Corte Costituzionale, Sentenza n. 244/2012, in tema di utilizzazione e commercializzazione delle acque minerali naturali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 44 del 7-11-2012

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 6, 7,
comma 1, 16, 17, 22, 23, comma 1, 29 e 30 del decreto legislativo 8
ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE,
sull’utilizzazione e commercializzazione delle acque minerali
naturali), promosso dalla Regione Toscana con ricorso notificato il 2
– 4 gennaio 2012, depositato in cancelleria il 10 gennaio 2012 ed
iscritto al n. 2 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2012 il Giudice
relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana e
l’avvocato dello Stato Paolo Marchini per il Presidente del Consiglio
dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 2 – 4 gennaio 2012 e depositato il
10 gennaio 2012, iscritto al n. 2 del registro ricorsi 2012, previa
delibera della Giunta regionale del 27 dicembre 2012, n. 1245, la
Regione Toscana ha impugnato in via principale gli articoli 6, 7,
comma 1, 16, 17, 22, 23, comma 1, 29 e 30 del decreto legislativo 8
ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE,
sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali
naturali), per violazione degli articoli 117, primo e terzo comma, e
118 della Costituzione.
2. – La ricorrente sostiene che gli artt. 6 e 7, comma 1, nonche’
gli artt. 22 e 23, comma 1, disciplinando l’utilizzazione di una
sorgente d’acqua minerale naturale ovvero di un’acqua di sorgente e
stabilendo che detta utilizzazione sia subordinata all’autorizzazione
regionale, rilasciata previo accertamento dei requisiti previsti
dallo stesso decreto, violino gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.
2.1. – In particolare, e’ stabilito che detta utilizzazione e/o
immissione in commercio sia subordinata ad autorizzazione regionale
rilasciata previo accertamento che gli impianti destinati
all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo
di inquinamento e da conservare all’acqua le proprieta’,
corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla sorgente
nonche’ – per le acque minerali – fatte salve le modifiche apportate
con i trattamenti di cui all’art. 7, comma 1, lettere b), c) e d)
dello stesso decreto; mentre – per le acque di sorgente – allorche’
sussistano le condizioni di cui all’art. 23, tenendo conto delle
operazioni consentite dall’art. 24.
La Regione rileva che dette norme ripropongono integralmente
quanto gia’ previsto dal previgente decreto legislativo 25 gennaio
1992, n. 105 (Attuazione della direttiva 80/777/CEE relativa alla
utilizzazione e alla commercializzazione delle acque minerali
naturali).
A seguito del citato d.lgs. n. 105 del 1992, del regolamento (CE)
29 aprile 2004, n. 852/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del
Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari) e del regolamento (CE)
29 aprile 2004, n. 853/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del
Consiglio che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per
gli alimenti di origine animale), la Regione Toscana aveva gia’
provveduto con l’art. 41 della legge regionale 27 luglio 2004, n. 38
(Norme per la disciplina della ricerca, della coltivazione e
dell’utilizzazione delle acque minerali, di sorgente e termali) e con
decreto del Presidente della Giunta regionale 24 marzo 2009, n. 11/R
(Norme per la disciplina della ricerca, della coltivazione e
dell’utilizzazione delle acque minerali, di sorgente e termali), a
disciplinare l’iter autorizzativo relativo all’avvio dell’attivita’
di utilizzazione dell’acqua minerale e/o di sorgente attraverso lo
strumento della denuncia di inizio di attivita’ (DIA).
A giudizio della ricorrente, la disciplina oggetto del d.lgs. n.
176 del 2011 sarebbe riconducibile alle materie della tutela della
salute e dell’alimentazione, entrambe di competenza legislativa
concorrente delle Regioni ex art. 117, terzo comma, Cost.
2.2. – Inoltre, evidenzia la ricorrente, fin dal decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della
delega di cui all’art. 1 della l. 22 luglio 1975, n. 382) sono state
trasferite alle Regioni le funzioni amministrative relative alla
materia «acque minerali e termali», le quali concernono, secondo il
disposto degli artt. 50 e 61 del citato decreto, la ricerca e
l’utilizzazione delle acque minerali e termali e la vigilanza sulle
attivita’ relative, ivi compresa la pronuncia di decadenza del
concessionario, cosi’ come successivamente confermato dall’art. 22
della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il
conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per
la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione
amministrativa).
Secondo la Regione, alla luce di quanto esposto, le norme
impugnate, nella parte in cui disciplinano puntualmente gli iter
autorizzativi per l’avvio dell’utilizzazione delle acque minerali e/o
di sorgente, rappresenterebbero un inammissibile passo indietro
rispetto alle attribuzioni regionali, cosi’ come delineate anche dal
sistema normativo antecedente alla riforma del Titolo V della
Costituzione (in tal senso, seppur in maniera inconferente, la
Regione richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 200 del
2009), e lederebbero le prerogative regionali attualmente garantite
dagli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. in materia di tutela della
salute e di alimentazione, con riferimento alle quali lo Stato
dovrebbe limitarsi ad indicare i principi fondamentali.
2.3. – Sul punto ricorda infine la ricorrente come gia’ in sede
di Conferenza Stato-Regioni queste ultime avessero rilevato i
suddetti profili di incostituzionalita’, cui lo Stato aveva opposto
quanto previsto all’Allegato II della direttiva 2009/54/CE, secondo
cui «1. L’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale e’
subordinata all’autorizzazione dell’autorita’ responsabile del paese
in cui l’acqua e’ stata estratta, previo accertamento della sua
conformita’ ai criteri di cui all’allegato I parte I». Secondo la
ricorrente, tuttavia, la previsione indicata nell’Allegato II della
direttiva 2009/54/CE in ordine alla necessita’ che siano previamente
accertati i «criteri di cui all’allegato I, parte I» sarebbe riferita
al procedimento di riconoscimento di acqua minerale naturale, senza
che cio’ contempli da parte dell’Autorita’ sanitaria locale specifici
accertamenti di natura tecnico-professionale. Tale adempimento
sarebbe quindi compatibile con lo strumento autorizzatorio regionale,
che contempla la DIA e/o la segnalazione certificata di inizio
attivita’ (SCIA).
La previsione dell’autorizzazione formale contrasterebbe,
peraltro, a giudizio della ricorrente, con il regime delle
liberalizzazioni avviato con il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), in specie all’art. 3, e portato a compimento dal
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la
crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici), di cui
richiama l’art. 34.
In conclusione, secondo la ricorrente, le disposizioni in esame
rappresenterebbero un’illegittima lesione delle prerogative regionali
costituzionalmente garantite dagli artt. 117, terzo comma, e 118
Cost., in quanto disciplinerebbero in maniera puntuale il
procedimento autorizzativo con riferimento a materie, quali la tutela
della salute e l’alimentazione, di competenza regionale concorrente,
in relazione alle quali lo Stato deve limitarsi, invece, a dettare
esclusivamente i principi fondamentali.
3. – La Regione Toscana assume la violazione degli artt. 117,
terzo comma, e 118 Cost., ad opera degli artt. 7, comma 1, lettera
a), e 23, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 176 del 2011, in quanto
prevedono tra i criteri per il rilascio dell’autorizzazione
rispettivamente all’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale
naturale ovvero all’immissione in commercio di un’acqua di sorgente
l’accertamento che la sorgente o il punto di emergenza siano protetti
contro ogni pericolo di inquinamento e che siano applicate, ai fini
della tutela dei corpi idrici, le disposizioni di cui alla parte
terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale).
3.1. – Ancorche’ in via meramente cautelativa la ricorrente
censura gli articoli impugnati, rilevando che violerebbero la
competenza regionale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., in
materia di tutela della salute e dell’alimentazione, ove il richiamo
alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 dovesse essere
interpretato nel senso di ritenere preclusa alle Regioni la
previsione di misure di protezione piu’ rigorose.
Infatti, la Regione evidenzia che la suddetta parte terza ed, in
particolare, la norma dell’art. 94 del detto decreto legislativo, e’
relativa alle aree di salvaguardia delle acque superficiali e
sotterranee destinate al consumo umano, acque disciplinate dal
decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 (Attuazione della
direttiva 98/83/CE relativa alla qualita’ delle acque destinate al
consumo umano), per le quali e’ previsto un trattamento di
potabilizzazione. Al contrario, per le acque minerali naturali e/o di
sorgente non e’ ammesso alcun trattamento di potabilizzazione;
pertanto, le misure del d.lgs. n. 152 del 2006 potrebbero, a giudizio
della ricorrente, non essere sufficienti a garantire la protezione
del giacimento di acque minerali. Non potrebbe pertanto
legittimamente escludersi la possibilita’ per le Regioni di valutare,
sulla base di criteri piu’ restrittivi rispetto a quelli imposti dal
d.lgs. n. 152 del 2006, l’identificazione delle necessarie aree di
salvaguardia. A sostegno dell’assunto la ricorrente richiama quanto
affermato da questa Corte nelle sentenze n. 307 del 2003 e n. 382 del
1999.
3.2. – In conclusione si assume la lesione delle competenze
regionali costituzionalmente garantite dagli artt. 117, terzo comma,
e 118 Cost. in materia di tutela della salute ed alimentazione da
parte degli artt. 7, comma 1, lettera a), e 23, comma 1, lettera a),
del d.lgs. n. 176 del 2011, ove i richiamati limiti di cui alla parte
terza del d.lgs. n. 152 del 2006 dovessero considerarsi inderogabili
e preclusa quindi alle Regioni l’adozione di misure piu’ rigorose.
4. – La Regione lamenta da ultimo l’illegittimita’ costituzionale
degli artt. 16 e 17, nonche’ degli artt. 29 e 30 del d.lgs. n. 176
del 2011, nella parte in cui disciplinano puntualmente l’attivita’ di
vigilanza sulle’utilizzazione e sul commercio, rispettivamente delle
acque minerali e delle acque di sorgente, per violazione degli artt.
