Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-04-2011, n. 9345 Categoria, qualifica, mansioni Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Lecce, B.E., premesso che era stato assunto dall’Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni S.p.a., nel 1978, con sede di lavoro in Lecce, successivamente trasferito in posizione di distacco, presso l’istituto Superiore P.T. di Roma; che era stato sospeso dal servizio, a seguito di vicenda giudiziaria non ancora conclusa, in data 28 dicembre 1993; che aveva appreso solo dopo il 1 ottobre 2002 (data in cui aveva ricevuto presso l’ufficio postale di Lecce una busta paga relativa alla retribuzione del mese di settembre 2002, emessa dalla filiale di (OMISSIS)) di essere stato riammesso in servizio presso la filiale di (OMISSIS), senza però aver ricevuto, in proposito, alcuna comunicazione (secondo la società Poste avvenuta in data 3 settembre 2002); che, con missiva del 4 ottobre 2002, aveva chiesto alla società chiarimenti sulla sua posizione, dichiarando la sua immediata disponibilità a riprendere servizio ed evidenziando, tuttavia, l’illegittimità dell’indicazione della filiale di (OMISSIS) quale sede di lavoro; che la società, anzichè fornirgli i chiarimenti richiesti, gli aveva contestato, con nota del 22 ottobre 2002, la mancata presentazione in servizio presso la filiale di Locri e successivamente, con missiva ricevuta il 22 novembre 2002, gli aveva intimato la sanzione disciplinare del licenziamento con preavviso, con esenzione dalla prestazione lavorativa; che il licenziamento doveva ritenersi illegittimo anche in considerazione del breve e vessatorio termine di 24 ore assegnatogli per prendere servizio presso la filiale di (OMISSIS), chiedeva al Giudice del lavoro di Lecce la declaratoria di nullità, illegittimità o inefficacia del provvedimento di riammissione in servizio presso la sede di (OMISSIS), e conseguentemente, del licenziamento intimato nei suoi confronti.

Si costituiva la s.p.a. Poste Italiane e contestava le avverse pretese e deduzioni.

Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 21 dicembre 2005, respingeva la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello il B.. Si costituiva la società Poste resistendo al gravame. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce accoglieva parzialmente l’appello e dichiarava la nullità del licenziamento, ordinando alla società Poste la reintegra del B. nel suo posto di lavoro presso la filiale di (OMISSIS), con le consequenziali pronunce L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società Poste, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso il B., proponendo ricorso incidentale basato su due motivi.
Motivi della decisione

1.- I ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ. La soc. Poste Italiane denuncia la sentenza della Corte di Appello di Lecce per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 421 e 437 c.p.c. e per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando che erroneamente tale giudice aveva escluso la sussistenza di una sufficiente prova della comunicazione 13.8.02, in tesi ricevuta il 3.9.02, con cui il B. era stato riammesso al lavoro presso la filiale di (OMISSIS).

Deduceva che la Corte aveva inspiegabilmente ignorato le prove assunte dal Tribunale che, pur ravvisando un errore materiale nella indicazione degli estremi postali, aveva adeguatamente motivato, anche alla luce dei tabulati informatici forniti dalla società Poste ed acquisiti ex art. 421 c.p.c., circa l’esistenza di prova in ordine alla ricezione della missiva da parte del B.. Denunciava la violazione dei principi in tema di poteri istruttori ufficiosi del giudice del lavoro, formulando il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se il giudice che reputi insufficienti le prove già acquisite può legittimamente provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, ritenendo rilevanti ai fini della decisione anche documenti richiesti e prodotti da una delle parti.

2. – Con secondo motivo la società Poste censura la sentenza impugnata di violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 cod. civ. in relazione all’art. 37 C.C.N.L. 2001, nonchè per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ( art. 360 c.p.c., n. 3). Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5).

Lamenta la società ricorrente che la sentenza della Corte di Appello di Lecce risultava viziata anche nella parte in cui dichiarava l’illegittimità della nuova assegnazione del B. alla filiale di (OMISSIS) poichè al lavoratore era stato dato un termine brevissimo per raggiungere la nuova sede. L’art. 37 C.C.N.L. 2001, applicabile alla fattispecie in esame e disciplinante l’ipotesi di trasferimento del lavoratore, deduce la ricorrente Poste, prevede al punto 2: "Il trasferimento deve essere comunicato per iscritto con un preavviso rispettivamente non inferiore a 45 giorni, ovvero a 60 giorni nei confronti del lavoratore senza o con famiglia a carico. La Società, in caso di particolari esigenze di servizio, può disporre il trasferimento con un preavviso inferiore rispetto ai predetti termini, erogando per il restante periodo le indennità viste in caso di missione". Quindi, se era vero che la contrattazione collettiva prevedeva un congruo termine di preavviso in caso di trasferimento del lavoratore, prevedeva altresì che tale termine potesse essere ridotto senza fissare alcun limite a tale riduzione in caso di particolari esigenze di servizio, certamente ricorrenti nella specie "stante la pendenza di un procedimento penale per fatti comunque compiuti nel territorio pugliese" e la conseguente incompatibilità ambientale.

