Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-04-2011, n. 9401 Interruzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24/6/2005 la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della gravata decisione Trib. S. Maria Capua Vetere 8/11/2001, che aveva ritenuto fondata la sollevata eccezione di prescrizione, accoglieva (argomentando dalla ravvisata diversa decorrenza della prescrizione ritenendo trattarsi di fattispecie ex art. 2941 c.c., n. 8) la domanda proposta dalla società G.P.L. Costruzioni s.r.l. nei confronti dei sigg.ri I.G. di restituzione della somma di L. 20.500.000, portata da assegno in pagamento di forniture effettuate dalla soc. Polyglass incassato dal sig. I. senza alcuna autorizzazione della società intestataria, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria, della quale si era indebitamente arricchito.

Avverso la suindicata pronunzia i sigg.ri D.C., A. A. ed I.E., eredi del defunto I.G., propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso la società G.P.L. Costruzioni s.r.l..
Motivi della decisione

Con il 1^ motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 2941 c.c., "in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e n. 5".

Si dolgono che erroneamente la corte di merito abbia ritenuto la diversa decorrenza nel caso del termine di prescrizione in ragione dell’"attività fraudolenta posta in essere dal I. al fine di trarre un proprio vantaggio", laddove dalle "prove escusse in alcun modo risulta provato che il I. si fosse appropriato della somma nè tanto meno il comportamento doloso teso a nascondere al creditore l’esistenza dell’obbligazione".

Lamentano non essersi in ogni caso dal giudice dell’appello considerato che ai fini della configurabilità del dolo è necessaria "una condotta ingannatrice tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, non una mera difficoltà di accertamento del credito … o ancora che abbia determinato una situazione obiettiva tale da precludere al debitore la possibilità di far valere il suo credito", laddove nella specie tale "requisito necessario non è stato mai valutato ed esaminato dalla Corte".

Con il 2^ motivo denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2033, 2036, 2041 e 2042 c.c., nonchè "omessa qualificazione della domanda", in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamentano che erroneamente la corte di merito ha qualificato la domanda come di indebito, giacchè nel caso "l’obbligazione trovava fondamento su di un regolare rapporto giuridico di compravendita che preclude quindi l’applicazione delle norme in materia di indebito".

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sìa possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dagli odierni ricorrenti.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come i medesimi facciano richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., alla "citazione notificata il 30.01.98", all’"assegno bancario di L. 20.500.000 tratto sulla Banca Commerciale Italiana intestato alla Polyglass spa ed a firma della G.L.P. Costruzioni srl", alle "verifiche contabili", alla sentenza Trib. S. Maria Capua Vetere 7/11/2001, all’"appello", alla "lettera del 10.04.91", ai "pagamenti effettuati", alla "lettera racc.ta del 30.07.97", alle "successive note", agli "atti a tutti gli effetti interrottivi della maturanda prescrizione", alla "proposta domanda per arricchimento senza giusta causa", alla "comparsa conclusionale", alle "prove escusse", alle "forniture ricevute", al "rapporto giuridico di compravendita") limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pongono questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., l/2/1995, n. 1161).

Quanto al denunziato vizio ex art. 112 c.p.c., rilevato, da canto, che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità l’omesso esame di una domanda e la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sono deducibili con ricorso per cassazione esclusivamente quali errores in procedendo ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., 23/3/2011, n. 6672; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307) (nullità della sentenza e del procedimento) (v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 8468), e non già sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (e a fortiori del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (v. in particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952; Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 26/1/2006, n. 1701); va per altro verso ribadito che anche alla denunzia della relativa violazione quale vizio integrante error in procedendo il principio di autosufficienza va invero osservato, dovendo specificamente indicarsi l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale) ed abbia quindi il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Orbene, il ricorrente, attesa la rilevata violazione del principio di autosufficienza non ha in ogni caso posto questa Corte nella condizione di compiutamente apprezzare quale fosse l’oggetto della domanda originariamente rivolta al giudice di prime cure, quale sia stata la relativa pronunzia, e quali fossero i limiti (oggettivi e soggettivi) del gravame avverso la medesima interposto.

Senza in argomento sottacersi come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato non rimane violato allorquando il giudice esamini una questione non espressamente formulata laddove questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (v. Cass., 26/10/2009, n. 22595); ovvero ricostruisca e qualifichi l’azione diversamente da come prospettato sia di accertare la presenza degli elementi caratterizzanti l’efficacia costitutiva od estintiva della pretesa avanzata, attenendo tale accertamento all’obbligo di esatta applicazione della legge (v. Cass., 28/1/2000, L. n. 961); o, ancora, pronunzi in base a ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, o in base a norme giuridiche diverse da quelle dalle medesime invocate (v., Cass., 30/8/1997, n. 8258 ). E a fortiori allorquando la domanda risulti assorbita dall’accoglimento di quella proposta in via principale, come la controricorrente deduce essere nella specie invero avvenuto (cfr. Cass., 19/5/2006, n. 11756; Cass., 25/1/2006, n. 1380; Cass., 19/3/2004, n. 5562).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni degli odierni ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., i ricorrenti in realtà sollecitano, centra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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