117, primo e terzo comma, e 118 Cost.
4.1. – La ricorrente rileva che le disposizioni richiamate
riproducono nella sostanza la disciplina contenuta nei previgenti
d.lgs. n. 105 del 1992 (artt. 14 e 15) e decreto legislativo 4 agosto
1999, n. 339 (Disciplina delle acque di sorgente e modificazioni al
D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 105, concernente le acque minerali
naturali, in attuazione della direttiva 96/70/CE) agli artt. 11 e 12.
La riproposizione delle disposizioni di vigilanza cosi’ come previste
dai detti decreti – disciplina peraltro non contenuta nella direttiva
2009/54/CE, a cui il d.lgs. n. 176 del 2011 da’ attuazione –
finirebbero per configurare, secondo la Regione, un doppio sistema di
controllo: l’uno specifico sulle acque minerali naturali e/o di
sorgente, disciplinato dal decreto legislativo in esame; l’altro
sulla sicurezza alimentare, derivante dal regolamento (CE) 29 aprile
2004 n. 882/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio
relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformita’
alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla
salute e sul benessere degli animali), nel cui ambito di operativita’
andrebbero ricondotti anche i controlli in ordine alle acque di cui
si tratta. Tale duplicazione, a giudizio della ricorrente, non
troverebbe giustificazioni normative, amministrative, tecniche e
sanitarie e determinerebbe un aggravio di costi per i sistemi
sanitari regionali, senza alcun beneficio in punto di tutela della
salute pubblica.
4.2. – Le norme censurate sarebbero, innanzitutto, lesive delle
attribuzioni regionali, recando una disciplina puntuale delle
funzioni di vigilanza attribuite da sempre alle Regioni, secondo
quanto gia’ rilevato, ed afferenti alla materia della tutela della
salute e dell’alimentazione, in cui lo Stato potrebbe intervenire
solo con disposizioni di principio. Di conseguenza le disposizioni
impugnate si porrebbero in contrasto con gli artt. 117, terzo comma,
e 118 Cost.
4.3. – Inoltre secondo la Regione Toscana la disciplina in esame
delinea un sistema di vigilanza e di controllo mutuato dalla
previgente normativa statale, la quale non terrebbe conto della
disciplina frattanto adottata a livello comunitario con il citato
regolamento (CE) n. 882/2004, che reca la disciplina igienica della
produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande,
nonche’ con il regolamento (CE) 28 gennaio 2002, n. 178/2002
(Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce i
principi e i requisiti generali della legislazione alimentare,
istituisce l’Autorita’ europea per la sicurezza alimentare e fissa
procedure nel campo della sicurezza alimentare), che prevede un
procedimento di allerta per alimenti e mangimi, non conforme a quello
previsto dal d.lgs. n. 176 del 2011.
A titolo esemplificativo la Regione Toscana evidenzia che negli
impugnati artt. 17 e 30 si richiamano, in quanto compatibili, le
norme vigenti in materia di disciplina igienica della produzione e
della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande di cui al
regolamento (CE) n. 882/2004 solo con riferimento alle modalita’ da
osservare per le denunce all’autorita’ sanitaria e giudiziaria, per i
sequestri da effettuare a tutela della salute pubblica e per le
revisioni di analisi, che tuttavia rappresentano soltanto alcune
delle attivita’ riguardanti il controllo ufficiale; inoltre, gli
artt. 16, comma 6 e 29, comma 6, del d.lgs. n. 176 del 2011
dispongono che nel caso in cui venga accertato che un’acqua minerale
naturale e/o di sorgente, proveniente da uno Stato membro dell’Unione
europea, non risulti conforme alle disposizioni del decreto o
presenti un pericolo per la salute pubblica, e’ fatto obbligo alle
autorita’ competenti di darne immediata comunicazione al Ministero
della salute precisando i motivi dei provvedimenti adottati. Detta
procedura contrasterebbe, secondo la ricorrente, con il sistema
rapido di allerta per alimenti e mangimi vigente in ambito di
sicurezza alimentare in virtu’ del citato regolamento.
Sotto questo profilo viene pertanto dedotta la violazione
dell’art. 117, primo comma, Cost., in quanto la normativa statale di
cui si tratta contrasterebbe con quanto disposto a livello
comunitario.
Anche in tal caso, come per il regime autorizzativo, la
disciplina statale in esame differirebbe da quanto disposto dalla
Regione Toscana, coerentemente con la citata normativa comunitaria,
all’art. 46 della legge reg. Toscana n. 38 del 2004, poi specificato
negli artt. 25 e seguenti del d.P.G.R. n. 11/R del 2009, che dispone:
«1. Il controllo ufficiale sull’attivita’ di utilizzazione delle
acque minerali naturali e di sorgente e’ effettuato dalle aziende USL
in conformita’ alle disposizioni del regolamento (CE) n. 882/2004 del
Parlamento e del Consiglio, del 29 aprile 2004 relativo ai controlli
ufficiali intesi a verificare la conformita’ alla normativa in
materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul
benessere degli animali. 1-bis. Con regolamento d’attuazione sono
individuate le modalita’ di svolgimento del controllo ufficiale sulle
acque minerali naturali e di sorgente, e in particolare: a) le
procedure e le modalita’ del prelievo dei campioni delle acque
minerali naturali e di sorgente e dell’esecuzione delle relative
analisi compresi i criteri e le modalita’ per l’aggiornamento
anticipato delle analisi in etichetta; b) le modalita’ di trasporto
dei campioni e la definizione del personale competente all’esecuzione
dei prelievi e delle ispezioni; c) le frequenze minime di controllo
nelle varie parti della filiera; d) le modalita’ di effettuazione dei
controlli, ivi compresi quelli analitici, e di ripartizione dei
costi; e) i metodi analitici per la determinazione dei parametri
chimici, chimico-fisici e microbiologici; f) le procedure per
l’emissione del giudizio di accettabilita’ sui campioni prelevati e
per l’invio dei referti analitici; g) le procedure di verifica della
corretta applicazione del piano di autocontrollo».
4.4. – Pertanto gli artt. 16, 17, 29 e 30 del d.lgs. n. 176 del
2011 violerebbero gli artt. 117, primo e terzo comma, e 118 Cost.
5. – Con memoria di costituzione depositata in cancelleria il 13
febbraio 2012, previa delibera del Consiglio del ministri del 3
febbraio 2012, si e’ costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato.
5.1. – Il resistente nega in primo luogo la fondatezza delle
censure di incostituzionalita’ formulate dalla Regione Toscana
avverso gli artt. 6 e 7, comma 1, nonche’ gli artt. 22 e 23, comma 1,
del d.lgs. n. 176 del 2011, per violazione degli artt. 117, terzo
comma, e 118 Cost. Rileva preliminarmente al riguardo che il d.lgs.
n. 176 del 2011 e’ stato emanato in attuazione della delega conferita
al Governo dalla legge comunitaria 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni
per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
alle Comunita’ europee – legge comunitaria 2009), al fine di recepire
nell’ordinamento interno la direttiva 2009/54/CE sull’utilizzazione e
la commercializzazione delle acque minerali naturali, la cui ratio e’
quella di armonizzare le legislazioni degli Stati membri al fine di
migliorare la libera circolazione nell’ambito del mercato interno,
mediante la previsione di un uniforme e piu’ stringente sistema di
controllo delle acque, nell’ottica di una piu’ efficace tutela della
concorrenza, della salute pubblica e dell’ambiente. Le disposizioni
contenute nel d.lgs. n. 176 del 2011 rientrerebbero, pertanto,
nell’ambito della potesta’ legislativa dello Stato senza impingere
nella competenza delle Regioni in materia di acque minerali.
5.2. – A tale proposito ricorda come la stessa Corte
costituzionale abbia chiarito nella sentenza n. 1 del 2010 che il
bene della vita «acque minerali e termali» va considerato sotto due
punti di vista: quello dell’uso o della fruizione, di competenza
regionale, e quello della tutela ambientale delle acque stesse, che
e’ invece di competenza esclusiva statale, ex art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
La tutela dell’ambiente costituirebbe infatti una «materia
trasversale», nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi
diversi: da un lato, quello teso alla conservazione dell’ambiente;
dall’altro, quelli di natura diversa relativi alle sue utilizzazioni.
In questa prospettiva, secondo il resistente, la disciplina diretta
alla tutela del bene complessivo ambiente non potrebbe che essere
unitaria e pertanto rimessa in via esclusiva al legislatore statale,
con l’ulteriore conseguenza di prevalere su quella specifica e di
settore dettata dalle Regioni o dalle Province autonome nelle materie
di propria competenza. Secondo il resistente, in questo senso
potrebbe legittimamente affermarsi che la competenza statale, quando
sia espressione della tutela dell’ambiente, costituisca certamente un
limite all’esercizio delle competenze regionali (a sostegno di tale
conclusione sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 12 e n.
225 del 2009).
5.3. – Secondo il Presidente del Consiglio, analoghe osservazioni
potrebbero svolgersi in punto di tutela del diritto alla salute, da
considerarsi, piu’ che una materia, un valore costituzionalmente
protetto ed, in quanto tale, una sorta di materia trasversale in
funzione della tutela di interessi unitari o, comunque, di esigenze
meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale. A
giudizio del resistente, infatti, l’unica strada per garantire una
pari incisivita’ del diritto della salute a livello nazionale sarebbe
quella di demandare allo Stato il compito di individuare i requisiti
unitari per il rilascio delle autorizzazioni all’utilizzazione delle
acque minerali naturali e di sorgente, affidando alle Regioni quello
di stabilire le modalita’ per l’accertamento della loro sussistenza.
Il limite alla potesta’ legislativa primaria delle Regioni sarebbe
quindi imposto in virtu’ degli obblighi di salvaguardia di standard
uniformi di tutela dei beni primari.