La Corte di Appello, senza adeguatamente motivare sul punto, avrebbe peraltro ignorato il fatto che dalla violazione del termine di preavviso non discende la nullità del trasferimento e che, comunque, anche se non venisse rispettato il termine di cui al citato art. 37, ciò non inficerebbe la validità del relativo provvedimento, atteso che "il preavviso può comunque essere temporalmente ridotto a fronte della corresponsione di una indennità sostitutiva".

Evidenziava la ricorrente come fosse chiara la comune intenzione delle parti sociali: se esse avessero davvero voluto porre come condizione di validità del trasferimento il rispetto del termine di preavviso ivi indicato non avrebbero certo inserito nella stessa disposizione la possibilità per il datore di ridurre tale termine in presenza di particolari esigenze di servizio. Formulava il prescritto quesito di diritto.

3. – I motivi, stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati e risultano in parte inammissibili e per il resto infondati.

Il primo quesito di diritto proposto risulta inammissibile. Deve infatti richiamarsi il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui "Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge, Cass. ord. 17 luglio 2008 n. 19769. Nello stesso senso Cass. ord. 25 settembre 2007 n. 19892, secondo cui "E’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo".

Nella specie la risposta affermativa al quesito, non risulta decisiva.

La Corte territoriale ha infatti, con accertamento congruo ed insuscettibile di sindacato da parte del giudice di legittimità, ritenuto che era evidente la discrasia esistente tra il numero di raccomandata annotato sotto il nominativo del B. ed il numero di raccomandata annotato sull’avviso di ricevimento. Anche dai dati informatici prodotti dalla società ed acquisiti, in base agli invocati poteri ufficiosi, secondo la Corte territoriale emergeva che la raccomandata n. (OMISSIS) (in tesi inviata al B.) risultava inviata invece da Reggio Calabria a Caulonia il 20 agosto 2002, derivandone così una assoluta incertezza sulla effettiva ricezione, da parte del B., della missiva, con ciò anche spiegandosi la tardiva reazione del B. alla nuova assegnazione.

Per il resto occorre evidenziare che la contestazione del 20 settembre 2002, che ha dato origine al licenziamento, risulta illegittima, come ritenuto dalla Corte di merito.

Premesso che quest’ultima non ha affatto ritenuto che nella specie ricorressero i motivi sindacalmente previsti per l’abbreviazione degli invocati e riportati termini di trasferimento (60 o 45 giorni), occorre osservare che qualora la disciplina collettiva preveda che il trasferimento del dipendente ad altra sede debba essere preceduto da un preavviso di determinata durata, è illegittimo il provvedimento con cui il datore di lavoro, prima della scadenza del termine, incarichi il medesimo dipendente di iniziare a svolgere la sua attività presso la nuova sede assegnatagli, venendo in tal modo compromessa la finalità della disposizione, intesa a ridurre al minimo i disagi del trasferimento ed a consentire al lavoratore di provvedere tempestivamente ad ogni bisogno individuale e familiare, anche abitativo, derivante dal mutamento di sede. Ne consegue che il lavoratore, il quale ometta di adempiere all’ordine, non può essere considerato assente ingiustificato, relativamente al periodo di durata del preavviso predetto,(Cass. 22 maggio 2001 n. 6984).

Nella specie è pacifico che al B. vennero date 24 ore per prendere servizio presso la sede di Locri; che dunque, anche a voler ammettere che egli ricevette la comunicazione in data 3 settembre 2002, già il 20 settembre successivo ricevette la contestazione disciplinare (basata sull’assenza ingiustificata nella nuova sede lavorativa assegnata) su cui il licenziamento è fondato.

4. – Il primo motivo del ricorso incidentale, inerente la illegittimità della riammissione in servizio in luogo diverso (Locri) da quello ove era precedentemente svolta l’attività lavorativa, risulta assorbito.

5. – Risulta infine infondato il secondo motivo del ricorso incidentale, col quale il B. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. per avere la corte territoriale respinto la domanda di risarcimento del danno conseguente l’illegittimo licenziamento, qualificabile come "danno-evento derivante dalla semplice violazione della dignità umana e direttamente risarcibile anche in via equitativa".

Tale domanda, come pure risulta dal quesito proposto, si basa sulla possibilità per il giudice di riconoscere e liquidare, anche in via equitativa, un danno in re ipsa (pag. 21 controricorso).

Come chiarito dalle sezioni unite di questa Corte, e plurimis sentenza 24 marzo 2006 n. 6572 e successiva giurisprudenza (Cass. n. 15915 del 2009, Cass. n. 29832 del 2008, Cass. n. 13877 del 2007, Cass. n. 19965 del 2006), il danno non patrimoniale patito dal lavoratore non discende in via automatica dall’inadempimento datoriale, nel senso che è in re ipsa nella potenzialità lesiva della condotta del datore di lavoro, ma, al contrario, esso va provato dal lavoratore, il quale è tenuto, altresì, a dimostrare, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., l’esistenza di un nesso di causalità fra l’inadempimento e il danno e a precisare quali, fra le molteplici forme di danno, ritenga di aver subito, fornendo, a tal proposito, ogni elemento utile per la ricostruzione della loro entità. 6. – I ricorsi vanno pertanto respinti.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di causa.
P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa le spese di causa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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