Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26-01-2011) 02-03-2011, n. 8285 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del GIP del Tribunale di Roma del 23/11/2009, resa in sede di rito abbreviato, C.L. e P.O.L. E. venivano condannati per delitti di traffico di stupefacente.

Al C., per i capi 47 (aggravato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2), 49 e 50, veniva irrogata, con la continuazione e la diminuente del rito, la pena di anni 9 di reclusione ed Euro 40.000,00= di multa; al P., per il capo 2 (aggravato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2), con la continuazione esterna con reato già giudicato dalla Corte di Appello di Napoli, con le attenuanti generiche e l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, veniva irrogata la pena di anni 5 di reclusione ed Euro 24.000,00= di multa.

Con sentenza del 21/5/2010 la Corte di Appello di Roma confermava la pronuncia di condanna ed il trattamento sanzionatorio a carico di entrambi gli imputati.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, lamentando:

2.1. P.: a) la erronea applicazione della legge penale ed in particolare della L. n. 203 del 1991, art. 8 per non avere il giudice di merito ritenuto applicabile all’imputato, collaboratore di giustizia, la detta attenuante della dissociazione attuosa, erroneamente ritenuta riconoscibile solo al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. e reati connessi; b) la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed alla riconosciuta mera equivalenza delle attenuanti.

2.2. C.: a) la nullità della citazione in appello, in quanto, in violazione dell’art. 429 c.p.p., lett. f), richiamato dall’art. 601 c.p.p., non era contenuto l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarebbe stato giudicato in contumacia; b) la violazione di legge, per avere omesso la Corte di Appello di rilevare la mancata traduzione dell’imputato detenuto per l’udienza del 21/5/2010, benchè ne avesse fatto richiesta tramite l’Ufficio Matricola fin dal 6/5/2010. Trattandosi di nullità assoluta era insanabile e si estende alla sentenza; c) la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine alla riconosciuta colpevolezza per il capo 47, relativa alla detenzione di un ingente quantitativo di cocaina sottratto da un appartamento ove era custodito, senza che di tale sostanza fosse rilevata traccia della pregressa esistenza e senza valutare che, seppure fosse stata presente, la sua sottrazione poteva essere stata opera di altri soggetti. Inoltre il difetto di motivazione in relazione all’affermata aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2; d) il difetto di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche ed il complessivo trattamento sanzionatorio, essendo il C. gravato solo da un precedente per ricettazione.
Motivi della decisione

3. Il ricorso del P. deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza delle censure dedotte.

3.1. Con il primo motivo di censura l’imputato, collaboratore di giustizia, ha lamentato il mancato riconoscimento in suo favore della diminuente di pena di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8 per avere il giudice di merito ritenuto applicabile la dissociazione attuosa, solo al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. e reati connessi.

Va ricordato che questa Corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, ha statuito che "La circostanza attenuante speciale prevista per i collaboratori di giustizia dal D.L. n. 152 del 1991, art. 8 conv. in L. n. 203 del 1991, si applica solo ai delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. ed a quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste da detta norma per agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, sicchè non concorre con l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7, che si applica solo a colui che si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato previsto dall’art. 74 stesso D.P.R., o per sottrarre al traffico illecito di sostanze stupefacenti risorse decisive per la commissione dei delitti, poichè entrambe le circostanze costituiscono previsioni premiali aventi diversi ambiti di operatività, in quanto dirette ad evitare, attraverso una sorta di ravvedimento "post delictum", che il reato associativo, cui rispettivamente si riferiscono, sia portato ad Ulteriori conseguenze" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 29626 del 11/03/2010 Ud. (dep. 27/07/2010), imp. Capriati, Rv. 248194; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17702 del 21/01/2010 Ud. (dep. 10/05/2010), imp. Di Lauro, Rv.

247060).

Ne consegue la manifesta infondatezza della doglianza, tenuto conto che il delitto per cui si procede è quello previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80 e l’imputato ha già beneficiato del riconoscimento dell’attenuante di cui al comma 7 del medesimo articolo.