5.4. – Secondo il resistente la Regione ritiene non necessaria
un’autorizzazione regionale formale, come richiesta invece nelle
censurate norme statali per l’utilizzazione di queste acque, in base
ad un’errata lettura dell’Allegato II della direttiva 2009/54/CE.
La Regione richiama nel ricorso la disciplina dettata all’art. 41
della legge reg. Toscana n. 38 del 2004, ove si prevede che l’avvio
di un’attivita’ di utilizzazione dell’acqua minerale naturale di
sorgente sia assoggettato ad una DIA, presentata al Comune,
attestante il possesso dei requisiti previsti all’art. 42 e dal
regolamento (CE) n. 853/2004, e che l’attivita’ possa essere avviata
dalla data di ricevimento della dichiarazione. Secondo la difesa
erariale questa normativa regionale sarebbe incompatibile con quella
statale contenuta nel d.lgs. n. 176 del 2011, che realizza
l’attuazione della direttiva n. 2009/54/CE, riprendendo interamente
la disciplina previgente di cui al d.lgs. n. 105 del 1992 e del
d.lgs. n. 339 del 1999, a loro volta attuativi delle direttive n.
80/777/CEE e n. 96/70/CE, uniche fonti di riferimento per la
disciplina delle acque di sorgente e minerali a livello nazionale e
comunitario. La previsione del rigoroso regime dell’autorizzazione
formale all’utilizzazione delle acque minerali naturali, nonche’
all’immissione in commercio delle acque di sorgente ai sensi degli
artt. 6 e 7, comma 1, 22 e 23, comma 1, del d.lgs. n. 176 del 2011,
oggetto di censura, costituirebbe pertanto adempimento di un preciso
vincolo comunitario che escluderebbe margini di discrezionalita’,
ponendosi a tutela di valori assoluti e primari quali l’ambiente e la
salute, che imporrebbero di dettare una disciplina uniforme valevole
su tutto il territorio nazionale.
Sarebbe pertanto infondato il rilievo regionale per cui la
direttiva comunitaria non prevedrebbe il necessario preventivo
accertamento della sussistenza dei requisiti propri delle acque
minerali naturali ai fini del rilascio dell’autorizzazione
all’utilizzazione. E tale tesi sarebbe vieppiu’ smentita
dall’Allegato II della direttiva 2009/54/CE. Secondo il resistente la
Regione oblitererebbe la lettura del punto 4 dell’Allegato II della
direttiva, ai sensi del quale: «l’autorita’ responsabile del paese di
origine procede periodicamente a controlli: a) della conformita’
dell’acqua minerale naturale, di cui sia autorizzata l’utilizzazione
della sorgente, alle disposizioni dell’Allegato I, parte I». Dalla
corretta analisi di quest’ultima disposizione emergerebbe
all’evidenza che il richiamo operato dal legislatore comunitario al
punto I dell’Allegato II al «previo accertamento della sua
conformita’ ai criteri di cui all’All. I parte I» sarebbe da
interpretarsi nel senso che l’autorizzazione all’utilizzazione non
possa essere rilasciata automaticamente, ogni qual volta l’acqua sia
stata riconosciuta quale acqua minerale naturale o di sorgente, ma
che al contrario, nonostante l’avvenuto riconoscimento, cio’ possa
avvenire esclusivamente previo accertamento dell’attuale sussistenza
della conformita’ dell’acqua ai criteri previsti dalla legge per il
rilascio della qualificazione. Tale interpretazione sarebbe
confermata anche dalla lettura del quinto Considerando, per cui «le
norme in materia di acque minerali naturali perseguono l’obiettivo
prioritario di proteggere la salute del consumatore», obiettivo che
si realizzerebbe pienamente solo attraverso un sistema autorizzativo
preventivo, laddove la DIA o la SCIA, in una materia come quella
delle acque minerali naturali o di sorgente destinate
all’alimentazione umana, non potrebbero garantire la piena ed
effettiva tutela della salute del consumatore, comportando il rischio
di immettere in libera circolazione acque non conformi a legge, nel
caso in cui dopo il riconoscimento statale, per una qualunque
ragione, la fonte stessa sia pervasa da un agente inquinante. D’altra
parte la proposta di inserimento in sede di Conferenza Stato-Regioni
di un sistema di SCIA ai sensi dell’art. 19 della legge 7 agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi), come quello
adottato dalla Regione ricorrente (art. 41 della legge reg. Toscana
n. 38 del 2004), in luogo del regime di autorizzazione, non e’ stata
recepita in quanto comportante l’eliminazione della fase di controllo
della conformita’ ai criteri richiesti dalla direttiva europea che si
sarebbe tradotto in carente recepimento.
Alla luce delle osservazioni svolte emergerebbe, secondo il
resistente, l’infondatezza dell’avversa censura di
incostituzionalita’ degli artt. 6, 7 comma 1, 22 e 23 del d.lgs. n.
176 del 2011.
5.5. – Rileva il Presidente del Consiglio che secondo
l’interpretazione accolta dalla Corte costituzionale nelle sentenze
n. 79 del 2011 e n. 303 del 2003, il principio di sussidiarieta’
stabilito dall’art. 118 Cost. allo scopo di sovrintendere alla
distribuzione delle funzioni amministrative fra Stato, Regioni,
Citta’ metropolitane, Province e Comuni si espande a livello
legislativo, nel senso che, tendendo tale principio ad una migliore
distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, la sua effettiva
attuazione postula l’assorbimento della competenza legislativa
regionale in capo allo Stato ogni qual volta sussistano esigenze di
unitarieta’ dell’ordinamento nazionale. Ne deriverebbe che la
disciplina statale uniforme prevista dal d.lgs. n. 176 del 2011 vada
considerata strettamente necessaria, sia perche’ di attuazione
comunitaria, sia perche’ una diversa normativa regionale in materia
di requisiti necessari al rilascio delle autorizzazioni per
l’utilizzazione delle acque comporterebbe una disparita’ di
trattamento tra gli utilizzatori, in violazione del principio
costituzionale di uguaglianza, in ragione di un diverso livello di
tutela del diritto alla salute e di tutela dell’ambiente.
La direttiva 2009/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali
naturali, di cui il d.lgs. n. 176 del 2011 costituisce attuazione,
individuerebbe infatti quale suo obiettivo primario quello della
libera circolazione delle acque minerali naturali e di sorgente
all’interno del mercato unico, da raggiungersi attraverso il
riavvicinamento della normativa dei diversi Stati membri in materia.
Pertanto l’individuazione di una disciplina uniforme dei
requisiti per il rilascio dell’autorizzazione all’utilizzazione delle
acque non costituirebbe una scelta irragionevole del legislatore
nazionale, dovendosi al contrario ritenere l’unico strumento
utilizzabile, in ossequio al disposto comunitario, per il
raggiungimento degli scopi perseguiti, ossia la tutela dell’ambiente,
della salute, dell’uguaglianza, intesa come diritto all’utilizzazione
delle acque a pari condizioni per tutti gli utilizzatori, della
libera circolazione delle merci sul suolo nazionale ed europeo.
6. – Quanto all’illegittimita’ costituzionale degli artt. 7,
comma 1, lettera a), e 23, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 176 del
2011 per violazione dell’art. 117, terzo comma, e 118 Cost., secondo
il resistente la questione dovrebbe ritenersi inammissibile.
6.1. – Difatti, dopo avere rilevato che per giurisprudenza
consolidata della Corte costituzionale deve essere dichiarata
l’illegittimita’ costituzionale di una norma solo qualora non sia
possibile darne interpretazioni costituzionalmente orientate assume
che la medesima giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che in
materia di tutela dell’ambiente lo Stato detta una disciplina
inderogabile in pejus, nel senso che stabilisce una tutela «adeguata
e non riducibile» dell’ambiente, che vincola le Regioni
nell’esercizio delle loro competenze, salva la facolta’ per queste
ultime di stabilire, per il raggiungimento dei fini propri delle loro
competenze che vengono a contatto con quella dell’ambiente, livelli
di tutela piu’ elevati (sentenze n. 30 e n.12 del 2009; n. 105, n.
104 e n. 62 del 2008). Sulla base di tale presupposto la Corte
costituzionale ha ritenuto ammissibili interventi regionali volti a
dettare prescrizioni e condizioni piu’ rigorose nell’esercizio di
attivita’ industriali pericolose, in forza dell’obiettivo di tutela
della salute (sentenza n. 407 del 2002).
6.2. – Rileva il resistente che la Regione richiama una
giurisprudenza emessa in materia di inquinamento elettromagnetico
allo scopo di affermare l’esistenza di un principio generale secondo
il quale le Regioni, al fine di garantire la tutela della salute,
possono derogare la normativa nazionale prevedendone una piu’
stringente. Tale principio pero’, secondo l’Avvocatura, non potrebbe
essere applicato in modo automatico al caso concreto. La disciplina
dettata dal d.lgs. n. 176 del 2011 sarebbe certamente tesa alla
tutela della salute, ma non solo. Infatti, in ossequio a quanto
previsto dalla direttiva 2009/54/CE, tale disciplina perseguirebbe
l’ulteriore fine di unificare la normativa nazionale in materia di
acque minerali naturali e di sorgente in vista del riavvicinamento
delle normative europee, considerato quale essenziale presupposto per
il realizzarsi della libera circolazione delle merci. Sarebbe quindi
evidente che consentire alle Regioni di derogare alla disciplina
nazionale potrebbe avere quale risultato quello di mortificare lo
scopo perseguito dal legislatore europeo con la direttiva 2009/54/CE,
di cui il decreto legislativo in esame costituisce attuazione ed,
indirettamente, potrebbe falsare la concorrenza tra gli utilizzatori
delle sorgenti nelle diverse Regioni. Pertanto la resistente esclude
l’illegittimita’ costituzionale degli artt. 7 e 23 del d.lgs. n. 176
del 2011 anche sotto tale profilo.
7. – Parimenti sarebbero infondate, secondo il resistente, le
censure di illegittimita’ sollevate in ordine agli artt. 16 e 17, 29
e 30 del d.lgs. n. 176 del 2011.
