Cassazione penale 11473/2010 Favoreggiamento omissivo: il sì della Cassazione!

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza 30 novembre 2009 il Tribunale di Roma, in accoglimento dell’appello del Pubblico ministero contro il provvedimento 21 settembre 2009 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri che aveva disatteso la richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio dal pubblico ufficio di carabiniere nei confronti di D.C., applicava la detta misura interdittiva per la durata di due mesi essendo gravemente indagato dei reati di favoreggiamento (addebitatogli per avere aiutato S.E., all’epoca ricercato dal Commissariato di Velletri per tentata rapina aggravata commessa nell’abitazione di C.A., persona, per di più, presente irregolarmente nel territorio dello Stato in quanto espulso con provvedimento del Prefetto di Latina, eseguito mediante accompagnamento coattivo alla frontiera, ad eludere le investigazioni dell’autorità, omettendo di denunciarlo quantunque fosse a conoscenza del luogo di rifugio, intrattenendo contatti con la convivente del S., H.S., ed incontrandolo nel periodo di irreperibilità almeno una volta, prima della presentazione dello stesso S., ferito, presso il Policlinico (OMISSIS)) e di rivelazione di segreto di ufficio (addebitatogli perchè, violando i doveri inerenti le funzioni ed il servizio rivelava alla H. notizie di ufficio relative a precedenti di polizia giudiziaria riguardanti i familiari di C.A. appresi dagli atti di ufficio – banca dati delle forze dell’ordine – le quali dovevano rimanere segrete, circa fatti di usura).

Il Tribunale, con riferimento al delitto di cui all’art. 378 c.p., precisava che la condotta interlocutoriamente contestata al D. era di natura esclusivamente omissiva e che tale omissione si era manifestata in un comportamento diretto a ritardare la ricerca del S.; più in particolare, l’indagato, anzichè rivelare alla polizia giudiziaria il luogo ove era nascosto l’autore della rapina, aveva contattato la convivente dello stesso, sia era poi incontrato con il ricercato ed aveva consigliato la H. di far ricoverare il convivente in ospedale date le sue precarie condizioni di salute provocate dalla reazione della vittima della rapina; giunto al Policlinico (OMISSIS), il S. era stato subito fermato in quanto colpito da provvedimento di fermo.

Relativamente al delitto di rivelazione di segreto di ufficio, il Tribunale evocava le "evidenze captative" e le "espresse ammissioni rese dal D. al GIP di Velletri, sull’avvenuta interrogazione del sistema SDI".

In punto di esigenze cautelari, il giudice dell’appello richiamava quelle di cui all’art. 274, lett. c).

2. Ricorre per cassazione il D. denunciando violazione di legge e mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

Con riferimento al delitto di cui all’art. 378 c.p., deduce che dalle telefonate intercettate non sarebbe emersa alcuna attività favoreggiatrice del ricorrente che non ebbe ad ospitare il latitante ma che si limitò a consigliare la H. di far ricoverare subito il marito in ospedale, senza impedire o ritardare la cattura del latitante. Con riguardo al delitto di cui all’art. 329 c.p. esclude di avere mai interrogato il sistema SDI. Analoga censura viene avanzata in punto di esigenze cautelari, stante il costante corretto servizio espletato dal ricorrente nell’Arma dei carabinieri e la sua incensuratezza.

Il ricorso è infondato.

3. Con riferimento al delitto di favoreggiamento, si ripropone la problematica concernente la ipotizzabilità della condotta descritta nell’art. 378 c.p. tutte le volte in cui il contegno addebitato si risolva in una mera omissione.

Ed a tale riguardo la giurisprudenza dominante appare orientata in senso positivo, peraltro talora sovrapponendo (la tematica è stata infatti affrontata in relazione a dichiarazioni rese -meglio, non rese – alla polizia giudiziaria, in grado di determinare un turbamento della funzione giudiziaria) il modello esternativo della dichiarazione falsa alla natura della condotta costituente reato;

tanto da consentire di qualificare commissivo (mediante omissione) il contegno elusivo delle indagini.

Sennonchè nel caso di specie, è la qualità soggettiva del ricorrente ad assumere rilievo esponenziale. Infatti, penetrando davvero nella tematica del favoreggiamento contrassegnato da una condotta omissiva può qui ripetersi che se è vero che non qualsiasi dovere di collaborazione può assumere rilievo, è anche vero che ove la condotta concerna l’impedimento dell’evento delittuoso tipizzato secondo il modello delineato nell’art. 40 c.p., comma 2, il dovere si incentra in una posizione di garanzia nei confronti della giustizia penale, concernente le situazioni descritte nell’art. 378 c.p..

Cosicchè il favoreggiamento omissivo è configurabile con riguardo a soggetti intranei alle istituzioni della giustizia penale, nei confronti dei quali la legge configura una vera e propria posizione di garanzia per la normalità delle ricerche post delictum.

Ed in proposito corrette si rivelano le argomentazioni utilizzate dal giudice a quo, il quale ha posto in luce come il D., pur conoscendo la qualità di ricercato del S., essendo stato informato (come risulta dalle conversazioni intercettate) del delitto da lui commesso, anzichè riferire immediatamente alla polizia giudiziaria (vale a dire, anche ai suoi diretti superiori) o alla autorità giudiziaria, proseguiva i suoi contatti telefonici con la H., consigliandola, ben tre giorni dopo la comunicazione della notizia di reato, di far ricoverare il convivente in ospedale, tanto da ritardare il fermo, avvenuto solo a seguito del detto ricovero e, dunque, non eseguito immediatamente proprio in forza del contegno omissivo di chi aveva il dovere giuridico di provocare l’intervento dell’autorità.

Un grave quadro indiziario emerge anche in relazione al delitto di cui all’art. 326 c.p., alla stregua sia del contenuto delle conversazioni intercettate sia delle stesse ammissioni del D..

Il tutto senza che, peraltro, rilevi – almeno allo stato -la necessità di verificare che dalla violazione del segreto, commessa dal pubblico ufficiale sia derivato un danno per la pubblica amministrazione, essendo sufficiente che la rivelazione del segreto sia tale da poter cagionare nocumento all’interesse tutelato (cfr., ex plurimis, Sez. 1, 29 novembre 2006, Bria).

Infondate appaiono pure le censure in punto di esigenze cautelari, alla stregua dell’ampia corretta motivazione dell’ordinanza impugnata la quale non ha mancato di rimarcare come il contegno dell’indagato appare, per le sue concrete caratteristiche, l’inquietante segnale di una personalità disancorata dalla mera occasione, capace perciò di manifestarsi in ulteriori fatti dello stesso tipo, a prescindere dal luogo ove l’indagato sia chiamato a prestare servizio.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 28 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Ricetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2010

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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