Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-04-2011, n. 9341 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 2/2/06, depositata l’11/3/06, la Corte d’Appello di Milano rigettò l’appello proposto dalle Poste Italiane s.p.a avverso la sentenza n. 35/04 del Tribunale di Sondrio, con la quale era stato dichiarato illegittimo il licenziamento intimato senza preavviso il 1/10/01 ad P.O., addetta allo sportello della succursale n. (OMISSIS) dell’ufficio postale di Sondrio, alla quale era stato contestato di aver irregolarmente accettato nel periodo (OMISSIS) diversi assegni bancari e circolari consentendone il versamento sul conto corrente postale n. (OMISSIS) intestato a D.M.U.S., al quale aveva anche corrisposto come resto del denaro contante, senza aver provveduto ad eseguire i previsti controlli al fine di evitare il danno alla società, e, per l’effetto, confermò la sentenza appellata e compensò tra le parti le spese del grado.

La Corte milanese addivenne a tale decisione dopo aver rilevato che il comportamento dell’appellante, mai sottoposta in quindici anni di servizio a sanzioni disciplinari, pur censurabile, non era idoneo a far venir meno irrimediabilmente l’elemento fiduciario, dal momento che la situazione artificiosamente creata dal comportamento truffaldino del D.M., in cui la lavoratrice si era trovata ad agire, si era rivelata del tutto eccezionale ed imprevedibile, per cui appariva sproporzionata la sanzione irrogatale. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane s.p.a, affidando l’impugnazione ad un unico articolato motivo di censura suddiviso in quattro ragioni di doglianza. Resiste la P. con controricorso.
Motivi della decisione

Col presente ricorso la società Poste Italiane s.p.a lamenta il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5), articolando il contenuto del motivo in quattro distinte ragioni di doglianza che possono così riassumersi:

1) I giudici d’appello non avevano detto nulla sul fatto che, in realtà, la fattispecie disciplinare era costituita non da uno ma da quindici episodi contestati nell’arco di poche settimane, trascurando, in tal modo, sia il dato oggettivo della reiterazione delle mancanze, sia quello soggettivo del comportamento tenuto dalla P.; invero, quest’ultima, a fronte dell’anomalia delle richieste rivoltele dal cliente D.M., rivelatosi in seguito autore di episodi truffaldini in danno della società postale, avrebbe dovuto premunirsi, nella sua qualità di addetta allo sportello postale, dell’autorizzazione della direttrice dell’ufficio.

2) Gli stessi giudici nulla avevano detto sulla posizione occupata dalla lavoratrice nell’ambito della struttura organizzativa della società, salvo a riconoscere che la medesima aveva più volte assunto "responsabilità diretta o per sostituzione di uffici postali" per oltre quindi anni di servizio, la qual cosa non poteva non avere i suoi riflessi sulla gravità della condotta oggetto di censura. c) La Corte territoriale non aveva detto nulla a proposito delle conseguenze patrimoniali rilevanti riconducigli al comportamento della lavoratrice, circostanza, questa, indubbiamente influente sulla valutazione della condotta censurata. d) Infine, la stessa Corte d’appello non si era pronunziata sul mancato accoglimento della domanda riconvenzionale diretta alla derubricazione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Osserva la Corte che il ricorso è inammissibile per una duplice ragione. Anzitutto, l’ultima doglianza, incentrata sulla lamentata omessa pronunzia sulla domanda riconvenzionale, inerisce ad una censura che integra una violazione dell’art. 112 c.p.c. e, quindi, una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4. (nullità della sentenza e del procedimento) e non, come nella fattispecie, come vizio motivazionale a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, attenendo quest’ultimo esclusivamente all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (ex plurimis Cass. 9.4.1990, n. 2940; Cass. 27.3.1993,n. 3665).

Infatti, il vizio di omessa pronunzia, quale vizio che si assume incidere sulla sentenza pronunziata dal giudice del gravame, è passibile di denunzia esclusivamente con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass. S.U. 14.1.1992, n. 369; Cass. 25.9.1996, n. 8468).

Da ultimo (Cass. Sez. 3, n. 1196 del 19/01/2007) è stato ribadito che "la pronuncia d’ufficio da parte del giudice del merito su una domanda o un’eccezione che può essere fatta valere esclusivamente dalla parte interessata integra violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale siffatta censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto (riconducibile al n. 3 del citato art. 360) ovvero come vizio della motivazione, incasellarle nel n. 5) dello stesso art. 360 c.p.c.".

Invece, per quel che concerne le prime tre censure, pur essendo le stesse rappresentative di una lamentata omessa valutazione di fatti (pluralità degli addebiti, posizione lavorativa della dipendente e conseguenze patrimoniali riconducigli al suo operato) che potevano incidere sulla valutazione della gravità del comportamento tenuto dalla lavoratrice ai fini della proporzionalità della sanzione inflittale, si rileva che manca un momento di sintesi omologo al quesito di diritto di cui all’art. 366-bis c.p.c. (applicabile "ratione temporis", trattandosi di sentenza pubblicata l’11/3/06) atto a circoscrivere puntualmente i limiti del motivo dedotto, in maniera tale da non ingenerare incertezze in sede di valutazione di ammissibilità dello stesso.

Come insegnano, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. sez. un. n. 20603 dell’1/10/2007), "in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il motivo non era stato correttamente formulato, in quanto la contraddittorietà imputata alla motivazione riguardava punti diversi della decisione, non sempre collegabili tra di loro e comunque non collegati dal ricorrente)." Invero, nella fattispecie il suddetto momento di sintesi era assolutamente indispensabile, posto che dapprima la ricorrente da atto della circostanza che la Corte d’appello, condividendo la pronunzia del primo giudice, ha riconosciuto la sussistenza dei fatti addebitati, cioè le diverse operazioni irregolari oggetto della lettera di contestazione del 10/9/2001, e poi imputa alla stessa Corte territoriale di non aver tenuto conto degli altri quattordici episodi contestati nell’arco di poche settimane, senza specificare, tuttavia, in cosa consistettero tali ulteriori episodi e se gli stessi avessero avuto una effettiva relazione causale con le irregolarità oggetto della contestazione posta a base del licenziamento oggetto del presente giudizio, non consentendo, in tal modo, a questa Corte di verificare la sussistenza o meno del dedotto vizio motivazionale della sentenza impugnata. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile e condanna fa ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2000,00 per onorario, oltre Euro 26,00 per esborsi, nonchè spese generali, IVA e CPA ai sensi di legge.

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