7.1. – Premesso che le norme denunciate prevedrebbero un’intensa
partecipazione degli organi regionali nelle varie fasi in cui si
articolano le funzioni di vigilanza di cui alle norme censurate, il
resistente assume che dovrebbero valere le considerazioni gia’ svolte
con riferimento al primo motivo di censura proposto dalla ricorrente:
la trasversalita’ dei concetti di tutela della salute, dell’ambiente
e di tutela della concorrenza, che rileverebbero anche rispetto alle
attivita’ di vigilanza sull’utilizzazione delle acque,
giustificherebbe un intervento del legislatore nazionale limitativo
della disciplina regionale, in nome di superiori esigenze di
uniformita’, fermo restando il rispetto dei principi di
sussidiarieta’, di differenziazione e di adeguatezza sanciti
dall’art. 118, primo comma, Cost.
7.2. – Inoltre, la disciplina dell’attivita’ di vigilanza e
controllo sull’utilizzazione e sul commercio delle acque minerali e
di sorgente troverebbe il proprio fondamento, a giudizio del
resistente e diversamente da quanto ritenuto dalla Regione,
direttamente nella direttiva 2009/54/CE ed in particolare nel gia’
menzionato punto 4 dell’Allegato II, da cui emergerebbe l’interesse
principale del legislatore comunitario a garantire che le particolari
qualita’ delle acque di sorgente e minerali naturali siano sempre
monitorate. Tale obiettivo sarebbe stato quindi recepito dal
legislatore nazionale il quale, per le stesse esigenze di unitarieta’
di disciplina esposte con riferimento alle altre censure, avrebbe
disposto un sistema di controllo unico per tutto il territorio
nazionale.
Infine, secondo il Presidente del Consiglio i controlli in
considerazione non potrebbero essere effettuati, cosi’ come ritenuto
dalla Regione, secondo quanto disposto dai regolamenti (CE) n.
882/2004 e n. 178/2002. Tali fonti normative, infatti, non
disciplinerebbero l’utilizzazione ed i controlli relativi alle acque
destinate al consumo umano, che invece sono regolati dalla direttiva
3 novembre 1998, n. 98/83/CE (Direttiva del Consiglio concernente la
qualita’ delle acque destinate al consumo umano), non applicabile,
per espressa previsione dell’art. 3 della stessa, alle acque naturali
minerali e di sorgente. Cio’ a riprova che queste ultime per la loro
particolare composizione necessitano di una disciplina ad hoc, da
rinvenirsi nella direttiva n. 2009/54/CE, correttamente trasposta dal
d.lgs. n. 176 del 2011 che prevede particolari ed accurati controlli
periodici. L’obbligo di eseguire tali controlli sarebbe stato gia’
previsto anche al momento dell’entrata in vigore della legge reg.
Toscana n. 38 del 2004 sia dal d.lgs. n. 105 del 1992 che dal d.lgs.
n. 339 del 1999, i quali riprendevano fedelmente quanto disposto
dalla direttiva n. 80/777/CE. Ancora una volta, quindi, secondo il
resistente, dovrebbe negarsi l’illegittimita’ costituzionale delle
disposizioni in esame ed, al contrario, ritenersi abrogata la legge
reg. Toscana n. 38 del 2004 per contrasto con la normativa
sovraordinata.
8. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza pubblica,
la Regione Toscana, nel richiamare integralmente le argomentazioni
esposte nel ricorso introduttivo del giudizio, insiste per
l’accoglimento del medesimo e rileva l’infondatezza delle
argomentazioni esposte nell’atto di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri.
9. – In particolare, quanto all’asserita legittimita’
costituzionale degli artt. 6, 7, comma 1, 22 e 23, comma 1, del
d.lgs. n. 176 del 2011, che richiedono, ai fini dell’utilizzo delle
acque minerali naturali e dell’immissione in commercio di quelle di
sorgente, il rilascio di un’autorizzazione da parte delle Regioni,
previo accertamento dei prescritti requisiti, la ricorrente ribadisce
la sussistenza della competenza regionale in quanto – in applicazione
del criterio della prevalenza – la finalita’ prioritaria perseguita
dalla normativa impugnata sarebbe la tutela della salute umana, di
competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo
comma, Cost.
9.1. – A sostegno di tale assunto, si argomenta che la direttiva
2009/54/CE sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque
minerali naturali, recepita dal d.lgs. n. 176 del 2011, richiama
l’art. 95 TCE (recte : art. 35 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea , rubricato «Protezione della salute», il quale
prevede che «ogni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione
sanitaria e di ottenere le cure mediche alle condizioni stabilite
dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e
nell’attuazione di tutte le politiche ed attivita’ dell’Unione e’
garantito un livello elevato della protezione della salute umana»).
Nello stesso senso viene citato il quinto Considerando della
direttiva 2009/54/CE, nel quale espressamente si afferma che «le
norme in materia di acque minerali naturali perseguono l’obiettivo
prioritario di proteggere la salute del consumatore».
9.2. – Secondo la ricorrente, inoltre, non potrebbe essere
utilmente invocata la competenza legislativa statale in materia di
ambiente, in quanto nel d.lgs. n. 176 del 2011, ed in particolare
nella previsione che impone alle Regioni l’autorizzazione formale,
non verrebbe in rilievo l’utilizzo dell’ambiente ai fini
dell’emungimento delle acque, bensi’ l’impiego delle stesse ai fini
della loro commercializzazione. Ne conseguirebbe che la decisione in
ordine ai titoli abilitativi all’utilizzo delle acque minerali e di
sorgente, che fanno parte del patrimonio indisponibile delle Regioni,
spetterebbe alle stesse, ai sensi dell’art. 11, comma 5, della legge
16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione
delle Regioni a statuto ordinario).
9.3. – Sul punto osserva ancora la ricorrente come tale
competenza sia stata da sempre allocata in capo alle amministrazioni
regionali, richiamando in tal senso il decreto del Presidente della
Repubblica 14 gennaio 1972, n. 2 (Trasferimento alle Regioni a
statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di
acque minerali e termali, di cave e torbiere e di artigianato e del
relativo personale), che all’art. 1 trasferisce alle Regioni le
funzioni concernenti l’autorizzazione all’apertura ed alla messa in
esercizio di stabilimenti di produzione ed alla utilizzazione di
acque minerali naturali o superficiali (comma 1, lettera b); il
d.P.R. n. 616 del 1977, in base al quale sono attribuite alle Regioni
tutte le funzioni amministrative relative alla materia assistenza
sanitaria ed ospedaliera, ivi comprese tutte quelle relative alle
autorizzazioni ed ai controlli igienico-sanitari sulle acque minerali
e termali, nonche’ sugli stabilimenti termali, ivi comprese le
attribuzioni relative al rilascio delle autorizzazioni all’esercizio
di stabilimenti di produzione e vendita di acque minerali naturali o
artificiali, nonche’ alla autorizzazione alla vendita (art. 27,
lettera f); la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del
servizio sanitario nazionale), che riserva alla competenza dello
Stato le sole funzioni amministrative concernenti il riconoscimento
delle proprieta’ terapeutiche delle acque minerali e termali e la
pubblicita’ relativa alla loro utilizzazione a scopo sanitario (art.
6), previsione sostanzialmente confermata dall’art. 119 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).
A giudizio della ricorrente, la nuova disciplina, imponendo alle
Regioni il rilascio di un’autorizzazione formale, costituirebbe
un’evidente lesione delle attribuzioni spettanti alle stesse, gia’
prima della riforma del titolo V della Costituzione, in ordine ai
procedimenti amministrativi per l’avvio dell’attivita’ di utilizzo e
commercializzazione delle acque minerali, cosi’ risolvendosi in un
inammissibile passo indietro rispetto al nuovo ruolo delle Regioni
nella Costituzione. Si cita a tal proposito la sentenza n. 200 del
2004, peraltro in modo inconferente.
9.4. – Questa tesi, secondo la Regione, sarebbe, del resto,
confermata proprio dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del
2010, richiamata dalla controparte, ove, con riferimento al bene
della vita «acque minerali e termali», si afferma che il riparto
competenziale dipende dalla distinzione tra uso delle acque minerali
e termali, di competenza regionale residuale, e tutela ambientale
delle stesse, di competenza esclusiva statale, ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost.
Sotto tale profilo, rileva la ricorrente, le norme impugnate nel
presente giudizio riguarderebbero proprio i profili relativi
all’utilizzo delle acque minerali, disciplinando il procedimento
amministrativo volto ad accertare i requisiti e le condizioni per
l’avvio dell’attivita’ di fruizione e commercializzazione di tale
bene. Inoltre si ricorda che con riferimento alla materia del
turismo, anch’essa di spettanza regionale, la Corte costituzionale ha
avuto modo di affermare che le norme riguardanti il procedimento
amministrativo che consente l’avvio dell’esercizio di un agriturismo,
nonche’ le comunicazioni delle eventuali variazioni dell’attivita’
autorizzata, attengono unicamente ad aspetti relativi alla attivita’
agrituristica che, in quanto tali, sono sottratti alla competenza
legislativa dello Stato. Si citano in tal senso le sentenze n. 339
del 2007, n. 80 del 2012 ed, in modo inconferente, la sentenza n. 96
del 2006.
9.5. – Inoltre la Regione afferma che non potrebbe neppure
ritenersi che sia la stessa direttiva 2009/54/CE, recepita dal d.lgs.
n. 176 del 2011, a richiedere l’autorizzazione formale preventiva.
