domanda di condanna delle Poste Italiane s.p.a., alla restituzione delle somme trattenute e pacificamente quantificate in mesi tre e giorni ventuno di retribuzione, oltre interessi e rivalutazione monetaria in base agli indici ISTAT dal momento della ritenuta sino all’effettiva restituzione. La parziale reciproca soccombenza consiglia la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M. LA CORTE riunisce i ricorsi. Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigetta il quinto motivo e dichiara assorbiti gli altri.

Dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie la domanda di G.A. inerente la restituzione delle somme relative alla retribuzione per tre mesi e ventuno giorni, oltre accessori di legge.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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