Cassazione civile 8179/2010 Irragionevole durata del processo: il danno è conseguenza normale!

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

p.1.- B.V. ha adito la Corte d’appello di Genova, al fine di ottenere la liquidazione dell’indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, in relazione alla durata irragionevole del giudizio promosso innanzi al T.a.r. Toscana con ricorso del 13.1.1995, definito con sentenza di rigetto del 19.5.2003, avente ad oggetto il diritto al computo nell’indennità di buonuscita dell’anzianità di servizio.

La Corte d’appello, con decreto del 26.2.2007 ha rigettato la domanda, dichiarando compensate tra le parti le spese del giudizio.

In particolare, secondo il decreto, la giurisprudenza amministrativa era consolidata nel ritenere infondate domande quali quella oggetto del giudizio presupposto, quindi “la consapevolezza delle scarse possibilità di accoglimento di un ricorso collettivo concernente pretese di categoria” induceva ad “escludere qualsiasi sofferenza, ansia o disagio” ed il danno non patrimoniale. Per la cassazione di questo decreto B.V. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

La Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistono con controricorso.
Motivi della decisione

p.2.- Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione dell’art. 6, p.1 della CEDU, della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè degli artt. 24 e 101 Cost., in relazione all’art. 96 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), richiamando sentenze di questa Corte, rese in giudizi concernenti vicende analoghe e decreti della stessa Corte d’appello di Genova, le quali hanno escluso che l’esito sfavorevole della lite escluda il diritto all’indennizzo per il danno non patrimoniale da irragionevole durata del giudizio.

Deduce che il giudice è soggetto soltanto alla legge e può decidere anche in modo difforme da precedenti orientamenti giurisprudenziali.

In conclusione, il ricorrente formula quesito di diritto concernente la circostanza che la consapevolezza sull’esito del giudizio presupposto non rileva ai fini del danno non patrimoniale.

Con il secondo motivo, è denunciata violazione dell’art. 6, p.1, della CEDU, della L. n. 89 del 2001, e dell’art. 96 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nella parte in cui il decreto ha escluso il danno non patrimoniale, valorizzando il rigetto della domanda e la consapevolezza dell’infondatezza della medesima anche quando questa non emerga dal giudizio presupposto in misura tale da prefigurare un abuso del processo, evenienza questa esclusa dalla compensazione delle spese del giudizio disposta dal giudice del merito.

Il ricorrente formula, quindi, quesito di diritto concernente la circostanza che il danno non patrimoniale da violazione del termine di ragionevole durata del giudizio sussiste anche nel caso di consapevolezza dell’infondatezza della domanda, salvo che questa sconfini nell’abuso di difesa.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione circa l’acquiescenza che egli avrebbe prestato alla decisione di rigetto del TAR. p.3. -Preliminarmente va rilevato che il ricorrenti ha proposto il ricorso per cassazione sia contro la PDCM che contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze che appare privo di legittimazione passiva essendogli stata riconosciuta detta legittimazione dalla L. n. 296 del 2006, solo per i procedimenti in tema di equa riparazione instaurati a partire dall’1.1.07. Pertanto il ricorsi va dichiarato inammissibile per il Ministero dell’Economia e delle Finanze per le sopraindicate ragioni (cfr. Sez. 1^, Ordinanza n. 18529 del 2008).

Ciò premesso, osserva la Corte che i motivi – i quali, stante la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente fondati nei sensi che seguono.

E’ ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte il principio – del resto non esplicitamente negato dal giudice a quo – secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione – il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1338, e successive conformi).

La Corte genovese, però, ritiene che nella specie ricorrano, appunto, siffatte particolari circostanze, che identifica, in definitiva, nel carattere collettivo della lite e nella scarsa possibilità di successo. Va però in contrario osservato che l’essere stata la lite promossa collettivamente, in corrispondenza ad una rivendicazione di categoria di taglio sindacale, è circostanza in sè priva, sul piano logico, di alcun valore ai fini della esclusione della sofferenza morale prodotta nelle parti dall’eccessivo protrarsi del processo, e che l’esito sfavorevole della lite non esclude il diritto all’equa riparazione per il ritardo, se non nei casi in cui sia ravvisatale un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che il soccombente abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla citata L. n. 89 del 2001 (v., in identica fattispecie, Cass., Sez. 1^, 10 aprile 2008, n. 9337). Nè, d’altra parte, può gravarsi l’interessato di oneri di prova o specifica allegazione di circostanze a sostegno della deduzione del sofferto danno morale, evidentemente incompatibili con la già richiamata presunzione di sussistenza di tale danno. p.4. – In relazione alle censure accolte, cassato il decreto, ben può procedersi alla decisione nel merito dei ricorsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Pertanto, considerato il periodo di irragionevole durata del giudizio del giudizio presupposto in cinque anni (dal 13.1.1995 al 19.5.2003, tenuto conto della durata ragionevole pari allo standard CEDU di anni tre e della espressa limitazione a cinque anni contenuta in ricorso) e determinato, in applicazione dello standard minimo CEDU – che nessun argomento del ricorso impone di derogare in melius -, nella somma di Euro 750,00, ad anno per i primi tre anni e di Euro 1.000,00 per i successivi il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale riportato nel processo presupposto, devesi riconoscere al ricorrente l’indennizzo forfettario complessivo di Euro 4.250,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico della soccombente Presidenza del Consiglio.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso contro il Ministero intimato e accoglie il ricorso contro la PDCM; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 4.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, ed oltre alle spese processuali, liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 378,00, per diritti, Euro 445,00, per onorari ed Euro 50 per esborsi e, quanto al giudizio di legittimità, nella misura di Euro 665,00, (di cui Euro 100,00, per esborsi), oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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