Sul punto, la difesa statale avrebbe erroneamente invocato l’Allegato
II, punti 1 e 4, della citata direttiva, poiche’ l’autorizzazione
alla quale si fa riferimento in queste previsioni sarebbe quella
relativa all’iter per il riconoscimento delle acque quali acque
minerali e/o di sorgente. Questo assunto troverebbe conferma, secondo
la ricorrente, nella semplice lettura dei criteri di cui all’Allegato
I, parte I, richiamati al punto 1 dell’Allegato II. Infatti, oggetto
principale della direttiva sarebbe il procedimento per il
riconoscimento delle acque minerali e di sorgente, come risulterebbe
proprio dalle disposizioni dell’art. 1 della stessa.
Anche i controlli periodici prescritti all’Allegato II, punto 4,
della direttiva 2009/54/CE sarebbero quelli svolti in Italia
dall’Amministrazione statale e si riferirebbero alla permanenza delle
condizioni per il riconoscimento delle acque quali acque minerali e
di sorgente. Detti controlli sarebbero disciplinati dall’art. 17,
comma 3, del decreto ministeriale 17 novembre 1992, n. 542 (recte 12
novembre 1992) (Regolamento recante i criteri di valutazione delle
caratteristiche delle acque minerali naturali), ove e’ contenuta una
normativa specifica finalizzata alla verifica del permanere delle
caratteristiche proprie dell’acqua minerale naturale.
L’autorizzazione formale preventiva che le Regioni, ai sensi
della normativa impugnata, dovrebbero rilasciare sarebbe un
provvedimento distinto, in quanto si porrebbe a valle del
procedimento, del quale e’ titolare lo Stato, finalizzato al
riconoscimento di queste acque e ne presupporrebbe la definizione
positiva. Di conseguenza, la direttiva 2009/54/CE, contrariamente a
quanto sostenuto dallo Stato, non prevedrebbe alcun obbligo di
autorizzazione preventiva ai fini dell’uso e della
commercializzazione delle acque minerali e/o di sorgente.
9.6. – Peraltro, secondo la ricorrente, l’obiettivo prioritario
di proteggere la salute del consumatore di cui al d.lgs. n. 176 del
2011 potrebbe essere conseguito anche attraverso la DIA-SCIA. A tale
proposito la Regione osserva che, proprio in attuazione dei
regolamenti europei in materia di sicurezza alimentare, gli operatori
di detto settore che intendano avviare la loro impresa utilizzano lo
strumento della DIA-SCIA, fatti salvi gli stabilimenti per i quali
siano vigenti le procedure di riconoscimento ai sensi del regolamento
(CE) n. 853/2004.
In tal senso si porrebbe anche l’Accordo tra il Governo, le
Regioni e le Province autonome relativo alle «Linee guida applicative
del regolamento n. 852/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
sull’igiene dei prodotti alimentari», il quale al punto 2 del
relativo allegato prevede che «tutte le attivita’ di produzione,
trasformazione, trasporto, magazzinaggio, somministrazione e vendita
sono soggette a procedura di registrazione/DIA, qualora non sia
previsto il riconoscimento ai sensi dei regolamenti nn. 852 e
853/2004».
Ne conseguirebbe, a detta della ricorrente, che la legge reg.
Toscana n. 38 del 2004, nella parte in cui prevede la DIA per
l’utilizzo di acque minerali e/o di sorgente, che hanno gia’ ottenuto
il riconoscimento ministeriale, e per la relativa
commercializzazione, sarebbe del tutto coerente con l’impostazione
data sia a livello comunitario che a livello nazionale alla
regolamentazione del settore alimentare.
Per altro verso, rileva la Regione, come le principali evidenze
di bibliografia internazionale ascrivano il contributo prioritario
agli episodi di tossinfezioni alimentari a matrici diverse dalle
acque minerali naturali e dalle acque di sorgente, nonostante la
maggior parte delle attivita’ che preparano, trasformano,
somministrano tali matrici siano avviate con DIA, senza visita
preventiva dell’azienda unita’ sanitaria locale (AUSL).
L’ordinamento europeo avrebbe allora fondato tutta la disciplina
del settore alimentare sulla responsabilita’ primaria dell’operatore
del settore alimentare, in applicazione delle procedure di
autocontrollo secondo il sistema Hazard Analysis Critical Control
Point (HACCP). Di conseguenza, secondo la ricorrente, affermare la
necessita’ dell’autorizzazione regionale preventiva per le acque in
questione non solo non attuerebbe un obbligo comunitario, ma
contraddirebbe i principi e la ratio della normativa dell’Unione
europea. In senso contrario, non potrebbe sostenersi che il d.lgs. n.
105 del 1992 e il d.lgs. n. 339 del 1999 gia’ prevedevano per
l’utilizzazione delle acque in questione l’autorizzazione formale,
dal momento che entrambe queste fonti normative sono precedenti
all’entrata in vigore dei regolamenti europei in materia di sicurezza
alimentare, introduttivi del principio della DIA, nonche’ antecedenti
alla riforma del titolo V della Costituzione.
9.7. – Da ultimo, le disposizioni impugnate non troverebbero
giustificazione neppure alla luce del principio di sussidiarieta’,
pure invocato dalla difesa statale.
Secondo la ricorrente, infatti, le norme impugnate sarebbero
incostituzionali in quanto finirebbero per realizzare una avocazione
da parte dello Stato delle sole funzioni legislative, del tutto
sganciate da quelle amministrative, che permangono nella titolarita’
delle Regioni. In tal modo le norme censurate attuerebbero un’ipotesi
di chiamata in sussidiarieta’ non rispettosa delle condizioni
individuate dalla giurisprudenza costituzionale per un legittimo
esercizio di siffatta attrazione al livello centrale di governo.
Difatti, sulla base di presunte esigenze di carattere unitario, le
disposizioni impugnate attuerebbero la cosi’ detta chiamata in
sussidiarieta’ delle sole funzioni legislative ed a prescindere da
specifiche funzioni amministrative rispetto alle quali si ritenga
inadeguato il livello regionale (nella memoria si richiama la
sentenza n. 232 del 2011). In realta’, a giudizio della Regione, la
suddetta tesi statale evocherebbe quel limite generale e di merito
della legislazione regionale gia’ rappresentato dalla tutela del
cosi’ detto «interesse nazionale», criticato nel precedente assetto
costituzionale e definitivamente superato con la riforma del titolo V
della Costituzione.
9.8. – In conclusione, la ricorrente ribadisce che gli artt. 6, 7
comma 1, 22, e 23, comma 1, del d.lgs. n. 176 del 2011, costituiscono
una lesione delle prerogative regionali costituzionalmente garantite
dagli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., disciplinando in maniera
puntuale il procedimento autorizzativo con riferimento a materie,
quali la tutela della salute e l’alimentazione, di competenza
concorrente, in relazione alle quali lo Stato deve limitarsi a
dettare esclusivamente i principi fondamentali.
10. – Quanto agli artt. 7, comma 1, lettera a), e 23, comma 1,
lettera a), del d.lgs. n. 176 del 2011, la Regione ne ribadisce
l’illegittimita’ costituzionale per violazione delle competenze
regionali in materia di tutela della salute ed alimentazione, ove il
riferimento alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 non possa
essere inteso solo come livello minimo di protezione da parte delle
Regioni.
10.1. – In particolare, verrebbe in rilievo l’art. 94, comma 3,
del citato decreto legislativo, che sarebbe chiaramente riferito alle
acque destinate al consumo umano, disciplinate dal d.lgs. n. 31 del
2001, ovvero alle cosi’ dette acque potabili, di cui all’art. 74
d.lgs. n. 152 del 2006. Rileva la Regione, che proprio il d.lgs. n.
31 del 2001, chiarisce all’art. 3, comma 1, lettera a), che la
disciplina ivi contenuta non si applica alle acque minerali naturali
e medicinali riconosciute. Ne conseguirebbe che con specifico
riferimento all’individuazione della perimetrazione della zona di
tutela assoluta, i criteri da seguire per le acque minerali e di
sorgente sarebbero necessariamente diversi rispetto a quelli definiti
per le acque destinate al consumo umano. Queste ultime, infatti, sono
prelevate da corpi idrici superficiali o sotterranei, classificati ai
sensi dell’art. 80 del d.lgs. n. 152 del 2006, in base alla
necessita’ qualitativa e quantitativa dei trattamenti chimici e
fisici per la potabilizzazione dell’acqua; inoltre, per le stesse e’
prevista anche la permanenza nell’acqua erogata dagli acquedotti di
una quantita’ residua di sostanze disinfettanti (cloro libero). Le
acque minerali naturali, invece, secondo la definizione di cui
all’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 176 del 2011, si distinguono dalle
ordinarie acque potabili per la purezza originaria e la sua
conservazione e, sia in base alle disposizioni europee (art. 4, comma
3, direttiva 2009/54/CE), sia in base alle disposizioni nazionali
(anche quelle previgenti contenute nel d.lgs. n. 105 del 1992 e nel
d.lgs. n. 339 del 1999), e’ vietata l’esecuzione di qualsiasi
trattamento di potabilizzazione, l’aggiunta di sostanze battericide o
batteriostatiche e qualsiasi altro trattamento suscettibile di
modificare il microcosmo delle acque (art. 8, comma 4, e art. 24,
comma 3, del d.lgs. n. 176 del 2011).
Inoltre, la Regione rileva ancora che l’art. 144 del d.lgs. n.
152 del 2006 in materia di tutela ed uso delle risorse idriche
espressamente afferma la necessita’ che le acque termali, minerali e
per uso geotermico siano disciplinate da norme specifiche, nel
rispetto del riparto di competenze costituzionalmente determinato e
che la direttiva 2009/54/CE, nell’indicare le misure di protezione
dei bacini imbriferi delle acque minerali naturali, non ha fatto in
alcun modo riferimento, diversamente dal legislatore nazionale, alla
disciplina prevista per le acque potabili.