3.2. Manifestamente infondata è anche la doglianza relativa al complessivo trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti sull’aggravante di cui all’art. 80 cit.

Con coerente e logica motivazione il giudice di merito ha ritenuto non potersi riconoscere la prevalenza delle attenuanti (generiche e dell’art. 73, comma 7), tenuto conto del suo ruolo preminente nella commissione dei fatti e della gravità dell’imputazione, concernente l’importazione di oltre 250 kg. di cocaina. Nonostante ciò, il giudice di merito ha irrogato una pena contenuta (anni 5 di reclusione ed Euro 24.000,00= di multa), riconosciuta la continuazione con altro analogo delitto, già giudicato.

Va rammentato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta, come nel caso di specie, contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (cfr. ex plurimis, Cass. 4^, 20 settembre 2004, Nuciforo, RV 230278).

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7 – 13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille/00).

4. Quanto al ricorso del C., per il loro evidente carattere pregiudiziale vanno esaminate "in primis" le censure in rito.

4.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Invero il C. ha lamentato la nullità della citazione in appello, in quanto, in violazione dell’art. 429 c.p.p., lett. f), richiamato dall’art. 601 c.p.p., in essa non era contenuto l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarebbe stato giudicato in contumacia.

Con consolidata giurisprudenza, si è più volte affermato che nel giudizio svoltosi con il rito abbreviato, in appello non trova applicazione l’istituto della contumacia (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25097 del 19/06/2007 Ud. (dep. 28/06/2007 ), imp. Chaknsi, Rv.

236841), di conseguenza, per la citazione in appello, "non è richiesto che nel decreto emesso ai sensi dell’art. 601 cod. proc. pen. venga inserito l’avvertimento che l’imputato, in caso di mancata comparizione, sarà giudicato in contumacia, dovendosi anzi ritenere un tale avvertimento del tutto improprio, rispetto alla disciplina del procedimento camerale dettata dall’art. 127 cod. proc. pen., cui si richiama il citato art. 599" (Cass. Sez. 4, sentenza n. 10231 del 26/01/2005 Ud. (dep. 16/03/2005), imp. Todeschini, Rv. 230921; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13134 del 03/03/2005 Ud. (dep. 11/04/2005 ), imp. Puzzo, Rv. 231254).

4.2. E’ viceversa fondata la seconda censura.

Come ricordato dal difensore in ricorso, e come si rileva dagli atti, al momento della citazione in appello, il C. era detenuto presso la Casa Circondariale di S.M. Capua Vetere. Con missiva del 6/5/2010 (v. mod. dell’Ufficio Matricola della Casa Circondariale), indirizzata alla seconda sezione della Corte di Appello di Roma, l’imputato ebbe a richiedere di presenziare all’udienza del 21/5/2010. Per detta udienza egli non è stato tradotto ed una volta dichiarata la sua assenza, è stata pronunciata la sentenza di conferma della condanna. Ciò premesso è palese che si è maturata una nullità assoluta ed insanabile che travolge la sentenza emessa a carico del ricorrente.

Questa Corte ha statuito che "L’imputato detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire all’udienza, ha diritto di presenziare al giudizio camerale d’appello avverso la sentenza pronunciata in giudizio abbreviato, anche se ristretto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice procedente" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 35399 del 24/06/2010 Ud. (dep. 01/10/2010) Rv.

247835): in motivazione il Supremo Collegio ha precisato che la conseguente patologia è la nullità assoluta e insanabile della udienza e della successiva pronunzia, ai sensi dell’art. 178 cod. proc. pen., lett. e) e art. 179 cod. proc. Pen. Si impone, pertanto, l’annullamento dell’impugnata sentenza, con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, limitatamente alla posizione del C., rimanendo assorbiti nella pronuncia gli altri motivi di ricorso.
P.Q.M.

Annulla l’impugnata sentenza nei confronti di C.L. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma;

dichiara inammissibile il ricorso proposto da P.O.L. E. e lo condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00= in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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