Cass. civ. Sez. II, Sent., 26-04-2011, n. 9329 Corrispettivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 16 settembre 2005, M.P. ricorre, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catania n. 195 del 22 febbraio 2005, che, in parziale accoglimento del proprio appello, l’aveva condannato al pagamento in favore di L.C. della somma di Euro 7.148,44 a titolo di saldo prezzo per l’esecuzione di lavori edili, importo così determinato dal giudice di secondo grado sulla base del rilievo che le parti avevano pattuito per le opere previste in contratto la somma fissa e invariabile di L. 54.000.000 e che nel corso dei lavori, come accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio, alcune opere erano state sostituite ed altre se ne erano aggiunte, sicchè, detratti gli importi versati, l’appaltatore era ancora creditore della somma sopra indicata.

L’intimato L.C. si è costituito in giudizio depositando una memoria di costituzione non notificata.
Motivi della decisione

Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità della memoria di costituzione (recte: controricorso) depositata dall’intimato L., in quanto non notificata alla controparte, così come prescrive l’art. 370 cod. proc. civ. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cod. proc. civ., assumendo che il giudice di merito avrebbe dovuto dichiarare il difetto di legittimazione attiva della controparte in relazione alla domanda proposta, atteso che il contratto di appalto era stato dall’attuale ricorrente firmato con tale M.F., come risulta dallo stesso atto consegnato dal L. al consulente tecnico d’ufficio. Il motivo è inammissibile.

La sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda del L. di condanna del convenuto al pagamento del saldo prezzo dei lavori appaltati e, per l’effetto, riconosciuto implicitamente la sua legittimazione attiva, non risulta infatti appellata dall’attore sul punto. Ne consegue che la relativa questione, che attiene più propriamente al merito, non appare più sollevatale in sede di legittimità, per effetto del giudicato interno che su di essa si è ormai formato.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 112 cod. proc. civ., lamentando che la Corte di appello sia caduta nel vizio di extrapetizione, per avere condannato il convenuto al pagamento dell’iva anche in relazione alle somme dovute per i lavori già previsti dal contratto, laddove l’attore con la propria domanda aveva limitato le proprie richieste al pagamento dei lavori extra contratto.

Il motivo è infondato.

A parte il rilievo che – dato il contenuto della decisione di primo grado ed il mancato appello della parte sul capo di essa che l’aveva condannato anche al pagamento dell’iva – anche per tale censura possono ripetersi le considerazioni di inammissibilità svolte in sede di esame del motivo precedente, il mezzo è infondato in quanto l’assunto del ricorrente appare smentito dalla esposizione dei fatti di causa contenuta nella decisione di appello, non oggetto di contestazione specifica da parte del ricorso, laddove in particolare la Corte da atto che il L., con la propria domanda, aveva chiesto il pagamento dell’iva sull’intero corrispettivo dovutogli, senza distinguere, pertanto, tra il compenso spettategli per i lavori previsti nel contratto originario e quello per i lavori disposti successivamente.

Il terzo motivo di ricorso denunzia "omessa e insufficiente indicazione nel dispositivo circa la natura della somma cui viene condannato il ricorrente", assume che la sentenza impugnata va corretta nel dispositivo laddove non distingue la parte della somma dovuta dal M. per capitale da quella dovuta per il pagamento dell’iva, distinzione che invece appare importante ai fini della corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione, che non è dovuta in relazione al debito per l’imposta.

Il motivo è inammissibile per l’estrema genericità della censura con esso sollevata.

La critica svolta dal ricorrente sembra infatti postulare un vizio di violazione di legge, per avere il giudice di appello esteso la condanna al pagamento degli interessi e della rivalutazione alle somme liquidate anche a titolo di pagamento dell’iva, ma omette sul punto di indicare quali norme o principi di diritto sarebbero stati violati e di illustrare le ragioni della dedotta violazione.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, limitate a tre voci in ragione della declaratoria di inammissibilità del controricorso, vanno poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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