10.2. – Da questi rilievi secondo la ricorrente si evincerebbe
chiaramente che le misure di protezione che devono essere individuate
ai fini della tutela del corpo idrico «acqua minerale naturale» – in
particolare, la perimetrazione della zona di tutela assoluta –
dovrebbero poter essere piu’ rigorose rispetto alle analoghe misure
individuate per i corpi idrici superficiali e sotterranei destinati
alla produzione di acqua per il consumo umano. Non potrebbe pertanto
legittimamente escludersi che le Regioni valutino, sulla base di
criteri piu’ restrittivi rispetto a quelli imposti dal d.lgs. n. 152
del 2006, l’identificazione delle necessarie aree di salvaguardia
(sentenze n. 307 del 2003; n. 407 del 2002; n. 382 del 1999).
Specificamente, la perimetrazione della zona di tutela assoluta
per le acque minerali e di sorgente, in assenza di trattamenti di
potabilizzazione di dette acque, non potrebbe che essere individuata
nello specifico dalla Regione sulla base delle caratteristiche
idrogeologiche del bacino sotterraneo, cio’ coerentemente con le
competenze costituzionalmente garantite delle Regioni in materia di
tutela della salute ed alimentazione, con le funzioni amministrative
alle stesse spettanti gia’ a partire dai trasferimenti operati con il
d.P.R. n. 2 del 1972 e il d.P.R. n. 616 del 1977 in materia di acque
minerali e di sorgente, afferenti al patrimonio regionale
indisponibile.
10.3. – Sul punto la Regione ribadisce allora la lesione delle
competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di
tutela della salute ed alimentazione ad opera delle norme censurate,
nel caso in cui i richiamati limiti di cui alla parte terza del
d.lgs. n. 152 del 2006 dovessero considerarsi inderogabili dalle
Regioni in favore di misure piu’ rigorose, con conseguente violazione
degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.
11. – Quanto alla legittimita’ costituzionale degli artt. 16 e
17, nonche’ 29 e 30, che intervengono in materia di vigilanza sulla
utilizzazione e sul commercio, rispettivamente, delle acque minerali
e di sorgente, non sarebbe condivisibile, a giudizio della
ricorrente, la tesi statale secondo la quale tale sistema di
controllo ad hoc per dette acque risponderebbe ad esigenze di
unitarieta’ della disciplina per tutti gli Stati membri, imposte
dalla direttiva 2009/54/CE.
11.1. – In senso contrario la Regione rileva che i controlli cui
si riferisce la direttiva 2009/54/CE all’Allegato II, punto 4, non
riguarderebbero le regole e le procedure relative alle attivita’ di
controllo ufficiale o di vigilanza igienico-sanitaria nelle fasi di
utilizzazione e di commercializzazione, vale a dire l’attivita’ di
vigilanza di competenza regionale.
Secondo la ricorrente, la citata direttiva europea si limiterebbe
ad individuare i requisiti di cui all’Allegato I, parte I, che devono
essere accertati dall’autorita’ responsabile di uno Stato membro, che
nel caso dell’Italia e’ il Ministero della salute, ai fini del
riconoscimento delle acque medesime, ivi compresi i controlli
periodici, anch’essi di competenza ministeriale, finalizzati al
mantenimento della condizione di riconoscimento, presupposto
indispensabile per la utilizzazione e commercializzazione delle acque
minerali e le acque di sorgente.
Anche sul punto, la Regione rileva che i controlli di cui al
punto 4 dell’Allegato II della direttiva 2009/54/CE sono quelli
svolti dal Ministero della salute ai sensi del gia’ richiamato art.
17, comma 3, d.m. n. 542 del 1992, affinche’ possa essere considerato
valido nel tempo il riconoscimento dell’acqua minerale. Per i profili
relativi ai compiti e alla responsabilita’ dei soggetti coinvolti,
alle modalita’ organizzative professionali e gestionali per
assicurare l’affidabilita’ del controllo verrebbe in rilievo la
competenza delle Regioni ai sensi e per gli effetti del trasferimento
di funzioni operato con specifico riferimento a tale attivita’
all’art. 1 del d.P.R. n. 2 del 1972 e all’art. 27 del d.P.R. n. 616
del 1977. Anche in questo caso tali attribuzioni sono state
confermate dalla legge n. 833 del 1978 e dal d.lgs. n. 112 del 1998.
Sarebbe evidente, a giudizio della Regione, che le predette
funzioni siano tutte riconducibili alle materie della tutela della
salute e della alimentazione di competenza regionale ed il suddetto
riparto sarebbe del tutto coerente con il quadro costituzionale
successivo alla riforma del titolo V della Costituzione.
11.2. – La Regione contesta altresi’ la tesi della difesa
erariale, secondo la quale il sistema dei controlli per le acque
minerali e di sorgente non potrebbe essere ricondotto nell’ambito del
piu’ generale sistema di vigilanza e di allerta valido per il settore
alimentare, in quanto trattasi di profili affatto analoghi. Tale
assunto sarebbe infondato, in quanto sia in base alla legislazione
comunitaria che a quella nazionale le acque minerali e di sorgente
sarebbero agevolmente riconducibili nell’ambito del settore
alimentare in base alla previsione dell’art. 2 del regolamento (CE)
n. 178 del 2002, che definisce alimento qualsiasi sostanza o prodotto
trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad
essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere
ingerito, da esseri umani.
Sul punto rileva altresi’ la Regione che da un iniziale concetto
di acqua minerale naturale legato necessariamente alle proprieta’
terapeutiche e favorevoli alla salute, come risulta dal regio decreto
28 settembre 1919, n. 1924 (Regolamento per l’esecuzione del capo IV
della L. 16 luglio 1916, n. 947, contenente disposizioni sulle acque
minerali e sugli stabilimenti termali, idroterapici e di cure fisiche
e affini) e dal d.lgs. n. 105 del 1992, si e’ passati all’attuale
definizione che prevede l’esistenza di acque minerali prive di
qualsiasi proprieta’ favorevole alla salute, in base ad una
concezione di tipo «alimentare» delle stesse, coerentemente con
quanto statuito nella sentenza 17 luglio 1997, procedimento C-17/96,
della prima Sezione della Corte di Giustizia delle Comunita’ europee.
Altra conferma dell’appartenenza delle acque minerali al settore
alimentare discenderebbe, secondo la ricorrente, dalle ispezioni
eseguite dal Food & Veterinary Office (F.V.O.) ovvero l’Ufficio della
Commissione Europea che lavora per garantire sistemi di controllo
efficaci nel settore alimentare e per valutare la conformita’ con le
norme dell’UE all’interno dell’Unione stessa e nei Paesi terzi per
quanto riguarda le loro esportazioni verso l’UE. Il F.V.O. a partire
dal 2007 ha condotto un vasto piano di controlli proprio sulle acque
minerali e per le altre acque imbottigliate, ai sensi dell’art. 45
del regolamento (CE) n. 882/2004, recante disciplina sui controlli
ufficiali intesi a verificare la conformita’ alla normativa in
materia di mangimi e di alimenti alle norme sulla salute e sul
benessere degli animali.
A tal proposito la ricorrente segnala che una delle predette
ispezioni (DG SANCO/2007-7193 11-15/0672007) e’ stata condotta anche
in Italia, in particolare in Toscana, nel giugno del 2007 ed in
quella sede gli ispettori europei hanno verificato il sistema di
controllo ufficiale attuato a livello regionale nella materia delle
acque minerali naturali, confermando la coerenza di quanto disposto
dalla legge reg. Toscana n. 38 del 2004 con la disciplina dei
controlli contenuta nei regolamenti (CE) n. 852/2004 e n. 882/2004.
Inoltre i rilievi di non conformita’ delle acque minerali naturali
imbottigliate sono inseriti nel sistema di allerta rapido per
alimenti e mangimi, istituito ai sensi del regolamento (CE) n.
178/2002. La stessa direttiva 2009/54/CE nell’ottavo Considerando
afferma che le acque minerali sono soggette per quanto riguarda
l’etichettatura alle norme fissate dalla direttiva 20 marzo 2000, n.
2000/13/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa
al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti
l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonche’
la relativa pubblicita’). L’art. 13 della citata direttiva inoltre
prevede che le decisioni che possono avere effetti sulla salute
pubblica sono adottate dalla Commissione previa consultazione
dell’Autorita’ europea per la sicurezza alimentare, mentre l’art. 14
dispone che la Commissione sia assistita dal Comitato permanente per
la catena alimentare e la salute degli animali, istituito dall’art.
58 del regolamento (CE) n. 178/2002.
A livello nazionale la Regione Toscana rileva che una specifica
scheda sulla vigilanza, sull’utilizzazione e sul commercio delle
acque minerali e’ presente nella macroarea Alimenti del Piano
Nazionale Integrato (PNI o MANCP), che descrive il «Sistema Italia»
dei controlli ufficiali in materia di alimenti, mangimi, sanita’ e
benessere animale e sanita’ delle piante ed e’ elaborato ai sensi
dell’art. 44 del regolamento (CE) n. 882/2004.
Da queste osservazioni emergerebbe, secondo la ricorrente, che le
acque minerali e di sorgente sarebbero gia’ ricondotte nell’ambito
del sistema di controllo e di allerta previsto dall’ordinamento
europeo per la sicurezza alimentare, correttamente attuato in Toscana
con la legge regionale n. 38 del 2004.
11.3. – La Regione rileva altresi’ che lo stesso legislatore
statale agli artt. 17 e 30 del d.lgs. n. 176 del 2011 assoggetterebbe
la vigilanza sulla utilizzazione delle acque minerali e sul commercio
delle acque di sorgente alle disposizioni di cui al decreto
legislativo 19 novembre 2008, n. 194 (Disciplina delle modalita’ di
rifinanziamento dei controlli sanitari ufficiali in attuazione del
regolamento (CE) n. 882/2004). Tale previsione sarebbe perfino
pleonastica, in quanto il d.lgs. n. 194 del 2008 comprenderebbe nel
proprio campo di applicazione le acque minerali e le acque di
sorgente e quindi le considererebbe appartenenti all’ambito della
sicurezza alimentare, come si evincerebbe dall’Allegato A, sezione 6,
del medesimo decreto.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa statale, a
giudizio della ricorrente solo l’applicazione delle disposizioni
contenute nei regolamenti europei concernenti la sicurezza alimentare
garantirebbe l’effettiva omogeneita’ a livello nazionale ed europeo
delle regole inerenti il controllo ufficiale, assicurando sia la
protezione della salute del consumatore sia lealta’ ed equita’ nelle
operazioni commerciali, secondo quanto periodicamente verificati
dalla DG SANCO della Commissione Europea attraverso gli ispettori
dell’FVO.
Inoltre la previsione da parte del d.lgs. n. 176 del 2011 di una
disciplina di controlli specifica per le acque minerali e di sorgente
si risolverebbe in una duplicazione di procedimenti, che si porrebbe
in contrasto con i principi del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5
(Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo),
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, in
particolare con quanto disposto all’art. 14.
11.4. – In conclusione la Regione ribadisce che le disposizioni
richiamate disciplinerebbero l’attivita’ di vigilanza sulle
utilizzazioni delle acque minerali naturali e sul commercio delle
acque di sorgente, riproducendo nella sostanza la disciplina
contenuta nei previgenti d.lgs. n. 105 del 1992 (artt. 14 e 15) e
d.lgs. n. 339 del 1999 (artt. 11 e 12), disciplina peraltro assente
nella direttiva 2009/54/CE, recepita con il d.lgs. n. 176 del 2011.
In tal modo verrebbe configurato un doppio sistema di controllo, uno
specifico sulle acque minerali e/o di sorgente, disciplinato dal
d.lgs. n. 176 del 2011, ed uno sulla sicurezza alimentare, derivante
dal regolamento (CE) n. 882/2004, nel cui ambito di operativita’
andrebbero ricondotti, a giudizio della ricorrente, anche i controlli
in ordine alle acque di cui si tratta. Questa duplicazione sarebbe
priva di giustificazione normativa, amministrativa, tecnica e
sanitaria e determinerebbe un aggravio di costi per i sistemi
sanitari regionali, senza alcun beneficio in punto di tutela della
salute pubblica.
11.5. – Le norme censurate sarebbero lesive delle attribuzioni
regionali, in quanto interverrebbero, con una disciplina puntuale, a
regolamentare le funzioni di vigilanza attribuite da sempre alle
Regioni ed attinenti alla materia tutela della salute e
dell’alimentazione, in cui lo Stato puo’ intervenire solo con
disposizioni di principio. Vi sarebbe dunque contrasto con gli artt.
117, terzo comma, e 118 Cost.
11.6. – Peraltro, la disciplina impugnata non terrebbe in alcun
conto la disciplina introdotta a livello comunitario con il
regolamento (CE) n. 882/2004 e con il regolamento (CE) n. 178/2002,
con ulteriore violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

Considerato in diritto

1. – Con ricorso n. 2 del 2012 la Regione Toscana ha promosso
questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 6, 7, comma
1, 16, 17, 22, 23 comma 1, 29 e 30 del decreto legislativo 8 ottobre
2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE,
sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali
naturali) per contrasto con gli artt. 117, primo e terzo comma, e 118
della Costituzione.
Le censure proposte sono tre.
Anzitutto la Regione lamenta che gli artt. 6 e 7, comma 1, 22 e
23, comma 1, del d.lgs. n. 176 del 2011, nella parte in cui
disciplinano rispettivamente l’utilizzazione di una sorgente d’acqua
minerale naturale e l’immissione in commercio di un’acqua di sorgente
e stabiliscono che detta utilizzazione ovvero immissione siano
subordinate all’autorizzazione regionale (rilasciata previo
accertamento dei requisiti previsti dallo stesso decreto),
contrastino con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., poiche’
pongono una disciplina puntuale nelle materie della tutela della
salute e dell’alimentazione, in tal modo ledendo la competenza
legislativa e amministrativa delle Regioni, loro spettanti in forza
dei richiamati articoli della Costituzione.
In secondo luogo la ricorrente ritiene che gli artt. 7, comma 1,
lettera a), e 23, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 176 del 2011 –
nella parte in cui annoverano, tra i criteri per il rilascio
dell’autorizzazione all’utilizzazione di una sorgente d’acqua
minerale naturale ovvero all’immissione in commercio di un’acqua di
sorgente, l’accertamento che la sorgente o il punto di emergenza
siano protetti contro ogni pericolo di inquinamento e prevedono che
siano applicate, ai fini della tutela dei corpi idrici, le
disposizioni di cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – contrastino con gli
artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., qualora il riferimento alla
parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 sia interpretato non come
livello minimo di protezione, bensi’ come preclusione per le Regioni
di applicare misure di protezione piu’ rigorose.
Infine, la Regione assume che gli artt. 16 e 17, nonche’ gli
artt. 29 e 30 del d.lgs. n. 176 del 2011 – nella parte in cui
disciplinano puntualmente l’attivita’ di vigilanza sull’utilizzazione
di una sorgente d’acqua minerale naturale ovvero sull’immissione in
commercio di un’acqua di sorgente – violino gli artt. 117, primo e
terzo comma, e 118 Cost., in quanto contrastanti con le prescrizioni
comunitarie e disciplinanti con disposizioni di dettaglio le funzioni
di vigilanza attribuite alle Regioni nelle materie concorrenti
dell’alimentazione e della tutela della salute.
2. – La censura rivolta agli artt. 6 e 7, comma 1, e agli artt.
22 e 23, comma 1, del d.lgs. n. 176 del 2011 in riferimento agli
artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., non e’ fondata.
La ricorrente sostiene che gli artt. 6 e 7, comma 1, nonche’ gli
artt. 22 e 23, comma 1, – nella parte in cui disciplinano
l’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale ovvero di
un’acqua di sorgente, stabilendo che detta utilizzazione sia
subordinata all’autorizzazione regionale, la quale e’ rilasciata
previo accertamento dei requisiti previsti dallo stesso decreto –
porrebbero in essere una lesione delle prerogative regionali
costituzionalmente garantite, dal momento che disciplinerebbero in
maniera puntuale il procedimento autorizzatorio con riferimento a
materie, quali la tutela della salute e l’alimentazione, di
competenza concorrente, in relazione alle quali il legislatore
statale puo’ dettare esclusivamente i principi fondamentali in
conformita’ agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. Peraltro la
Regione Toscana avrebbe gia’ provveduto con legge regionale 27 luglio
2004, n. 38 (Norme per la disciplina della ricerca, della
coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di sorgente e
termali) e relativo decreto del Presidente della Giunta regionale 24
marzo 2009, n. 11/R (Regolamento di attuazione della legge regionale
27 luglio 2004, n. 38 – Norme per la disciplina della ricerca, della
coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di sorgente e
termali), a disciplinare il procedimento necessario per l’avvio
dell’attivita’ di utilizzazione dell’acqua minerale e/o di sorgente
attraverso lo strumento della dichiarazione di inizio di attivita’
(DIA), previsto all’art. 41 di detta legge.
L’Allegato II della direttiva 18 giugno 2009, n. 2009/54/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’utilizzazione
e la commercializzazione delle acque minerali naturali), nella parte
in cui viene precisato che «1. L’utilizzazione di una sorgente
d’acqua minerale naturale e’ subordinata all’autorizzazione
dell’autorita’ responsabile del paese in cui l’acqua e’ stata
estratta, previo accertamento della sua conformita’ ai criteri di cui
all’allegato I parte I», dovrebbe essere inteso – ad avviso della
Regione – in senso lato, in modo da ricomprendere tutti gli strumenti
autorizzatori compresi quelli succedanei come la DIA e/o la
segnalazione certificata di inizio attivita’ (SCIA). Inoltre, secondo
la ricorrente, la previsione contenuta nella parte I dell’Allegato II
della direttiva 2009/54/CE, in ordine alla necessita’ che siano
previamente accertati i «criteri di cui all’allegato I, parte I»,
sarebbe riferita al procedimento di riconoscimento di acqua minerale
naturale, senza comportare per l’Autorita’ sanitaria locale specifici
oneri di accertamento tecnico. La disciplina comunitaria sarebbe
quindi compatibile con gli strumenti della DIA e della SCIA
consentiti da quella regionale.
L’assunto della Regione non puo’ essere condiviso.
L’art. 41, comma 1, della legge reg. Toscana n. 38 del 2004
prescrive che «l’avvio di un’attivita’ di utilizzazione dell’acqua
minerale e naturale di sorgente e’ assoggettato ad una dichiarazione
di inizio di attivita’, presentata al comune e attestante il possesso
dei requisiti previsti dall’articolo 42 e dal regolamento (CE)
852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004
sull’igiene dei prodotti alimentari. L’attivita’ puo’ essere avviata
dalla data di ricevimento della dichiarazione».
Non rileva ai fini del presente giudizio la sostituzione
dell’istituto della DIA (prescritta dall’art. 41 della legge
regionale n. 38 del 2004) con quello della SCIA introdotto dall’art.
49 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia
di stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica), che ha
modificato l’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi), prevedendo al comma 4-bis, in luogo della
dichiarazione di inizio di attivita’, la segnalazione certificata di
inizio di attivita’. Il comma 4-ter del citato art. 49 prevede che le
espressioni «segnalazione certificata di inizio attivita’» e «SCIA»
sostituiscano rispettivamente «dichiarazione di inizio di attivita’»
e «DIA», ovunque ricorrano, anche come parte di un’espressione piu’
ampia e stabilisce che la normativa in materia di SCIA sostituisca
direttamente quella della dichiarazione di inizio di attivita’ recata
da ogni normativa statale e regionale.
Quel che rileva in questa sede e’ che la procedura semplificata
prevista dalla disciplina regionale non rispetta il principio,
indicato dalla direttiva 2009/54/CE, del previo accertamento del
rispetto dei criteri prescritti ai fini del rilascio
dell’autorizzazione.
Peraltro, il vigente regime di liberalizzazione delle attivita’
economiche, introdotto con l’art. 3 («Abrogazione delle indebite
restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle
attivita’ economiche») del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo
sviluppo), convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e
completato dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, oltre a
riaffermare la competenza statale in tema di disciplina ed
utilizzazione di dette procedure semplificate, contiene una
disposizione pienamente conforme alle scelte operate dal legislatore
nel caso in esame. L’art. 34 del citato d.l. n. 201 del 2011 dispone
infatti che «la disciplina delle attivita’ economiche e’ improntata
al principio di liberta’ di accesso, di organizzazione e di
svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse
generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con
l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione di
previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo,
nel rispetto del principio di proporzionalita’» (comma 2) e che
«l’introduzione di un regime amministrativo volto a sottoporre a
previa autorizzazione l’esercizio di un’attivita’ economica deve
essere giustificato sulla base dell’esistenza di un interesse
generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con
l’ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di
proporzionalita’» (comma 4).
A ben vedere si tratta di una fattispecie astratta pienamente
comprensiva di quella venuta all’esame in questa sede. Il legislatore
comunitario, nell’esercizio della propria discrezionalita’ normativa,
ha ritenuto prevalente, rispetto a quella della semplificazione
amministrativa dei procedimenti, la finalita’ di assicurare la tutela
della salute dei consumatori di acque minerali. Nell’ordinamento
nazionale analoga finalita’ costituisce un interesse generale,
costituzionalmente rilevante, in quanto species del piu’ ampio genus
della salute del singolo individuo e della collettivita’ di cui
all’art. 32 Cost. e, nel caso di specie, anche pienamente conforme
alla regola introdotta dal legislatore comunitario.
Peraltro, l’accertamento ai fini del riconoscimento dell’acqua
minerale naturale – secondo la formulazione contenuta nella direttiva
comunitaria – risulta procedimento distinto e propedeutico a quello
richiesto ai fini dell’utilizzazione. Non puo’ infatti ritenersi
pleonastico l’inciso «previo accertamento della sua conformita’ ai
criteri di cui all’Allegato I, parte I» contenuto nell’Allegato II
(Condizioni di utilizzazione e di commercializzazione delle acque
minerali naturali) della direttiva 2009/54/CE.
In senso conforme alle richiamate disposizioni comunitarie, il
d.lgs. n. 176 del 2011, agli artt. 6 e 7, comma 1, e agli artt. 22 e
23, comma 1, prevede che l’utilizzazione delle acque minerali
naturali e l’immissione in commercio delle acque di sorgente siano
subordinate ad una previa autorizzazione rilasciata dopo aver
accertato la ricorrenza delle condizioni ivi indicate, riproduttive
di quelle contenute nella direttiva 2009/54/CE.
Sotto quest’ultimo profilo occorre ricordare che, come noto, ai
sensi dell’art. 288 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (TFUE) la direttiva vincola di regola lo Stato membro cui e’
rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva
restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed
ai mezzi. Dunque, e’ l’atto di diritto europeo secondario che
determina gli obiettivi da perseguire da parte degli Stati membri al
fine di realizzare un’armonizzazione della disciplina. La normativa
nazionale di recepimento, contenuta nel d.lgs. n. 176 del 2011 e
censurata dalla Regione Toscana, proprio perche’ in larga misura
pedissequamente riproduttiva delle previsioni comunitarie –
sintetiche per definizione quanto ai loro enunciati – contenute nella
direttiva 2009/54/CE, detta nella specie una disciplina di principio
della materia, comunque non modificabile dalla fonte regionale, pena
la mancata o incompleta attuazione dell’atto comunitario.
Poiche’ tale normativa si pone quale disciplina di principio –
senza peraltro modificare il riparto delle funzioni amministrative
tra Stato, Regioni ed enti locali in materia, come delineato sia
dalle disposizioni della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al
Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed
enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la
semplificazione amministrativa) e del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I
della legge 15 marzo 1997, n. 59), che da quelle contenute nella
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione), in particolare all’art. 118
Cost. – essa non appare in contrasto ne’ con l’art. 117, terzo comma,
ne’ con l’art. 118 Cost.
3. – Parimenti, non e’ fondata la censura inerente alla pretesa
illegittima applicazione – disposta dagli artt. 7, comma 1, lettera
a), e 23, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 176 del 2011 – delle
disposizioni contenute nella parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006,
in tema di protezione da pericoli di inquinamento dei corpi idrici
interessati.
La Regione Toscana deduce l’eventuale illegittimita’
costituzionale, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118
Cost., delle disposizioni impugnate, nella parte in cui prevedono,
tra i criteri per il rilascio dell’autorizzazione, l’accertamento che
la sorgente o il punto di emergenza siano protetti contro ogni
pericolo di inquinamento e siano applicate, ai fini della tutela dei
corpi idrici, le disposizioni di cui alla parte terza del Codice
dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006). Ad avviso della ricorrente
l’incostituzionalita’ sussisterebbe ove dette disposizioni dovessero
essere intese non come livello minimo di protezione, bensi’ come
preclusive dell’adozione – da parte delle Regioni – di misure di
tutela piu’ rigorose.
Sul punto e’ costante la giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui sul medesimo bene giuridico unitariamente inteso (ambiente)
coesistono la tutela (o conservazione), di competenza esclusiva dello
Stato, e la fruizione (in particolare il governo del territorio), di
competenza concorrente regionale. In tale prospettiva e’ stato
affermato che le Regioni possono prevedere, nell’ambito
dell’esercizio delle loro competenze, misure di tutela ulteriori e/o
maggiori rispetto agli standards unitari cosi’ definiti per
disciplinare il diverso oggetto delle loro competenze (sentenze n. 30
e n. 12 del 2009; n. 105 e n. 104 del 2008).
Ne consegue che le disposizioni di cui agli artt. 7, comma 1,
lettera a), e 23, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 176 del 2011
devono essere intese, nella parte in cui rinviano alla parte terza
del d.lgs. n. 152 del 2006, come prescrittive del limite minimo di
protezione rispetto al quale le Regioni possono prevedere
l’applicazione di misure piu’ rigorose nell’ambito dell’esercizio
delle loro competenze in materia di tutela della salute e
dell’alimentazione. Le censure della ricorrente vanno dunque
rigettate.
4. – Le questioni proposte nei confronti degli artt. 16 e 17 e
degli artt. 29 e 30 del d.lgs. n. 176 del 2011 per violazione degli
artt. 117, primo e terzo comma, e 118 Cost. sono in parte
inammissibili ed in parte infondate.
4.1. – E’ inammissibile la censura delle richiamate norme posta
in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., per carenza nella
definizione del percorso logico seguito per ricondurre le norme
impugnate al parametro costituzionale invocato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’esigenza di
un’adeguata motivazione a sostegno dell’impugnativa si pone «in
termini perfino piu’ pregnanti nei giudizi diretti che non in quelli
incidentali» (sentenza n. 450 del 2005) e la questione di
legittimita’ costituzionale sollevata in rapporto all’art. 117, primo
comma, Cost. e’ ammissibile solo se «ridonda in una limitazione delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni» (sentenza n. 225 del
2009).
Nel caso di specie il ricorso introduttivo della Regione Toscana
risulta carente di argomentazioni a sostegno di tale ridondanza.
4.2. – Non sono fondate le questioni proposte nei confronti degli
artt. 16 e 17 e degli artt. 29 e 30 del d.lgs. n. 176 del 2011 in
riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. Secondo la
Regione dette disposizioni disciplinerebbero le funzioni di vigilanza
nelle materie dell’alimentazione e della tutela della salute, di
propria competenza concorrente, in modo dettagliato.
Al contrario, le norme impugnate ribadiscono principi gia’
contenuti nella normativa comunitaria di settore (regolamento CE 29
aprile 2004, n. 882/2004 – Regolamento del Parlamento europeo e del
Consiglio relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la
conformita’ alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle
norme sulla salute e sul benessere degli animali), quali la
periodicita’, l’estemporaneita’ e la generalita’ dei controlli. Va in
proposito osservato che in piu’ disposizioni della direttiva
2009/54/CE emerge l’esigenza di assicurare che le caratteristiche
richieste ai fini del riconoscimento quale acqua minerale naturale
persistano nel tempo (considerando n. 7: «e’ necessario vigilare
affinche’ le acque minerali naturali conservino nella fase di
commercializzazione, le caratteristiche in base a cui sono state
riconosciute come tali»; art. 1, paragrafo 2: «il periodo di
validita’ dell’accertamento di cui al secondo comma non puo’ superare
il periodo di cinque anni. Qualora l’accertamento sia rinnovato prima
della fine di tale periodo non e’ necessario un nuovo riconoscimento
ai sensi del primo comma»; Allegato II dove si prevedono controlli
periodici da parte dell’autorita’ competente del Paese di origine
della conformita’ dell’acqua minerale, di cui sia autorizzata
l’utilizzazione della sorgente, alle disposizioni di cui all’allegato
I, parte I, e dell’osservanza degli obblighi posti a carico
dell’imprenditore al fine di preservare le caratteristiche
microbiologiche delle acque stesse) e che tale circostanza sia
acclarata con appositi controlli. Peraltro l’impugnato art. 29 fa
esplicito riferimento, in ordine alla vigilanza sull’utilizzazione e
sul commercio, alle competenze degli organi delle Regioni e degli
altri enti locali in ossequio ai rispettivi ordinamenti. Non e’
quindi ipotizzabile alcuno straripamento della normativa statale dal
proprio alveo costituzionale, limitandosi la stessa ad enucleare i
principi entro i quali dovranno essere esercitate le competenze degli
enti territoriali.
5. – Dalle considerazioni fin qui esposte deriva che le questioni
di legittimita’ costituzionale promosse dalla Regione Toscana con il
ricorso indicato in epigrafe devono essere dichiarate, nei termini di
cui sopra, in parte non fondate e in parte inammissibili con
riferimento ai parametri evocati.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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